E’ stato emanato il decreto ministeriale con cui viene aggiornato il redditometro.
In base alla normativa, non vi potranno essere accertamenti automatizzati; pertanto, occorre convocare il contribuente affinché fornisca informazioni e notizie, vanno valutati gli elementi e, solo se questi non convincono, si deve iniziare la fase di accertamento con adesione. Alla luce dell’esperienza maturata con gli studi di settore, in relazione ai quali, per molti anni, il risultato di Gerico è stato valutato dall’ Agenzia come un vero e proprio dogma. Il rischio che può emergere con il redditometro è il medesimo. Al riguardo, l’unica soluzione possibile è l’emanazione di direttive chiare a livello centrale, che possano far superare la discrezionalità del singolo funzionario. Con ciò, si riuscirebbe a privilegiare l’emanazione di un avviso di accertamento solo quando lo stesso è realmente fondato. La riflessione va ovviamente valutata alla luce delle due possibili funzioni del redditometro: strumento di selezione delle posizioni anomale da porre sotto la lente dell’accertamento e metodologia accertativa vera e propria. Il primo aspetto ben si sposa con gli automatismi informatici, impostati in modo da cogliere il livello di presunto “rischio fiscale” del contribuente; così, si spiega benissimo l’ampio riferimento alle voci standard elaborate dall’Istat.
Tuttavia, la prima fase di “cernita automatizzata” deve poi essere seguita da un successivo stadio di confronto personalizzato, indispensabile per transitare dal generale al particolare mediante un percorso di adattamento che tenga conto delle peculiarità della posizione. Qui, allora, cominciano a sorgere alcune perplessità: in primo luogo, in relazione agli strumenti a disposizione del singolo contribuente. Si badi bene che parliamo di accertamenti applicabili sin dal periodo di imposta 2009, con una situazione che avrà pure la copertura normativa necessaria, ma di certo fatica a sposarsi con la logica, quanto meno per la circostanza che non era diffusa l’abitudine, nel passato, di mantenere memoria e annotazione delle singole movimentazioni effettuate, sia in entrata (donazioni tra familiari, prestiti vari, ecc.), sia in uscita.
In sostanza, per giustificare la correttezza della propria posizione, sembra necessario riuscire a ricostruire la “vita finanziaria” propria e della famiglia, dimostrando un livello di spesa inferiore a quello presunto, oppure l’esistenza di redditi legittimamente non dichiarati, oppure ancora di disponibilità accumulatesi nel tempo. Tocchiamo, allora, il tasto degli investimenti (al netto di eventuali finanziamenti ricevuti), che nel nuovo redditometro giocano in rapporto di 1 a 1 sull’anno di effettuazione dell’acquisto (ad esempio, dell’abitazione), quando invece l’esperienza comune insegna che gli stessi sono solitamente possibili anche grazie al risparmio di più annualità. Inoltre, la tabella A allegata al decreto, da un lato, consente di nettizzare l’esborso con i disinvestimenti netti dell’anno e dei quattro precedenti; tuttavia, l’articolo 3, ammonisce che il reddito ricostruito deve tenere conto anche della quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno. Insomma, se l’accumulo di denaro (risparmio) legittimamente presuppone l’esistenza di un reddito nel periodo, ci sembra ragionevole ritenere che l’utilizzo di quel risparmio rappresenti tecnicamente un disinvestimento che deve decrementare l’ammontare della spesa sostenuta.
Le spese per consumi sono state ricostruite più vicine alla realtà e depurate da qualsiasi giudizio sulla finalità dell’esborso, maggior peso degli investimenti su cui grava l’assenza di una automatica “spalmatura” su cinque anni. Sono questi i primi elementi che emergono dal confronto tra il nuovo e il vecchio redditometro. E, in particolare sul risparmio, l’effetto maggiore si verifica sempre che l’incremento del risparmio accumulato negli anni non possa essere considerato (come invece sembra dalla lettura del decreto) la fonte dalla quale si è attinto per sostenere la spesa. Infatti, se da un lato è vero che il risparmio (pari all’incremento, ad esempio, delle disponibilità sul conto corrente) viene considerato come un investimento negli anni in cui si forma, nei successivi momenti in cui si utilizzano i depositi gli stessi dovrebbero determinare un effetto di nettizzazione della spesa (negli esempi in pagina, ad esempio, l’acquisto dell’auto e dell’abitazione, per la parte non finanziata, potrebbero essere state rese possibili grazie al risparmio degli anni precedenti e quindi decrementarsi o addirittura azzerarsi). Chiarito il ragionamento di fondo, va detto che i conteggi proposti, in relazione al vecchio redditometro, sono stati elaborati sulla base dell’ultimo provvedimento disponibile, sia pure riferito alle annualità 2008/2009 (i parametri, dunque, dovrebbero essere incrementati dell’eventuale crescita Istat maturata nel periodo successivo). Inoltre, il reddito minimo da dichiarare, con il precedente strumento, beneficiava della franchigia del 25%, anziché della nuova del 20 per cento. Ma il confronto dei risultati, al di la di queste differenziazioni, potrebbe essere utile per ragionare in termini di possibile utilizzo dei dati “nuovi” per corroborare la posizione del contribuente per annualità antecedenti al 2009 in fase contenziosa o pre contenziosa; al riguardo, si rinvia alle riflessioni di altro intervento in pagina. Non si possono non notare, infatti, alcune macroscopiche differenze per quanto attiene, specialmente, le abitazioni e le vetture. La casa, infatti, sia nel caso dell’acquisto con mutuo che nel caso della conduzione in locazione attribuisce al contribuente un valore di reddito (ante abbattimenti), che va dai 30 ai 40mila euro, a seconda della collocazione territoriale; nel nuovo strumento, invece, nel peggiore dei casi si raggiungono poco più di 16mila euro, conteggiando anche arredamenti, forniture ed elettrodomestici. Anche nel caso della vettura le sorprese non mancano, e dai precedenti 30mila euro (ante abbattimenti) si declina a circa 5mila euro. Pur con minore impatto in valore assoluto, i disallineamenti esistono anche sulle altre piccole voci; l’assicurazione subiva un moltiplicatore di 10 volte, la presenza del collaboratore familiare di circa 4,5. Queste diversità venivano nel passato spiegate con il fatto che il redditometro coglieva non solo il costo di mantenimento del bene, ma anche la propensione alla spesa che veniva associata al contribuente che aveva la disponibilità del medesimo bene o servizio; quindi, con la disponibilità di un’auto di lusso, ad esempio, si presumeva l’esistenza anche un elevato tenore di vita in tutte le altre manifestazioni. Proprio in questo ragionamento si annidava la debolezza della ricostruzione, che accomunava (in modo indebito) le abitudini di tutti i cittadini; diversamente, appare assolutamente normale che la spesa destinata alle varie voci dipenda dai gusti e/o dalle necessità del soggetto. Il nuovo redditometro, al riguardo, indaga spaziando sulle varie spese possibili, differenziandosi anche in ragione dell’esistenza di nuclei familiari più o meno numerosi. Pertanto, se le spese medie rilevate dall’Istat sono ritenute, oggi, un valido parametro di riferimento per comprendere quale sia la spesa normalmente necessaria per la vita di un contribuente, non si vede perché le medesime (disponibili anche per le annualità pregresse) non possano costituire un valido termine di paragone per giustificare un presunto disallineamento con il precedente strumento. In fin dei conti, la riscrittura dell’articolo 38, ad opera del Dl 78/2010, è stata proprio effettuata con lo scopo di aggiornare uno strumento non più allineato con la realtà, profondamente mutata nell’ultimo decennio. Se è mutata la realtà dovrebbe mutare anche la metodologia di ricostruzione del reddito.
Il nuovo redditometro potrà risultare utile anche per le rettifiche basate sul precedente strumento. Le nuove regole presuntive, in vigore dal periodo d’imposta 2009 si fondano, infatti, quasi esclusivamente su dati elaborati dall’Istat. E utilizzando “retroattivamente” la nuova metodologia, e quindi applicando le tabelle dell’istituto di statistica per gli anni 2007/2008 (disponibili sul sito), emerge che i valori presuntivi sono spesso inferiori rispetto a quelli risultanti dal vecchio strumento. È il caso delle autovetture, o ancora del canone di locazione per l’abitazione principale: con il vecchio metodo, esso si sommava al valore base e poi si moltiplicava per un coefficiente, e ciò comportava la triplicazione del reddito rispetto al canone effettivamente pagato. Ora, invece, la locazione rileva per quanto risulta da contratto e si sommano le possibili spese (utenze, manutenzioni ecc) su base statistica.
Emergono, ora, gli eccessi delle pregresse presunzioni. La nuova metodologia appare simile, per molti versi, a quella degli studi di settore, per i quali è noto che, essendo periodicamente aggiornati, sia possibile chiedere l’applicazione della versione più evoluta. Per questo potrebbe costituire un interessante spunto difensivo, ricalcolare, nei limiti del possibile, il reddito, determinato dall’ufficio con il vecchio redditometro, con i nuovi parametri tenendo conto non solo dei beni indice previsti nella precedente versione, ma di tutte le voci presenti sulle tabelle Istat. Se da tale confronto, gli importi dovessero risultare inferiori a quelli calcolati dall’amministrazione vuol dire che forse l’accertamento non teneva conto della reale capacità reddituale del contribuente. In presenza di queste situazioni, sarebbe auspicabile che l’Agenzia facesse un passo indietro, rivedendo le precedenti pretese, sia in fase di adesione, sia in contenzioso, dimostrando così che si intende perseguire la vera evasione e non si pretendono, sempre e comunque, delle somme a prescindere dalle violazioni commesse.
Giurisprudenza
Secondo la Corte di cassazione sentenza n. 23554/12,, anche il nuovo redditometro (così come il “vecchio”) è da inquadrare tra le presunzioni semplici, per cui non si inverte in alcun modo l’onere probatorio nei confronti del contribuente. La sentenza è la n. 23554/2012, depositata il 20 dicembre 2012, e verte circa la possibilità o meno che l’amministrazione avrebbe avuto di esperire l’accertamento sintetico nei confronti di un contribuente che utilizzò il cosiddetto “concordato di massa” del 1994. Nella sue conclusioni, favorevoli al contribuente, la Corte ulteriormente precisa che «l’accertamento sintetico disciplinato dall’articolo 38 Dpr n. 600/1973, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dall’articolo 22 del Dl 78/2010 tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo del contribuente mediante i cosiddetti elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale».
Si può già ben dire che, con queste parole, la Cassazione indica già la strada circa la effettiva valenza del nuovo accertamento sintetico e, in particolare, del nuovo redditometro. In relazione al vecchio redditometro, va registrato che, fino al 2011, la Cassazione aveva sempre precisato che si tratta di una presunzione legale relativa, la quale inverte l’onere probatorio e lo addossa sul contribuente. Va anche detto che la stragrande maggioranza delle sentenze della Corte, oltre a non essere favorevoli al contribuente, concludevano con una sorta di clausola di stile, affermando che il contribuente non aveva provato che il suo reddito non esiste o esiste in misura inferiore a quello attribuito dal redditometro. Conclusione da ritenersi tecnicamente ineccepibile (fatte salve le specifiche prove contrarie individuate dal decreto del 1992 relativo al redditometro), ma che testimonia le difficoltà di fornire la prova contraria.
Nel 2011, invece, la Corte di cassazione (con sentenza 13289/2011) afferma che l’accertamento da redditometro (si badi bene, da redditometro e non del “sintetico” in generale) rientra tra quelli cosiddetti “standardizzati” e, quindi, tra quelli che si fondano su presunzioni semplici. Anche nella relazione n. 94 del 9 luglio 2009 dell’ufficio del massimario e del ruolo della Cassazione venne affermata l’appartenenza del redditometro tra gli accertamenti standardizzati. Quest’ultimi sono quella tipologia di accertamenti che partono da un dato medio-ordinario, il più delle volte determinato con metodi anche statistici, che hanno bisogno di un concreto adeguamento, attraverso l’obbligatorio contraddittorio (anche quando non previsto dalla legge), alla reale situazione del contribuente. Così che se l’amministrazione emette l’atto di accertamento, quest’ultimo deve tenere conto di tale personalizzazione, per cui non si è in presenza di un fatto noto stabilito dalla legge – prerogativa delle presunzioni legali – ma di una presunzione semplice. Il giudice, quindi, deve valutare se la personalizzazione effettuata dall’ufficio integra i requisiti di gravità, precisione e concordanza propri delle presunzioni semplici. Conseguentemente, l’onere probatorio incombe per primo sull’ufficio, il quale deve dare prova di questa personalizzazione.
Dopo la sentenza n. 13289/2011 (a cui si è adeguata la Ctr Torino 76/14/11), la Cassazione era però tornata ad inquadrare il vecchio redditometro tra le presunzioni legali (Cass. 27545/2011). Ora, invece, la Corte attribuisce nuovamente al vecchio accertamento da redditometro valenza di presunzione semplice, ma soprattutto lo fa, senza alcun dubbio, per il nuovo (dicendo “già nella formulazione anteriore” a quella del Dl 78/2010). Si tratta di una conclusione assolutamente coerente e sistematica, visto che, in particolare, per il nuovo redditometro (che di fatto assorbe anche l’accertamento sintetico “puro”) si è in presenza di una serie di elementi che devono essere assolutamente personalizzati. Accanto alle spese effettive rintracciate dall’amministrazione, rilevano infatti anche gli incrementi patrimoniali e i valori Istat, oltre quelli derivanti da analisi e studi socio economici. E’ evidente la necessità di personalizzare i valori figurativi e gli incrementi patrimoniali. Da qui la conclusione che l’eventuale accertamento (se non si trova un accordo in sede di adesione) non può riportare acriticamente i valori derivanti dal redditometro e, quindi, non si è in presenza di un fatto noto stabilito dalla legge – prerogativa delle presunzioni legali – ma di una presunzione semplice.
- decreto ministeriale 2013 adeguamento e modifica del nuovo redditometro
- tabella elementi di spesa ai fini dell’applicazione del nuovo redditometro
- sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia n. 74 del 18/04/2013
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