La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 658 depositata il 15 Gennaio 2014 intervenendo in materia di regime del margine ha statuito che il regime del margine, disciplinato dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. nella L. n. 85 del 1995, trova applicazione solo nelle ipotesi in cui il contribuente riesca a dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo ed in particolare il carattere usato degli autoveicoli ceduti dopo avere percorso 6000.00 Km dopo la prima immatricolazione, il terzo presupposto costituito dalla imponibilità dell’operazione a monte o dall’applicazione del regime del margine da parte del venditore.
Per i giudici di legittimità, che accolgono il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, le operazioni commerciali compiute sul territorio nazionale vanno sottoposte al regime fiscale ordinario. Sussistono, comunque, delle deroghe a tale principio per particolari categorie di operazioni per le quali sono previste diverse altre tipologie di tassazione. Il c.d. regime di margine è uno di questi è trova applicazione solo per determinate categorie di contribuenti con precisi requisiti (nel caso di specie un concessionario, rivenditore di auto usate). Per l’applicazione del predetto regime del margine occorre che vi siano i presupposti soggettivi ed oggettivi che devono sussistere contemporaneamente. Il regime di margine, che comporta l’indetraibilità dell’Iva sugli acquisti e sull’importazione dei beni usati, trova applicazione:
- al privato, sia all’interno dello Stato che dell’UE;
- al soggetto passivo, che non ha potuto detrarre all’atto d’acquisto l’imposta;
- al soggetto passivo comunitario in regime di esonero nel proprio Stato;
- al soggetto passivo d’imposta che abbia assoggettato l’operazione al regime del margine.
Gli Ermellini hanno affermato che “il regime del margine si applica in quanto il contribuente riesca a dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo”. Per cui alla luce di quanto precisato dalla Corte la questione è dunque essenzialmente di carattere probatorio. “Il rischio fiscale dell’operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti non può che ricadere sul concessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamente la regolarità sostanziale dell’operazione”.
I giudici del Palazzaccio a sostegno della propria tesi citano consistente giurisprudenza comunitaria.
Per cui nella fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione non è sufficiente che la documentazione prodotta dal contribuente non sia stata contraffatta, non avendo il contribuente fornito la prova richiesta dalla legge, risulta impossibile applicare il conseguente regime fiscale invocato dalla società resistente, la quale, secondo la Suprema Corte, è di fatto evaso il fisco omettendo versamenti dovuti allo Stato italiano.
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