I giudici della Corte Suprema con la sentenza n. 701 del 13 gennaio 2017 in tema di accertamento sintetico fondato sulla spesa per incrementi patrimoniali applicato nei confronti di una casalinga. La contribuente non può opporre l’imputabilità delle spese contestate all’ex convivente. Inoltre non è sufficiente produrre una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà per non essere sottoposta a tale procedura di accertamento deve dimostra che è il compagno benestante, con cui assume di convivere, il vero proprietario delle auto di lusso e degli immobili a lei intestati, e che è sempre lui a provvedere alle relative spese.
A tal proposito va evidenziato che la previgente disposizione dell’art. 38 del DPR 600/1973 (prima della riforma del DL 78/2010) consentiva all’Agenzia delle Entrate di determinare sinteticamente il reddito sulla base degli incrementi patrimoniali, facendo salva la facoltà del contribuente di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente era costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta; inoltre – riportava il sesto comma dell’art. 38 – “L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.
Pertanto il contribuente deve provare non solo l’entità delle disponibilità finanziarie addotte quale giustificazione per la spesa contestata dal Fisco, ma deve anche dimostrarne il possesso per un periodo di tempo sufficiente. Non basta che i redditi o le risorse economiche siano transitati nella disponibilità del contribuente, ma è necessario che siano rimasti in suo possesso, così da escludere che possano poi essere stati utilizzati per un successivo investimento (Cass. nn. 22944/2015, 8995/2014, 17663/2014, 25104/2014, 14885/2015).
Gli elementi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico del contribuente possono trovare spiegazione anche nei redditi posseduti da altri familiari (circ. n. 49/2007, § 5).
Avverso l’atto impositivo la contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale che disattendeva le motivazioni della ricorrente riconoscendo corretto l’operato dell’Amministrazione finanziaria. La ricorrente impugnava la decisione del giudice di primo grado innanzi alla Commissione Tributaria Regionale che accoglievano le doglianze della contribuente hanno annullato la pretesa impositiva ritenendo che i beni in contestazione (tre autovetture – tra cui una ferrari – un ciclomotore e un immobile) non fossero, in realtà, della contribuente, ma del suo compagno, che li aveva intestati a lei fittiziamente e che provvedeva anche al loro mantenimento.
Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale ha tenuto conto, ai fini della prova contraria richiesta dall’art. 38 del D.P.R. 600/73, della dichiarazione rilasciata dall’amministratore di condominio da cui si evinceva la stabile convivenza della coppia. I giudici della CTR hanno attributo rilievo anche al fatto che la contribuente e il professionista avessero preso entrambi parte alla stipula del contratto di locazione e alla procedura di ristrutturazione dell’immobile. Infine ulteriore elemento considerato ai fini della valutazione dell’assolvimento dell’onere della prova contraria è stato quello del passaggio di proprietà del ciclomotore dalla contribuente al compagno e poi nuovamente dal compago alla contribuente, nonché il passaggio di proprietà della ferrari dalla contribuente al compagno.
L’Agenzia delle Entrate impugna la decisione della CTR con ricorso in cassazione. Per i giudici del palazzaccio l’iter logico-deduttivo seguito dalla CTR non è apparso corretto sotto il profilo della motivazione, e pertanto la causa è stata rimessa davanti al Collegio territoriale, per nuovo esame. Per gli Ermellini la decisione è illogica ed apodittica anche in merito all’affermazione secondo cui il rapporto di convivenza “si desume (a prescindere dalle risultanze anagrafiche, non decisive) dai negozi giuridici”. Risulta, inoltre, non dimostrato, anche a voler ritenere provato il rapporto di convivenza, il nesso tra convivenza e l’imputazione al convivente della capacità contributiva di beni riferibili alla contribuente. Tale errato assunto incorre nel vizio di insufficiente motivazione l’affermata consequenzialità fra la convivenza detta e la imputazione all’ex convivente della capacità contributiva di beni riferibili alla contribuente.
Nella sentenza in commento viene precisato che “l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione dell’art. 7, comma, 4, del d.lgs. 546 del 1992, giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e di prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo “ (cfr. Cass. n. 6755/2010).
La Suprema Corte ha stabilito che la prova contraria implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero nucleo familiare, per tale intendendosi la famiglia naturale, costituita dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori; la presunzione del concorso di tali soggetti alla produzione del reddito, che può fornire giustificazione all’accertamento sintetico, trovando fondamento nel vincolo che lega le predette persone, e non già nel mero fatto della convivenza, esclude infatti la possibilità di desumere da quest’ultima il possesso di redditi prodotti da un parente diverso o da un affine, in quanto tale estraneo al nucleo familiare (Cass. n. 5365/2014).
Se è ben vero che sussiste quella presunzione di concorso reddituale dei familiari alle spese della famiglia, è altresì vero che l’effettivo transito delle disponibilità da un membro all’altro della famiglia deve essere dimostrato (Cass. n. 1332/2016).
Principio valido anche nella nuova normativa
La Suprema Corte – ricordando il suo orientamento per cui la prova contraria che deve fornire il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi “ulteriori”, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte – ha stabilito che era insufficiente la decisione di merito in ordine alla sussistenza del rapporto di convivenza e la sua durata, come insufficiente oltre che illogica era l’apodittica affermazione secondo cui il rapporto di convivenza si desume – a prescindere dalle risultanze anagrafiche, non decisive – dai negozi giuridici.
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