In tema di responsabilità degli enti ai sensi del D. Lgs. 231/2001 è di recente intervenuta una interessante sentenza della V sezione penale della Cassazione. In tale sentenza i giudici di legittimità hanno illustrato i seguenti aspetti:
- necessità della verifica del modello organizzativo per la responsabilità dell’ente;
- il giudice è chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. “prognosi postuma”
- la responsabilità dell’ente sussiste, infatti, anche quando il reato “presupposto” si estingue per una causa diversa dall’amnistia, dovendo il giudice comunque procedere all’accertamento della sussistenza del reato cd. presupposto;
- la responsabilità dell’ente non si fonda su un’estensione, più o meno automatica, della responsabilità individuale al soggetto collettivo ma sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell’ente, a fronte dell’obbligo di auto-normazione volto alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell’attribuzione di responsabilità mediante analisi del modello organizzativo;
- che l’illecito dell’ente, pur se inscindibilmente connesso alla realizzazione di un reato da parte di un autore individuale nell’interesse o a vantaggio dell’ente, risulta comunque caratterizzato da autonomia di configurazione giuridica, poiché fondato su presupposti differenti, basati su un deficit organizzativo “colpevole” che ha reso possibile la realizzazione di tale reato;
- che per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneità del modello organizzativo adottato, il giudice deve adottare il criterio della cd. “prognosi postuma”, proprio della imputazione della responsabilità per colpa, dovendosi collocare nel momento in cui l’illecito è stato commesso e verificare se il “comportamento alternativo lecito”, ossia l’osservanza del modello organizzativo virtuoso, attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi;
- il giudice di merito deve accertare sia la colpa in organizzazione dell’ente che l’incidenza di quest’ultima rispetto alla verificazione del reato presupposto;
- il giudice di merito, deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo, ovvero che se il modello “idoneo” fosse stato rispettato l’evento non si sarebbe verificato;
- la responsabilità dell’ente consegue alla valutazione sulla bontà del modello organizzativo di prevenzione degli illeciti di cui si è dotato. Per cui l’ente che si dota di modelli organizzativi idonei ed efficaci potrebbe andare esente da responsabilità pur se un reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, con prevedibile effetto virtuoso anche rispetto all’incentivazione dell’adozione di modelli di compliance aziendale;
- l’ente che non si sia dotato di siffatti modelli organizzativi risponderà verosimilmente del reato presupposto commesso dal suo rappresentante, se compiuto a suo vantaggio o nel suo interesse.
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 21640 depositata il 2 marzo 2023, intervenendo in tema di reato di contraffazione e di responsabilità degli enti (d.lgs. n. 231/2001) ha riaffermato che “… in tema di responsabilità delle persone giuridiche per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneità del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice è chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. “prognosi postuma”, proprio della imputazione della responsabilità per colpa: deve cioè idealmente collocarsi nel momento in cui l’illecito è stato commesso e verificare se il “comportamento alternativo lecito”, ossia l’osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della “compliance” alle regole cautelari di tipo globale. …”
La responsabilità dell’ente sussiste anche quando il reato “presupposto” si estingue per una causa diversa dall’amnistia
Sul punto i giudici della Suprema Corte hanno voluto puntualizzare che “… in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma primo, b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/1/2013, Baria, Rv. 255369; Sez. 4, n. 22468 del 18/4/2018, Eurocos s.n.c., Rv. 273399; vedi anche Sez. 4, n. 38363 del 23/5/2018, Consorzio Melinda S.C.A., Rv. 274320-03). …”
La suddetta circostanza è espressamente contemplate dalla legge, in cui l’inscindibilità tra le vicende processuali delle persone fisiche e quelle dell’ente può venire meno, con la conseguenza che “… l’accertamento della responsabilità amministrativa della società nel cui interesse o per il cui vantaggio il reato è stato commesso può e deve proseguire attraverso un percorso processuale autonomo, nella sede propria del processo penale voluta dal legislatore della “legge 231”, pur non potendosi prescindere da una verifica quanto meno incidentale circa la sussistenza del fatto di reato.
In situazioni del genere, dunque, il potere cognitivo del giudice penale resta immutato, dovendo egli comunque procedere all’accertamento della sussistenza del reato cd. presupposto. …”
Per gli Ermellini, inoltre, in base al “… principio di autonomia della responsabilità dell’ente (art. 8 cit.), la prescrizione del reato presupposto nei confronti della persona fisica autrice, anche se dichiarata nello stesso processo in cui è imputato l’ente, non fa venir meno la sussistenza della sua eventuale responsabilità …”
La responsabilità dell’ente non si fonda su un’estensione, più o meno automatica, della responsabilità individuale al soggetto collettivo
Secondo i giudici di legittimità, l’addebito di responsabilità all’ente non si fonda su un’estensione, più o meno automatica, della responsabilità individuale al soggetto collettivo, bensì sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell’ente, a fronte dell’obbligo di auto normazione volta alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell’attribuzione di responsabilità mediante analisi del modello organizzativo.
Sul punto si evidenzia che l’illecito dell’ente quand’anche sia inscindibilmente connesso alla realizzazione di un reato da parte di un autore individuale nell’interesse o a vantaggio dell’ente, è caratterizzato da autonomia di configurazione giuridica, poichè fondato su presupposti di tipicità normativa differenti, basati su un deficit organizzativo “colpevole” che ha reso possibile la realizzazione di tale reato.
L’illecito dell’ente, pur se inscindibilmente connesso alla realizzazione di un reato da parte di un autore individuale nell’interesse o a vantaggio dell’ente, risulta comunque caratterizzato da autonomia di configurazione giuridica, poiché fondato su presupposti differenti
La Suprema Corte ha precisato di voler aderire a quella che, in dottrina, è stata individuata come una nuova frontiera ermeneutica in relazione all’illecito degli enti, e cioè la tesi che ricostruisce la struttura dell’illecito dell’ente secondo un modello di tipo colposo, forse per la prima volta chiaramente espressa dalla decisione citata n. 23401 del 2022.
Pertanto per gli Ermellini, alla luce della suddetta interpretazione, l’accertamento della responsabilità dell’ente deve passare attraverso la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, che intercorrono tra la carenza organizzativa e il fatto reato, sicchè il reato presupposto deve essere messo in collegamento con la carenza di auto-organizzazione preventiva, che costituisce la vera e propria condotta stigmatizzabile dell’ente.
Valutazione da parte del giudice, ai fini della responsabilità dell’ente, del deficit di auto organizzazione non in senso generale ma in concreto
Per cui né consegue che il giudice di merito dovrà dimostrare, al fine di giustificare l’affermazione di responsabilità dell’ente, di aver valutato il suo deficit di auto organizzazione, vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall’ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei “Modelli di organizzazione, gestione e controllo”, delineati, su un piano generale di contenuti, dagli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231 del 2001.
Pertanto alla luce di quanto affermato dai giudici del palazzaccio si evidenzia, nella sentenza in commento, “… come non sia consentito al giudice di merito neppure un vaglio sull’adeguatezza del modello condotto solo “in generale”, ma sia necessaria una verifica in concreto; né è possibile giungere a sanzionare l’ente in ragione di una “cultura d’impresa deviante”, ovvero mediante un criterio sillogistico semplificatorio secondo cui la commissione del reato equivale a dimostrare l’inidoneità dell’assetto organizzativo.
Valutazione obbligatoria da parte del giudice di merito sulla verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo, ovvero che se il modello “idoneo” fosse stato rispettato l’evento non si sarebbe verificato
Nella sentenza in commento i giudici della Corte Suprema hanno precisato che “… il giudice di merito, deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo; ovvero deve accertare che, se il modello “idoneo” fosse stato rispettato, l’evento non si sarebbe verificato. Seguendo tale linea interpretativa, ispirata alla valorizzazione dei principi costituzionali riferiti alla materia penale nel sistema della “231”, la responsabilità dell’ente deriva dalla valutazione sulla bontà del modello organizzativo di prevenzione degli illeciti di cui si è dotato: l’ente che si dota di modelli organizzativi idonei e tendenzialmente efficaci potrebbe, pertanto, andare esente da responsabilità ex legge n. 231 del 2001, pur se un reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, con prevedibile effetto virtuoso anche rispetto all’incentivazione dell’adozione di modelli di compliance aziendale.
Ovviamente, l’ente che non si sia dotato affatto di siffatti modelli organizzativi risponderà verosimilmente del reato presupposto commesso dal suo rappresentante, se compiuto a suo vantaggio o nel suo interesse. …”
Obbligo della alla verifica della sussistenza di un modello di compliance ed alla sua adeguatezza ed idoneità a prevenire il reato presupposto, sia alla sussistenza del vantaggio o interesse dell’ente
Sul punto i giudici di legittimità ricordano come “… i due criteri di imputazione oggettiva dettati dall’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001 siano alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile “ex ante”, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile “ex post”, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (così, Sez. U, Espenhahn, Rv. 261114). …”
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