AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 18 maggio 2022, n. 275
Recupero delle maggiori imposte assolte dai dipendenti per gli anni 2019, 2020 e 2021 a fronte della mancata applicazione del regime impatriati (art. 16 D.Lgs. n. 147/2015) in relazione ai redditi di lavoro dipendente derivanti dall’esercizio delle Stock Option o dalla maturazione delle RSU
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società istante (di seguito l’ Istante o la Società) appartiene ad un gruppo multinazionale (di seguito il Gruppo) in cui risultano attivi numerosi programmi di mobilità internazionale del personale dipendente. Gran parte di questi lavoratori, che hanno trasferito la propria residenza fiscale in Italia per svolgere l’attività lavorativa alle dipendenze dell’ Istante, risultano essere beneficiari, ricorrendone tutte le condizioni, del regime speciale di tassazione previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 per i lavoratori cd. ” impatriati”.
Per questi dipendenti, l’ Istante, avendone ricevuto espressa richiesta da parte dei diretti interessati, provvede al riconoscimento di detto regime agevolativo in busta paga, applicando la detassazione dei redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia, nella misura prevista dalla legge, in sede di sostituzione di imposta, ai sensi dell’articolo 23 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Tra i redditi corrisposti ci sono quelli che derivano dalla partecipazione ad un piano di azionariato implementato dal Gruppo a favore dei suoi dipendenti. Il Gruppo offre, infatti, a taluni dei suoi dipendenti, con specifici requisiti di seniority aziendale, la possibilità di acquistare, a titolo oneroso o gratuito, una certa quantità di azioni emesse dalla Capogruppo, con sede in Delaware Stati Uniti d’America, le cui azioni sono quotate sul mercato azionario statunitense.
I titoli in questione sono riconducibili a due tipologie: Stock Options e Restricted Stock Units (di seguito anche RSU).
Le prime garantiscono al lavoratore la titolarità di un diritto di opzione non trasferibile sulle azioni della Capogruppo, esercitabile decorso un determinato periodo di maturazione (cd. vesting period) e previo pagamento di un prezzo prefissato in sede di assegnazione del predetto diritto di opzione.
Solo in caso di effettivo esercizio delle Stock Options (da effettuarsi in genere entro 10 anni) il dipendente diventa titolare delle azioni emesse dalla Capogruppo e dei corrispondenti diritti patrimoniali.
Le seconde garantiscono, invece, al possessore il diritto di ricevere, al termine di un periodo prefissato ( vesting period) e al raggiungimento di determinati obiettivi di performance, un numero di azioni predeterminato e senza il pagamento di alcun corrispettivo.
In entrambi i casi l’attribuzione delle azioni emesse dalla Capogruppo attribuisce al dipendente, per il combinato disposto degli articoli 9 e 51 del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), un benefit in natura tassabile come reddito di lavoro dipendente.
L’ Istante ritiene che tale tipologia di redditi (derivanti dal vesting delle RSU o dell’esercizio di opzione delle Stock Options) possa beneficiare del richiamato regime speciale per i lavoratori ” impatriati”, nella misura in cui il relativo periodo di maturazione si è svolto in territorio italiano. L’ Istante richiama in proposito la risposta n. 78 del 2020, nella quale è stato chiarito nel caso di piani di incentivazione aziendali, il beneficio fiscale previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015 si rende applicabile alla parte di retribuzione variabile riferibile all’attività lavorativa prestata in Italia.
Tuttavia, per gli anni di imposta 2019, 2020 e 2021, le componenti reddituali derivanti dai suddetti piani di azionariato, pur rientrando nell’ambito di applicazione oggettivo del predetto regime, hanno scontato per ragioni legate all’impostazione del software utilizzato per l’elaborazione della busta paga mensile, l’ordinaria tassazione ai fini Irpef ed alle addizionali regionali e comunali, senza quindi beneficiare della detassazione prevista dal predetto regime.
Inoltre, in sede di elaborazione delle Certificazioni Uniche relative agli anni di imposta 2019 e 2020, l’ Istante non ha dato evidenza di tale erronea quantificazione tramite la compilazione dell’apposita annotazione (contraddista con i codici CQ, CR e CS sia nella Certificazione Unica 2020 che in quella 2021), pertanto, i lavoratori interessati non hanno avuto la possibilità di recuperare le maggiori ritenute subite nelle loro dichiarazioni in quanto ad oggi i termini di presentazione di una dichiarazione correttiva o integrativa a favore risultano scaduti.
Ciò posto, l’ Istante chiede chiarimenti in ordine alle modalità di recupero delle maggiori ritenute operate ai sensi dell’articolo 23 del d.P.R. n. 600 del 1973 per i periodi di imposta 2019 e 2020.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante per recuperare le maggiori ritenute operate in acconto dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali intende procedere secondo le seguenti modalità.
Per gli anni di imposta 2019 e 2020, la Società intende procedere al ricalcolo del reddito di lavoro dipendente imponibile in capo ai beneficiari dell’agevolazione in esame, applicando la detassazione anche in relazione ai redditi derivanti dall’esercizio delle Stock Options o dal vesting delle RSU, purché come anticipato, il periodo di maturazione coincide con la prestazione lavorativa del dipendente nel territorio italiano.
L’ Istante procederebbe, quindi, dopo il ricalcolo al relativo rimborso ai beneficiari delle maggiori ritenute operate.
Successivamente, provvederebbe alla presentazione di un Modello 770 integrativo ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, per fare emergere, quale importo a credito nei confronti dell’Erario, le maggiori ritenute versate per tali anni d’imposta.
Infine, procederebbe alla rettifica delle Certificazioni Uniche per gli anni 2019 e 2020 al fine di consentire ai dipendenti interessati di integrare la propria dichiarazione dei redditi personale ai sensi dell’articolo 2 del citato decreto n. 322 del 1998 per ristabilirne la coerenza con i dati riportati nella Certificazione Unica (nel caso di specie dalle dichiarazioni integrative presentate dai dipendenti non emergerebbe alcun credito d’imposta in quanto le maggiori ritenute subite vengono recuperate direttamente dall’ Istante attraverso l’emersione di crediti di imposta risultanti dai Modelli 770 integrativi).
Al riguardo, l’ Istante sottolinea che tale soluzione sarebbe in linea con le previsioni introdotte dall’articolo 5 del decreto legge 22 ottobre 2016, n. 193, che è intervenuto sul citato articolo 2 consentendo entro i termini per l’accertamento dell’imposta previsti dall’articolo 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 di poter correggere la dichiarazione dei redditi anche in ipotesi in cui derivi un minor reddito tassabile, una minore imposta o un maggior credito per il contribuente.
Per quanto concerne l’anno d’imposta 2021, stante invece l’impossibilità di procedere al riconoscimento del beneficio nell’ambito di operazioni di conguaglio di fine anno, l’ Istante intende esporre nella Certificazione Unica 2022, la corretta quantificazione del reddito di lavoro dipendente imponibile ai sensi del predetto articolo 16, per consentire ai dipendenti interessati di recuperare le maggiori ritenute operate direttamente nella propria dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2021.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 147 ha introdotto, a decorrere dal periodo di imposta 2016, un regime agevolativo di tassazione dei redditi di lavoro dipendente e assimilati e di lavoro autonomo prodotti dai quei contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia e si impegnano a risiedervi per almeno due periodi di imposta, svolgendo attività lavorativa nel territorio italiano (cd. ” regime speciale per lavoratori impatriati”).
Il predetto regime è stato oggetto di successive modifiche normative apportate dall’articolo 5 del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34 e successive modificazioni che ha ridefinito i requisiti soggettivi ed oggettivi per la categoria dei soggetti sopra citata a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore del decreto (ovvero dal periodo di imposta 2020). In relazione alle modalità di fruizione del suddetto beneficio, l’amministrazione finanziaria ha chiarito con le circolari 23 maggio 2017, n. 17/E e 28 dicembre 2020, n. 33/E (a seguito delle modifiche intervenute), che il lavoratore interessato deve presentare una richiesta scritta al datore di lavoro, il quale applica il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta e, in sede di conguaglio, dalla data di assunzione, mediante applicazione delle ritenute sull’imponibile ridotto alla percentuale di reddito tassabile.
Viene altresì specificato che nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi. In tal caso il reddito di lavoro dipendente va indicato già nella misura ridotta.
In ragione del dato letterale, nonché della finalità dell’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015 teso ad agevolare i soggetti che si trasferiscono in Italia per svolgervi la loro attività, la circolare n. 17/E del 2017 ha precisato che l’agevolazione fiscale risulta applicabile ai soli redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato.
Conseguentemente, non fruiscono del beneficio fiscale in esame i redditi derivanti dalle attività prestate all’estero, anche se percepiti nel periodo d’imposta in cui il soggetto è fiscalmente residente in Italia.
Sulla base di tali considerazioni, il beneficio fiscale previsto dal citato articolo 16, in relazione alla retribuzione erogata in esecuzione dei piani di incentivazione si applica alla parte di reddito riferibile all’attività lavorativa prestata in Italia.
Con riferimento al caso di specie, fermo restando che non costituisce oggetto del quesito la corretta modalità di applicazione del regime “impatriati” da parte della società istante, si osserva quanto segue.
L’ Istante riferisce di aver provveduto al riconoscimento del regime agevolativo su espressa richiesta scritta da parte dei lavoratori interessati, per i quali ricorrono tutte le condizioni di legge per accedere al predetto regime.
Ciò è avvenuto applicando la detassazione dei redditi di lavoro dipendente prodotti nel territorio italiano, direttamente in busta paga, in sede di sostituzione di imposta di cui all’articolo 23 del d.P.R. n. 600 del 1973.
Inoltre, viene riferito, che tale manifestazione di volontà è nei fatti confermata attraverso la presentazione, da parte dei lavoratori interessati, di dichiarazioni personali recanti l’esposizione del reddito già detassato dall’ Istante per effetto dell’agevolazione applicata.
In tale contesto, quindi, la mancata inclusione nella retribuzione agevolabile del reddito derivante dall’esercizio delle Stock Options o dal vesting delle RSU è stata attribuita ad « una problematica nell’impostazione del software utilizzato» per elaborazione delle buste paga della società, pertanto, i dipendenti non hanno avuto modo di recuperare tramite le rispettive dichiarazioni dei redditi le maggiori ritenute subite in acconto Irpef e delle addizionali regionali e comunali per gli anni di imposta 2019 e 2020 (i cui termini come anticipato sono ad oggi scaduti).
Al riguardo, nel rispetto dei requisiti previsti per legge e ai documenti di prassi sopra citati, si ritiene che l’ Istante possa procedere al ricalcolo, per gli anni 2019 e 2020, del reddito di lavoro dipendente imponibile, in capo ai beneficiari che usufruiscono del regime in esame, applicando la detassazione per i redditi derivanti dall’esercizio delle Stock Options o dal vesting delle RSU e procedere al rimborso delle maggiori ritenute operate in capo agli stessi.
Contestualmente, l’ Istante deve presentare il Modello 770 integrativo, ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998 in virtù della possibilità di presentare una dichiarazione correttiva entro i termini per l’accertamento dell’imposta (non ancora scaduti per gli anni di riferimento) e, infine, rettificare le Certificazioni Uniche ai sensi dell’articolo 4 del medesimo d.P.R. n. 322 del 1998 per i periodi 2019 e 2020, consentendo quindi ai lavoratori di poter integrare la loro dichiarazione personale con le rettifiche operate (ovvero riducendo il reddito imponibile e l’ammontare delle ritenute subite).
Per quanto riguarda l’anno di imposta 2021, preso atto dell’impossibilità di procedere al riconoscimento del beneficio da parte dell’ Istante nell’ambito delle operazioni di conguaglio di fine anno, circostanza evidenziata nell’istanza ed assunta acriticamente, l’ Istante potrà esporre nella Certificazione Unica 2022, utilizzando le apposite annotazioni, la corretta quantificazione del reddito imponibile agevolato, per consentire ai beneficiari di recuperare le maggiori ritenute subite direttamente in sede di dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2021.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto, restando impregiudicato ogni potere di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
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