La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 39079 depositata il 23 settembre 2013 intervenendo in tema di reati fiscali ha statuito che il dolo specifico richiesto dalla legge affinché si configuri il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è insito nella sicura conoscenza che il commercialista ha della materia fiscale.
La vicenda ha riguardato un commercialista a cui veniva contestato il reato di cui all’articolo 11 del D.Lgs. n. 74/2000 per aver commesso atti fraudolenti (la cessione di alcuni immobili, intervenuta nell’aprile 2008, a favore di O. srl, e la “cessione delle quote sociali” di quest’ultima alla convivente M. N., nel marzo 2012) al fine di sottrarsi al pagamento delle maggiori imposte accertate per gli anni d’imposta 2005-2010 (per oltre 4 milioni di euro), oltre interessi e sanzioni, in prossimità degli esiti della verifica fiscale compiuta con riguardo ai redditi professionali del predetto.
Gli Ermellini in base al principio di diritto statuito, con la sentenza in commento, hanno rigettato il ricorso proposto dal commercialista ritenuto, dagli inquirenti, colpevole per avere messo in piedi un complesso meccanismo fraudolento volto a rendere inefficace la procedura di riscossione dei debiti tributari.
La fattispecie criminosa regolata e sanzionata dall’articolo 11 del D.Lgs. n. 74/2000 (come novellato dal D.L. n. 78/2010 – L. conv. n. 122/2010) il quale statuisce che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a euro 5O mila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Alla stessa pena soggiace chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e dei relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. La pena è aumentata (da uno a sei anni) per coloro che pongono in essere le predette condotte superando la soglia di punibilità di 200mila euro.
I giudici di legittimità hanno sostenuto, in merito alla fattispecie concreta, che “ai fini della configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è necessario, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico(ovvero il fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributarlo) e, sotto il profilo materiale, una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare. A tal uopo non solo non è necessario che la procedura di riscossione coattiva abbia avuto avvio, ma anche che i prodromi di essa, ossia l’accertamento tributario sia già stato posto in essere attraverso le verifiche e le successive contestazioni. Tanto più quando come nella specie, il protagonista di tale complessa operazione è un dottore commercialista, ossia di un professionista ben consapevole del significato dell’obbligazione tributaria, dei suoi presupposti e dell’eventualità del suo accertamento successivo con la conseguente attività riscossiva da parte dell’Erario e dei suoi agenti (dolo specifico)”.
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