AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 22 dicembre 2021, n. 858
Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Recupero dell’IVA assolta a seguito di una nota di variazione in diminuzione errata
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA], di seguito anche istante, fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante, holding industriale mista con funzioni commerciali, operante prevalentemente nel settore […] e, più in particolare, nella produzione di […], nel corso del 2014, in virtù della propria posizione di vertice nella struttura operativa del gruppo industriale [BETA], ha siglato un contratto quadro di acquisto di […] necessarie alle esigenze produttive delle proprie controllate con il fornitore [GAMMA], il quale ha, quindi, emesso tre fatture di acconto, la cui IVA è stata detratta dall’istante nel periodo di imposta 2014.
Le parti hanno successivamente convenuto di risolvere il predetto contratto e, quindi – riferisce l’istante – il fornitore «[GAMMA], per dar corso a quanto pattuito, emette pertanto tre note di credito (cfr. Allegato 4), di cui la prima nel 2015 e le altre due nel 2017 a storno delle tre fatture di acconto emesse nel 2014. Con la nota di credito emessa nel 2015, ai sensi dell’art. 26, comma 2, [GAMMA] rettifica interamente la corrispondente fattura di acconto accreditandosi la relativa IVA. [ALFA] dal canto suo provvede a registrare la nota di credito e a far concorrere l’imposta a suo debito evidenziata nel citato documento, dapprima nella liquidazione periodica e successivamente nella propria dichiarazione IVA relativa al periodo di imposta 2015».
L’istante fa presente, inoltre, che «A seguito di verifica fiscale condotta nei confronti dell’Istante, la Guardia di Finanza di […], contesta a [ALFA] la detrazione dell’IVA sulle tre fatture di acconto; nell’ambito delle attività ispettive [ALFA] rappresenta nella sua interezza i fatti, esibendo anche le note di credito ricevute a seguito della risoluzione del contratto di fornitura».
Al riguardo, precisa l’istante che «Le ragioni della contestazione […] attengono sostanzialmente alla natura del rapporto instaurato tra [ALFA] e le sue controllate nel contratto di fornitura con [GAMMA], ricostruito dalla GDF in un mandato con rappresentanza, invece che di un mandato senza rappresentanza come rivendicato da [ALFA]».
Prosegue la narrazione dei fatti, riferendo che «In data […] 2021 [ALFA] riceve da [GAMMA] (cfr. Allegato 5) una richiesta di restituzione dell’IVA relativa alla nota di credito n.[…] del 16/09/2015; a seguito di controllo avviato su segnalazione della Guardia di Finanza di […], infatti, l’Agenzia delle Entrate di […] recupera l’IVA detratta da [GAMMA] in quanto il documento risultava da questa emesso oltre dodici mesi dalla data della fattura oggetto di rettifica, in supposta violazione di quanto disposto dall’articolo 26 commi 2 e 3.
[GAMMA], dunque, dopo aver aderito alle contestazioni dell’ufficio e versato quanto da questo richiesto a titolo di imposta, sanzioni e interessi, intimava [ALFA] di restituirgli l’imposta versata all’Agenzia delle Entrate – sulla base del principio di neutralità dell’imposta del valore aggiunto e del conseguente indebito arricchimento che da questo versamento ne deriverebbe in capo all’erario – invitandola a procedere alla successiva richiesta di restituzione della medesima imposta all’ufficio competente territorialmente (DRE […]), tramite istanza ex art. 30-ter del DPR 633/1972».
In alternativa, «[GAMMA] proponeva a [ALFA] di recuperare l’imposta di cui continuava a reclamare la restituzione non più tramite rimborso ma attraverso la procedura della detrazione. In sostanza [ALFA], dopo aver rimborsato [GAMMA], avrebbe recuperato tale somma annotando nei propri registri IVA una nota di debito all’uopo emessa da [GAMMA] stessa, riportante i riferimenti all’avviso di accertamento da cui questa scaturirebbe, individuando la fonte legale di tale soluzione nell’articolo 60 comma 7».
Ciò premesso in fatto, l’istante pone i quesiti di seguito esposti.
«Quesito – In via principale, al fine di rispettare il principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, si chiede a codesta Spettabile Agenzia di esprimersi in ordine alla possibilità che l’Istante possa applicare l’art. 30-ter, comma 2, previa restituzione dell’imposta non dovuta al cedente, già versata a suo tempo a fronte della registrazione della nota di credito da questi emessa;
Quesito – In via secondaria, si chiede a codesta Spettabile Agenzia di esprimersi in ordine alla possibilità che l’Istante possa applicare l’art. 60, comma 7, e quindi, recuperare la medesima imposta restituita al cedente con il meccanismo della detrazione ivi previsto;
Quesito – In ultima istanza, si chiede a codesta Spettabile Agenzia di esprimersi in ordine alla possibilità che l’Istante possa applicare l’art. 30-ter, comma 1, e quindi, recuperare l’imposta, nel frattempo restituita al cedente, presentando un’istanza di restituzione entro il termine biennale decorrente dalla data del rimborso al cedente».
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, « a) L’Istante ritiene applicabile al caso di specie la disposizione di cui all’articolo 30-ter al fine di vedere rispettato il principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto. Dunque, dopo aver restituito al cedente l’imposta oggetto dell’avviso di accertamento divenuto definitivo, potrà recuperare la suddetta presentando un’istanza di restituzione all’Amministrazione finanziaria competente. Quanto precede in considerazione del fatto che al di là della mera interpretazione letterale del disposto normativo in commento, che subordina l’esperibilità dell’azione ad un avviso di accertamento divenuto definitivo in capo al cessionario, si è in presenza di un caso in cui il principio di neutralità risulterebbe violato a favore dell’Erario che ne risulterebbe pertanto ingiustificatamente arricchito.
Per riequilibrare tale situazione, ad avviso dell’Istante, risulta corretto interpretare estensivamente la disposizione in commento superando il dato letterale del 30-ter e quindi prescindere dal fatto che a ricevere un atto di accertamento divenuto definitivo sia stato il cedente e non il cessionario dell’operazione, come ovvia conseguenza del fatto che oggetto della verifica fiscale sia stata la detrazione dell’IVA su una nota di credito e non quella relativa ad una fattura attiva.
[…]
L’Istante ritiene infatti che la questione sia meramente formale, non configurando quella concreta una fattispecie differente rispetto a quella astrattamente tracciata dalla norma, delineandosi nelle due un identico assetto di diritti da tutelare tramite la disposizione de qua. Non può dunque considerarsi diverso il caso in cui la detrazione negata che dà impulso alla procedura discenda da una fattura di acquisto rispetto a quello in cui promani da una nota di credito, essendo perfettamente identico il punto di caduta, nonostante l’inversione soggettiva che ne consegue.
b) In subordine, nel caso in cui non si volesse accedere alla soluzione prospettata al punto che precede, ferma restando la necessità del rispetto dei principi di neutralità e proporzionalità dell’imposta, l’Istante ritiene applicabile il disposto dell’art. 60, comma 7, il quale consente al cedente che non ha assolto ab origine l’imposta su una operazione imponibile di poter richiedere la restituzione della suddetta imposta al cessionario (c.d. rivalsa facoltativa) alle condizioni suindicate. Ad avviso dell’Istante, ci troveremmo nel caso di specie conformi ai profili soggettivi delineati dall’art. 60, comma 7, ovverosia di un cedente destinatario di un avviso di accertamento divenuto definitivo che può, al fine di rispettare il principio di neutralità, rivalersi “facoltativamente” sul cessionario al quale, subordinatamente alle condizioni suesposte, è riconosciuto il diritto alla detrazione.
c) In ultima istanza, nel caso in cui non si volesse accedere alle soluzioni prospettate ai punti che precedono, ferma restando la necessità del rispetto dei principi di neutralità e proporzionalità dell’imposta, l’Istante ritiene applicabile l’art. 30, comma 1, il quale permette al soggetto passivo d’imposta di presentare un’istanza di restituzione dell’imposta non dovuta entro il termine biennale dalla data del versamento ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Sul punto l’Istante ritiene che, a differenza di quanto stabilito dal medesimo articolo – comma 2, nel caso di specie, il riferimento al “soggetto passivo d’imposta” permetterebbe di rientrare all’interno dei confini delineati dall’ambito soggettivo di applicazione della norma, qualificandosi l’Istante come il soggetto passivo obbligato ad assolvere l’imposta sulla nota di variazione all’epoca registrata.
In tal caso, la restituzione dell’imposta a [GAMMA] legittimerebbe l’Istante, soggetto passivo d’imposta, a presentare, entro il termine biennale, un’istanza di restituzione in modo determinando il pieno rispetto del principio di neutralità e proporzionalità dell’imposta. Tutto ciò, ovviamente, a patto che il diritto maturi e il termine per il suo esercizio decorra dal momento della restituzione a [GAMMA], facendo ricadere diversamente in maniera del tutto illegittima il caso di specie all’interno di una situazione – di fatto e di diritto – esattamente coincidente con quella, censurata a livello comunitario, anteriore all’inserimento nel sistema italiano dell’IVA delle disposizioni in commento».
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 8 della legge 20 novembre 2017, n. 167 “Legge Europea 2017” ha introdotto l’articolo 30- ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito “decreto IVA”), che attualmente definisce il sistema di recupero dell’IVA indebitamente versata.
La norma, al comma 1, consente al soggetto passivo di poter presentare «domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione».
Più particolare si presenta la previsione contenuta nel comma 2 dell’articolo in esame, che prende in considerazione il caso in cui sia intervenuto un accertamento definitivo da parte dell’Amministrazione finanziaria, che abbia individuato un debito di imposta inferiore rispetto a quella versata.
Testualmente il comma in commento prevede che «Nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa».
Come anche recentemente chiarito con la risposta ad interpello n. 66 pubblicata il 12 novembre 2018 nell’apposita sezione del sito della scrivente (www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agliinterpelli/interpelli), «Per motivi di cautela fiscale e per evitare un indebito arricchimento del cedente/prestatore, il rimborso dell’IVA indebitamente versata è strettamente collegato alla restituzione al cessionario/committente di quanto erroneamente addebitato ed incassato a titolo di rivalsa. I due anni entro i quali presentare la richiesta di rimborso dell’IVA non dovuta decorrono dal momento in cui avviene la restituzione al cessionario/committente della medesima somma da lui versata per effetto di accertamento definitivo».
In questo modo viene ripristinata la neutralità dell’IVA, senza costringere il cessionario o committente – che ha versato all’erario, a seguito di accertamento, l’IVA che aveva indebitamente detratto – ad esperire un’azione giudiziaria nei confronti del cedente o prestatore, dal momento che il presupposto per la richiesta di rimborso si realizza in capo al cedente o prestatore proprio con la restituzione dell’imposta non dovuta in favore del cessionario o committente.
Tanto premesso, si è dell’avviso che le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 30 del decreto IVA, nonostante la lettera della norma, possano applicarsi specularmente anche al caso di specie, in cui è il cessionario o committente a dover chiedere all’erario il rimborso dell’IVA a debito erroneamente versata, una volta restituita al cedente/prestatore «l’imposta accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria» che quest’ultimo gli aveva pagato per effetto della nota di variazione.
La finalità sottesa all’introduzione della norma in commento, ovvero l’esigenza di salvaguardare la neutralità IVA, infatti, impone di riconoscere analoga tutela restitutoria in favore del cessionario o committente, lì dove, invece, l’accertamento abbia origine dal disconoscimento in capo al cedente o prestatore della detrazione dell’IVA restituita con una nota di variazione erroneamente emessa.
In detta circostanza, i due anni entro i quali il cessionario/committente può presentare la richiesta di rimborso dell’IVA non dovuta decorrono dal momento in cui avviene la restituzione al cedente/prestatore della medesima somma da lui versata per effetto di accertamento definitivo volto a disconoscere la detrazione dell’IVA restituita con la nota di variazione errata.
La soluzione innanzi citata assorbe la proposta in via subordinata di cui alla lettera c) (ricorso al comma 1 dell’articolo 30- ter del decreto IVA).
In merito invece, alla possibilità di ricorrere, in via subordinata, all’articolo 60, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 [proposta di cui alla lettera b)], si osserva che anche detto comma – così come modificato dall’articolo 93 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 “Decreto liberalizzazioni”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, legge 24 marzo 2012, n. 27 – è volto a ripristinare la neutralità dell’IVA in caso di accertamento o rettifica dell’imposta.
Testualmente la norma stabilisce che «Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione».
Come chiarito con la risoluzione n. 75/E del 14 settembre 2016, la citata disposizione, introdotta per «garantire la conformità delle disposizioni interne ai principi di neutralità e di detrazione, previsti dalla normativa comunitaria in termini di caratteristiche immanenti all’intero sistema dell’IVA», consente al contribuente, che ha subito un accertamento ai fini IVA, di riaddebitare a titolo di rivalsa al cessionario/committente la maggiore imposta accertata e versata.
Già in precedenza, la circolare n. 35/E del 17 dicembre 2013 aveva precisato che «In base alla nuova disposizione il contribuente può esercitare la rivalsa dopo aver effettivamente pagato all’Erario l’imposta accertata, le sanzioni e gli interessi. Essa prevede, inoltre, che l’esercizio del diritto a detrazione da parte del cessionario o committente sia subordinato, in deroga agli ordinari principi, all’avvenuto pagamento dell’IVA addebitatagli in via di rivalsa dal cedente o prestatore. In tal modo è scongiurato l’ingiusto arricchimento che il cessionario o committente conseguirebbe se detraesse l’imposta senza provvedere al suo effettivo pagamento».
La norma «mira a ripristinare, anche nelle ipotesi di accertamento, la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa e dal diritto di detrazione consentendo il normale funzionamento dell’IVA, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici» (in tal senso le risposte ad interpelli n. 84, pubblicata il 26 novembre 2018; n. 176, pubblicata il 31 maggio 2019; e n. 510 del 26 luglio 2021, tutte rinvenibili nell’apposita sezione del sito della scrivente (www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agliinterpelli/interpelli).
Tanto premesso, al fine di garantire la neutralità dell’IVA, in linea generale, non si ravvisano impedimenti all’applicazione dell’articolo 60 ultimo comma del decreto IVA anche all’ipotesi in cui in capo al cedente sia stata accertata una indebita detrazione dell’IVA relativa ad una nota di variazione emessa tardivamente, in violazione del disposto di cui all’articolo 26, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Anche in tale ipotesi, infatti, si configura in capo al cedente un recupero dell’imposta da parte dell’Amministrazione (questa volta non dell’IVA di rivalsa non/erroneamente fatturata, ma dell’IVA a credito erroneamente restituita mediante una nota di variazione) cui consegue il diritto del cedente di rivalersi in capo al cessionario che, a sua volta, potrà esercitare la detrazione dell’imposta restituita al cedente «alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione».
Se ciò è vero in astratto, nello specifico caso oggetto di interpello occorre, tuttavia, verificare se sussistono in capo all’istante le condizioni che consentono la detrazione ai sensi dell’articolo 19 del decreto IVA avuto riguardo all’operazione originaria.
Orbene, la detraibilità da parte dell’istante dell’imposta recata dalle fatture che documentano l’operazione originaria è quantomeno dubbia, in ragione della pendenza di un contenzioso tributario avverso l’atto impositivo emesso a seguito di verifica fiscale, con cui – come riferisce l’istante nel corso dell’esposizione dei fatti – si «contesta a [ALFA] la detrazione dell’IVA sulle tre fatture di acconto».
Ne consegue che, l’istante – riversata l’IVA al fornitore – nelle more dell’esito finale del contenzioso, non potrebbe comunque detrarre l’imposta «alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione» come stabilisce il citato articolo 60, ultimo comma, del decreto IVA, essendo il diritto stesso a detrarre ancora da definire.
Nel caso specifico, dunque, la soluzione in via subordinata di cui alla lettera b) non è percorribile.
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