AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 28 settembre 2018, n. 14
Regime fiscale (IRES, IRAP ed IVA) relativo alla offerta di token digitali – ART. 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212
Quesito
La società istante (di seguito, “Società”) intende emettere un “utility token” – ovvero un token che consente al possessore di ottenere dei beni o servizi – e venderlo al pubblico attraverso una “Initial Coin Offering” (di seguito, ICO). A tal fine, l’istante attraverso un documento denominato “whitepaper” stabilirà:
– l’ammontare minimo e massimo dei token da offrire sul mercato;
– il valore di ogni token in termini di valuta corrente ovvero di valuta virtuale;
– la quantità di valuta corrente o di valuta virtuale necessaria per comprare un token;
– il valore dei beni e servizi che potranno essere resi al compratore del token, successivamente all’ICO, ovvero la quantità di token necessaria per ottenere un determinato bene o servizio;
– il numero di token emessi in aggiunta a quelli offerti, che la società si riserva di mantenere come propri.
Tali token potranno essere comprati pagando il prezzo mediante valuta virtuale o valuta corrente (euro o dollari). Al termine dell’offerta al pubblico (ICO), la Società avrà venduto in tutto o in parte la quota dei token emessi, ottenendo in cambio sia valuta corrente (euro e dollari) che criptovalute.
I titolari dei token potranno restituirli in qualsiasi momento alla Società emittente per fruire dei beni e servizi che la stessa è autorizzata a vendere.
In alternativa, l’acquirente potrà cedere il token a terzi, a fronte di un corrispettivo in valuta corrente o valuta virtuale.
Anche la Società potrà decidere di cedere a terzi i token detenuti, ricevendo in cambio valuta corrente o valuta virtuale.
Ciò posto, l’istante chiede chiarimenti in merito al trattamento fiscale applicabile, ai fini delle imposte dirette (IRES e IRAP) e indirette (IVA), alle operazioni di cessione dei token e di conversione delle criptovalute (bitcoin o ethereum) in valuta corrente.
Si pone, inoltre, l’esigenza di chiarire quale sia il trattamento fiscale da applicare in capo al percettore (amministratori, dipendenti e a qualsiasi altro soggetto) nel caso in cui la Società corrisponda compensi in forma di token.
Sulla base della documentazione integrativa, è emerso che l’emissione e la vendita dei token effettuata dalla Società, sfruttando il meccanismo del crowdfunding, è funzionale alla raccolta di fondi in criptovaluta, per la realizzazione di uno specifico progetto. In sostanza, l’emissione dei token serve a raccogliere fondi in criptovalute per finanziare un nuovo progetto.
Nella medesima documentazione, l’istante rappresenta, infine, che l’acquisto di tutti i token emessi avverrà mediante pagamento esclusivo in criptovaluta che la Società provvederà a convertite in valuta corrente.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene che, in sede di offerta del token, il corrispettivo ricevuto dall’acquirente costituisca il pagamento anticipato per la cessione del bene o della prestazione di servizi che si realizzerà successivamente con la restituzione del token.
Conseguentemente, ai fini delle imposte dirette, tale importo sarà irrilevante fino al momento in cui la cessione dei beni e/o la prestazione dei servizi è considerata effettuata, ai sensi del comma 2, lettere a) e b), dell’articolo 109 del TUIR.
Ai fini IVA, l’istante ritiene applicabile il regime ordinario in quanto l’operazione descritta rappresenta una “prevendita” di beni o servizi.
A parere dell’istante, dunque, l’operazione andrà fatturata al momento in cui il token è restituito dall’acquirente a fronte della fruizione della prestazione o della consegna del bene ad esso collegato.
Qualora in sede di offerta, l’istante riceva valuta virtuale, ai fini delle imposte dirette, la Società ritiene applicabile l’articolo 110, comma 2, e l’articolo 9, comma 2, del TUIR, in base ai quali la conversione in euro delle componenti in oggetto deve essere effettuata al cambio del giorno in cui i corrispettivi e le spese si considerano percepiti o sostenute.
Inoltre, l’istante ritiene che qualora ceda la valuta virtuale incassata, ai fini IVA, si applica il regime di esenzione di cui all’articolo 10, comma 1, n. 3), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Infine, in merito al trattamento in capo al percettore dei compensi erogati in forma di token ad amministratori, dipendenti e a qualsiasi altro soggetto, l’istante ritiene che gli stessi siano assimilabili ad un compenso in natura a cui si rende applicabile l’articolo 51, comma 3, del TUIR.
Conseguentemente, i token ricevuti a titolo di compenso concorreranno interamente alla formazione del reddito del percettore, fatta salva la franchigia di euro 258,23.
Parere dell’agenzia delle entrate
In via preliminare, si fa presente che la seguente risposta si basa su una mera prospettazione dell’intera operazione da parte del contribuente, senza che sia stato esibito alcun documento di supporto. In particolare, l’istante non ha fornito (anche in bozza) il whitepaper ossia il documento fondante di tutta l’operazione che dovrebbe illustrare il progetto imprenditoriale nonché le caratteristiche dell’offerta (c.d. ICO) e dei token digitali di futura emissione. Non sono stati forniti, inoltre, dettagli in merito alle rilevazioni contabili che la Società intende effettuare nella fase di redazione del proprio bilancio d’esercizio.
Le considerazioni che seguono riguardano esclusivamente il fatto – esplicitato in sede di documentazione integrativa da parte del contribuente – che i token saranno rappresentativi unicamente del diritto di acquistare beni e servizi del soggetto emittente (c.d. utility token), con espressa esclusione di finalità di natura monetaria, speculativa e partecipativa.
Gli effetti giuridici dell’interpello si produrranno, pertanto, solo nella ipotesi in cui la fattispecie che si realizzerà concretamente, non precisamente qualificabile sulla base delle scarse informazioni fornite dall’istante, effettivamente comporti un utilizzo di token conformi alla predetta affermazione resa in sede di integrazione documentale.
Ciò posto, si evidenzia in via generale che le Initial Coin Offerings (ICO) costituiscono una forma di finanziamento, utilizzata da start-up o da soggetti che intendono realizzare un determinato progetto, resa possibile tramite la tecnologia blockchain.
Generalmente accade che l’impresa emittente offre al pubblico (normalmente tramite un cd. “whitepaper”) un progetto da finanziare attraverso la vendita di token digitali di un dato valore ai soggetti interessati (principalmente, persone fisiche non esercenti attività di impresa commerciale).
I soggetti che aderiscono a tali iniziative acquistando token, in sostanza, effettuano un investimento del proprio risparmio remunerato in vario modo. In particolare, i token possono essere distinti in:
– security token, rappresentativi di diritti economici legati all’andamento dell’iniziativa imprenditoriale (ad esempio, il diritto di partecipare alla distribuzione dei futuri dividendi) e/o di diritti amministrativi (ad esempio diritti di voto su determinate materie);
– utility token, rappresentativi di diritti diversi, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo).
Oltre ad attribuire i suddetti diritti, alcuni token possono essere scambiati sul mercato secondario tramite la piattaforma dell’emittente o su altre piattaforme di scambio.
Nel caso di specie, la Società intende porre in essere una ICO nell’ambito della quale emettere utility token, rappresentativi del diritto a fruire di servizi per la diagnosi della infertilità inspiegata presso i laboratori di sua proprietà, a fronte di pagamenti in valuta virtuale che la Società convertirà in euro. Tali token potranno essere utilizzati direttamente dall’acquirente originario o ceduti a terzi, a fronte di corrispettivi anche in valuta virtuale.
Al fini dell’applicazione dell’IVA, con riferimento alla cessione degli utility token da parte della Società verso corrispettivo a privati consumatori, si ritiene che gli stessi presentino caratteristiche tali da essere tendenzialmente assimilati ai voucher, quali strumenti che conferiscono al detentore il diritto a beneficiare di determinati beni e/o servizi.
Ai fini dell’individuazione del trattamento fiscale applicabile, si rinvia pertanto ai chiarimenti resi dalla risoluzione del 22 febbraio 2011, n. 21/E secondo cui l’emissione e la circolazione dei voucher non assumono rilevanza IVA, non configurandosi quale anticipazione della cessione/prestazione cui i “buoni” stessi danno diritto. La rilevanza fiscale, e quindi l’applicazione dell’IVA, si assume dunque al momento dell’utilizzo del voucher, ossia all’atto dell’acquisto del bene/servizio che lo stesso incorpora (i.e. consumo finale).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Società, si è dell’avviso che la cessione degli utility token sia più correttamente riconducibile ad una mera movimentazione finanziaria, non rilevante agli effetti dell’IVA e che l’imposta si renderà esigibile solo al momento in cui i beni saranno ceduti o i servizi prestati con la spendita dei token.
Si segnala, peraltro che a partire dal 1° gennaio 2019, gli Stati membri dovranno trasporre nel proprio ordinamento le norme della Direttiva UE 2016/1065 (Direttiva recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il trattamento dei buoni). Occorrerà, quindi, verificare dopo tale data la possibilità di ricondurre le operazioni in oggetto alla specifica disciplina attuata dalla citata direttiva.
Relativamente al quesito riguardante il trattamento ai fini IVA della cessione (cambio) della criptovaluta (bitcoin o ethereum) detenuta dalla Società, in valuta corrente, si rinvia alla risoluzione 2 settembre 2016, n. 72/E che, nel recepire l’orientamento della Corte di Giustizia europea (cfr. sentenza del 22 ottobre 2015, Causa C-264/14), esenta da IVA, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, le operazioni di cambio tra valuta virtuale (criptovaluta) versus valuta tradizionale e viceversa.
Con riferimento alle imposte sui redditi, per quanto riguarda l’operazione di cessione degli utility token da parte della Società istante, qualora sul piano contabile l’operazione sia rappresentata come una mera movimentazione finanziaria in applicazione dei corretti principi contabili, si ritiene che la stessa non assuma autonoma rilevanza fiscale ai fini IRES.
Conseguentemente, ai fini delle imposte sui redditi, le somme incassate a seguito dell’assegnazione degli utility token non incidono sulla determinazione del periodo d’imposta in cui concorrono alla formazione della base imponibile i beni e/o le prestazioni di servizi cui hanno diritto i possessori dei buoni regalo.
I componenti di reddito relativi alla cessione dei predetti beni e/o all’erogazione delle citate prestazioni di servizi saranno rilevanti al momento:
– della relativa imputazione al conto economico, ai sensi dell’articolo 83 del TUIR, per i soggetti diversi dalle micro-imprese;
– in cui la cessione dei beni e/o la prestazione dei servizi è considerata effettuata, ai sensi dei commi 1 e 2 dell’articolo 109 del TUIR, per le micro-imprese.
Ai fini IRAP si rammenta che il principio generale che sorregge il vigente sistema impositivo dell’IRAP, così come ridisegnato dalla legge finanziaria 2008 (riforma IRAP), è quello della “presa diretta da bilancio” delle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi.
In particolare, l’abrogazione dell’articolo 11-bis del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 – che riconosceva la rilevanza nell’IRAP delle variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito – ha determinato lo “sganciamento” del tributo regionale dall’imposta sul reddito stesso rendendo, in tal modo, le modalità di calcolo del tributo più aderenti ai criteri adottati in sede di redazione del bilancio di esercizio.
Fermo restando quanto evidenziato in via preliminare e nel presupposto dell’assenza di rilevazione tra le voci del conto economico rilevanti ai fini del tributo regionale, quindi, le somme incassate a fronte dell’assegnazione dei predetti utility token non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP.
Con riferimento alla valuta virtuale che a fine esercizio è nella disponibilità (a titolo di proprietà) della Società istante, come chiarito nella citata risoluzione n. 72/E del 2016, si ritiene che la stessa debba essere valutata in base al cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio e che tale valutazione assuma rilievo ai fini fiscali ai sensi dell’articolo 9 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
Occorre, quindi, far riferimento al valore normale, intendendosi per tale il valore corrispondente alla quotazione dei bitcoin e degli ethereum al termine dell’esercizio.
A tal fine potrebbe ben farsi riferimento alla media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle piattaforme on line in cui avvengono le compravendite di valute virtuali.
Ai fini del tributo regionale, inoltre, gli effetti della conversione dei bitcoin/ethereum criptovalute in valuta corrente, fermo restando quanto evidenziato in via preliminare e nel presupposto dell’assenza di rilevazione tra le voci del conto economico rilevanti ai fini del tributo regionale, non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP.
Infine, in relazione al trattamento fiscale dei compensi erogati nella forma di token dalla Società a propri amministratori, dipendenti e, eventualmente, ad altri soggetti, si osserva quanto segue.
I redditi di lavoro dipendente di cui all’articolo 49 del TUIR, nonché quelli assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui al successivo articolo 50, comma 1, lettera c-bis), del TUIR sono disciplinati, ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del TUIR, dal principio di onnicomprensività, in applicazione del quale costituiscono reddito imponibile per il dipendente, ovvero per l’amministratore di società “… tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
In generale, quindi, sia le somme che i compensi in natura percepiti anche da terzi o a titolo di liberalità dal lavoratore, in ragione del suo status di dipendente o di amministratore, costituiscono reddito di lavoro dipendente, salvo quanto previsto tassativamente dai successivi commi del medesimo articolo 51.
In particolare, il comma 3 del citato articolo prevede, tra l’altro, che “Non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a lire 500.000 (euro 258,23); se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.
In relazione alla fattispecie in esame, con particolare riferimento all’erogazione, da parte della società istante/datore di lavoro, di compensi sotto forma di token ai propri amministratori e dipendenti, si ritiene che tali remunerazioni, in ossequio del principio di onnicomprensività, costituiscano per i percettori reddito di lavoro dipendente, da assoggettare a ritenuta d’acconto ai sensi dell’articolo 23 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 sempreché il valore di tale forma remunerativa superi, per ciascun percettore, nel periodo d’imposta, euro 258,23.
In relazione alla valorizzazione dei beni in natura, la prima parte del citato comma 3 dell’art. 51 del TUIR prevede che “Ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1, compresi quelli dei beni ceduti e dei servizi prestati al coniuge del dipendente o a familiari indicati nell’articolo 12, o il diritto di ottenerli da terzi, si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’articolo 9. Il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista”.
Pertanto, l’erogazione di compensi sotto forma di token genererà reddito di lavoro dipendente o assimilato a quello di lavoro dipendente sempreché, nel periodo d’imposta, il “valore normale” da attribuire a tale forma di retribuzione risulterà, per ciascun amministratore/dipendente, superiore ad euro 258,23.
Ad analoghe conclusioni non si perviene, invece, nell’ipotesi in cui tali “utilità” vengano percepiti da altri soggetti non legati alla società istante da alcun rapporto lavorativo. In tale ultima ipotesi, infatti, l’erogazione si configurerà come una cessione, che potrà essere a titolo gratuito ovvero a titolo oneroso.
Ai fini della tassazione dei redditi realizzati dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di una attività di impresa, che detengono gli utility token, si ritiene che gli stessi costituiscono rapporti da cui deriva il diritto di acquistare a termine (quando sarà disponibile) il prodotto o il servizio e, pertanto, sono suscettibili di generare un reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-quater), del TUIR.
Tali redditi diversi di natura finanziaria devono essere indicati nel quadro RT del Modello Redditi – Persone Fisiche e sono soggetti ad imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento.
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