La Corte di Cassazione, sezione civile, con la sentenza n. 2324 depositata il 3 Febbraio 2014 intervenendo in tema di azione sociale nei confronti dell’amministratore ha statuito che la tenuta in modo sommario e non intellegibile della contabilità sociale è di per sé giustificativa della condanna dell’amministratore al risarcimento del danno, in sede di azione di responsabilità promossa dalla società a norma dell’art. 2392 cod. civ., vertendosi in tema di violazione da parte dell’amministratore medesimo di specifici obblighi di legge, idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale.
La vicenda ha riguardato un amministratore di una società di capitale che veniva fatto oggetto di un’azione di responsabilità per una serie di irregolarità dai soci che si erano rivolti al Tribunale. I giudici avevano accertata la responsabilità dell’amministratrice nel corso di giudizio di convalida di sequestro conservativo sui beni dell’interessata. Il giudice di prime cure aveva accoglieva la domanda e condannava la convenuta al risarcimento del danno, compreso il danno all’immagine causato alla società.
La responsabilità era fondata su alcune irregolarità contabili, nonché sulla circostanza che l’amministratrice avrebbe provveduto a incassare alcune somme dai debitori, senza poi provvedere al versamento a favore della società.
L’amministratrice avverso la decisione del giudice di prime cure proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Appello i cui giudici rilevavano la nullità della sentenze impugnata per un rilevato vizio di costituzione del giudice, essendo stata pronunciata dal giudice monocratico in luogo di quello collegiale, in materia a quest’ultimo riservata (azione ex art. 2393 c.c.).
Pur avendo ottenendo un parziale accoglimento in appello, l’interessata restava obbligata a restituire le somme indebitamente trattenute. Proponeva quindi ricorso in Cassazione, basato su tre motivi di censura.
Gli Ermellini accolgono il ricorso dell’amministratrice cassando la sentenza del giudice di appello e rinviando alla Corte Territoriale.
I giudici di legittimità hanno precisato che per integrare responsabilità degli amministratori all’art. 2393 del codice civile, la quale dà origine all’obbligo di risarcire il danno cagionato, occorre che la condotta dell’amministratore sia idonea a ledere un bene giuridico protetto dall’ordinamento; occorre inoltre che siano applicate alcune regole di natura strettamente probatoria. Per cui la predetta azionene di responsabilità ha carattere contrattuale, dovendo la società danneggiata provare sia il danno subito che il nesso causale tra la condotta tenuta dall’amministratrice e la lesione lamentata.
L’onere di provare il contrario compete all’amministratore, cioè che il fatto non è imputabile a negligenze o mancanze proprie, dimostrando di aver adempiuto a tutti gli obblighi imposti.
Nella controversia esaminata dalla Corte si era verificata una violazione di legge, da parte del giudice del merito, poiché lo stesso ha tenuto conto di un danno in re ipsa, non adeguatamente provato dalla società, la quale si è limitata a produrre elementi generici, privi di idonea portata incriminatrice. Il danno provocato deve infatti avere carattere concreto e non meramente ipotetico; deve essere cioè stabilito il quantum dello stesso, monetizzazione mai avvenuta in corso di processo di merito. Il principio di diritto applicabile al caso di specie, per giurisprudenza costante, è quello di mantenere “chiaramente distinto il momento della prova della lesione da quello della quantificazione delle conseguenze da quella lesione scaturite”. Il ricorso viene quindi parzialmente accolto e rinviato alla Corte d’appello per una nuova pronuncia.
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