Si rammenta che, nell’ambito dei numerosi interventi apportati dai decreti legislativi che attuano la riforma fiscale del 2015 (L.D. 11 marzo 2014, n. 23), il cd. Decreto Semplificazioni (D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175) ha eliminato l’obbligo di formulare una specifica opzione per attivare la tassazione di gruppo e la tassazione per trasparenza.
In particolare, l’art. 16 del decreto ha innovato il regime delle opzioni prevedendo le seguenti modificazioni normative:
- art. 115, comma 4, del T.U.I.R. (trasparenza fiscale), le parole: «entro il primo dei tre esercizi sociali predetti, secondo le modalità indicate in un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate» sono state sostituite dalle seguenti: «con la dichiarazione presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione»;
- art. 119, comma 1, lett. d), del T.U.I.R. (consolidato fiscale nazionale), le parole: «entro il sedicesimo giorno del sesto mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta precedente al primo esercizio cui si riferisce l’esercizio dell’opzione stessa secondo le modalità previste dal decreto di cui all’art. 129» sono sostituite dalle seguenti: «con la dichiarazione presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione».
- le nuove disposizioni normative hanno avuto applicazione a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31.12.2014 (per i soggetti solari, dal 2015).
Qualora la comunicazione al fisco riguardi un periodo di più esercizi (come ad esempio il consolidato fiscale) l’esercizio delle opzioni che devono essere comunicate con la dichiarazione dei redditi da presentare nel corso del primo periodo di valenza del regime opzionale resta fermo quanto stabilito dall’art. 2, comma 1, del D.L. n. 16/2012 che prevede la possibilità del ricorso alla remissione in bonis.
Occorre però considerare che le nuove disposizioni trovano applicazione a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016 (art. 7, comma 30 D.L. 193/2016).
Ravvedimento e integrativa
Il ravvedimento operoso, soprattutto dopo le innovazioni della L. 23 dicembre 2014, n. 190, è divenuto uno strumento ad ampio raggio per regolarizzare le “omissioni” dei contribuenti compiute fase di versamento/compensazione che attraverso le dichiarazioni fiscali.
In particolare, il nuovo ravvedimento operoso rende possibile la chiusura di possibili vertenze con il Fisco semplicemente correggendo il comportamento entro i termini concessi all’Amministrazione finanziaria per l’attività di accertamento, anche in presenza di attività di controllo in corso.
Nel vigente contesto normativo, l’istituto del ravvedimento operoso, che consente la riduzione delle sanzioni, si sposa a quello della dichiarazione integrativa (in particolare, “a sfavore” del contribuente), che permette di rettificare una situazione dichiarata dal contribuente dalla quale è derivata una minore imposta o un maggior credito rispetto a quanto dovuto.
Si rammenta che l’ipotesi del mancato esercizio di un’opzione in dichiarazione è stata ritenuta possibile oggetto di dichiarazione integrativa dall’Agenzia delle entrate (Circ. 4 marzo 2010, n. 8/E; Ris. 20 dicembre 2010, n. 132/E).
L’Amministrazione finanziaria, infatti, ha ritenuto che il mancato esercizio di un’opzione non equivale necessariamente a una precisa scelta di non avvalersi del regime facoltativo.
Occorre considerare che l’omissione di una comunicazione, come quella che i contribuenti sono tenuti a effettuare in sede di dichiarazione dei redditi per rendere noto al Fisco l’esercizio di un’opzione, non causa direttamente un danno alle ragioni erariali. Si tratta quindi di una violazione formale, ma non “meramente formale”, in quanto impedisce all’Amministrazione di avere una chiara rappresentazione della situazione del soggetto. Questo nel frattempo prende a “comportarsi” come una società optante per il consolidato fiscale ovvero per il regime di trasparenza, dal punto di vista sia dichiarativo che sostanziale.
Non si configura quindi la situazione prevista dall’art. 10, comma 3, della legge n. 212 del 2000, e dall’art. 6 del D.Lgs. n. 472/1997, ove è prevista la non punibilità di quei comportamenti che si traducono in una “mera violazione formale senza alcun debito d’imposta” (Circ. Agenzia delle entrate 3 agosto 2001, n. 77/E).
Il ricorso alla “remissione” anziché alla dichiarazione integrativa è possibile, come si è visto sopra, a partire dalle opzioni che coprono il 2017 (primo periodo dell’opzione), mentre per i periodi anteriori potrebbe forse valere il ricorso alla dichiarazione integrativa. In questa seconda ipotesi, la sanzione minima di 250 euro per l’omessa comunicazione (dichiarazione infedele senza danno per l’erario) sarebbe ravvedibile, con la nota graduazione delle riduzioni percentuali disposta dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997.
Al contrario, in ipotesi di remissione in bonis (senza una formale dichiarazione integrativa), la sanzione di 250 euro rimane fissa e non ravvedibile. Dal momento che quest’ultimo regime, relativamente svantaggioso rispetto a quello della dichiarazione integrativa, è espressamente previsto dalla norma (sembra) come modalità ordinaria per sanare le “omesse opzioni”, si ritiene che d’ora in avanti esso dovrà ritenersi “esclusivo”, e che non si potrà più dar corso al sistema “alternativo”.
D’altronde, dato che la remissione consiste nell’effettuazione (pur tardiva) dell’adempimento accompagnata dal versamento della sanzione, nel caso di specie esse non differisce dall’ipotesi della dichiarazione integrativa, salvo che per il differente regime sanzionatorio (impossibilità di ravvedimento). Le cose cambiano, naturalmente, se attraverso la dichiarazione integrativa si intendono sanare anche ulteriori omissioni ed errori.