MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI – Nota 17 novembre 2022, n. 17314
Richiesta di chiarimenti sull’applicabilità dell’art. 71 comma 1 del Dlgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo Settore – CTS). Riscontro
Codesta Amministrazione ha chiesto di conoscere l’avviso della scrivente in merito alla definizione dell’ambito di applicabilità dell’art. 71 comma 1 del Dlgs. n. 117/2017 Codice del Terzo Settore (di seguito, CTS) a mente del quale “le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica”.
In particolare, codesto Ufficio ha rappresentato che nel Comune di *** sono stati realizzati dei campi da gioco in zona agricola in forza di titoli edilizi richiesti “dall’Associazione ***”, gestore degli impianti in qualità di comodatario, e fondati sul regime derogatorio dell’indifferenza urbanistica di cui all’art. 71 comma 1 CTS.
Inoltre, il Comune ha precisato che è tuttora in corso l’accertamento sulla qualificazione della predetta Associazione come Ente del Terzo Settore ai sensi dell’art. 4 comma 1 CTS.
Su tali premesse in fatto, codesta Amministrazione ha, quindi, concluso la richiesta in oggetto con la formulazione di un quesito inerente l’applicabilità dell’art. 71 comma 1 CTS, ovvero “se la norma in parola riguarda esclusivamente le strutture già esistenti, ancorché con diversa destinazione urbanistica, o può essere interpretata estensivamente anche per la realizzazione di nuove strutture in cui svolgere le attività istituzionali (in questo caso sportive) dell’Ente, in zone omogenee con diversa destinazione di PRG e, quindi, in deroga agli strumenti urbanistici”.
Nell’esaminare il quesito de quo, occorre, in primo luogo, chiarire l’ambito di applicazione dell’art. 71 comma 1 CTS sotto il profilo soggettivo.
Sul punto, va precisato che il comma in parola può essere applicato solamente agli enti qualificati come Enti del Terzo Settore secondo la definizione dettata dall’art. 4 comma 1 CTS, ovvero quegli enti che presentano le caratteristiche indicate dalla suddetta norma e sono iscritti nel RUNTS; agli enti, già iscritti nei pregressi registri speciali delle ODV e delle APS, i cui dati sono stati comunicati al RUNTS e la cui iscrizione è in attesa di perfezionamento; infine, agli enti iscritti all’anagrafe delle Onlus fino al momento della prevista abrogazione del d.lgs. n. 460/1997. Non rientrano invece nel terzo settore le ASD, le SSD e gli altri enti iscritti nel registro Coni se non in possesso della qualifica di Ente del Terzo settore come sopra definita.
L’individuazione dei soggetti interessati dall’applicazione della disposizione in esame risulta decisiva ai fini di una corretta definizione dei suoi effetti e della relativa durata.
Invero, la disciplina speciale e derogatoria introdotta dall’art. 71 comma 1 CTS è applicabile solo agli enti qualificati nei termini sopra descritti, dal momento in cui la qualifica è acquisita e fintanto che essa sussiste. La precisazione appare in particolar modo necessaria alla luce dei riferimenti fattuali narrati nella richiesta in oggetto. Il caso di specie sotteso al quesito proposto coinvolge un ente indicato come Associazione Sportiva Dilettantistica: tale qualificazione non costituisce requisito sufficiente per l’applicazione dell’art. 71 comma 1 CTS. Pertanto, il preventivo accertamento della qualifica del predetto ente come ETS è presupposto ineludibile ai fini dell’applicazione della norma in parola; né sarebbe ammissibile il riconoscimento di un effetto retroattivo all’eventuale successivo acquisto della qualifica di ETS da parte dell’ente.
Per introdurre la questione dell’applicabilità sul piano oggettivo dell’art. 71 comma 1 CTS, è opportuno soffermarsi brevemente sui seguenti aspetti generali. Invero, la definizione dei possibili ambiti applicativi della norma in esame richiede un chiarimento in merito alla sua natura. Al riguardo, occorre partire dal richiamo alle finalità perseguite dalla legge delega per la riforma del terzo settore, la n. 106/2016, ed esplicitate all’art. 1 della medesima. In particolare, il legislatore, con la riforma del terzo settore, ha voluto, “in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale” (art. 118 u.c. Costituzione), promuovere e favorire le associazioni private che realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.
È alla luce di tale ratio legis che deve essere interpretata la disposizione in oggetto indicata; essa stabilisce una specifica tutela degli spazi utilizzati dagli ETS per lo svolgimento delle attività di interesse generale contro possibili scelte urbanistiche degli enti locali che potrebbero incidere negativamente su tali attività. In altri termini, come già affermato dalla giurisprudenza amministrativa di merito (TAR Lombardia, Milano, n. 1269 del 1° luglio 2020 e TAR Abruzzo, n. 519 del 25 ottobre 2019), il legislatore ha riconosciuto la superiorità del valore sociale dell’utilizzo degli spazi pubblici da parte degli ETS rispetto alle decisioni in merito alla destinazione urbanistica degli spazi medesimi.
Tale orientamento è stato successivamente confermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. VI, n. 3803 del 15 giugno 2020) secondo la quale “la norma (e già l’antecedente di cui all’art. 32, comma 4, l. n. 383 del 2000) in considerazione della meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale, consente […] che le relative sedi e i locali adibiti all’attività sociale siano localizzabili in tutte le parti del territorio urbano e in qualunque fabbricato a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio ad esso impressa specificamente e funzionalmente dal titolo abilitativo”.
Dalle considerazioni svolte, si evince che la finalità perseguita dall’art. 71 comma 1 CTS non è quella di disciplinare l’uso del territorio in quanto tale, ma di prevedere un trattamento speciale in favore di certe categorie di soggetti (Consiglio di Stato, sez. V, n. 1737 del 1° marzo 2021). Pertanto, il comma in parola si qualifica come una norma di natura derogatoria e non come una norma con natura urbanistica vera e propria.
Quanto osservato rende opportuna una ulteriore precisazione in merito ad un inciso contenuto nel quesito in oggetto, al fine di ricondurre ad una corretta interpretazione del comma in esame. In specie, si afferma che l’art. 71 comma 1 CTS “sembra consentire il cambio di destinazione d’uso dei locali in cui si svolgono le attività istituzionali degli enti del Terzo Settore”. Tale inciso sembrerebbe lasciar intendere che l’applicazione del comma 1 avrebbe l’effetto di determinare un cambio di destinazione d’uso dei locali, avente carattere permanente, ovvero in grado di spiegare effetto anche successivamente, ad esempio nei confronti di successivi utilizzatori dei locali e delle strutture, privi della qualificazione di ETS. Trattasi di un’interpretazione della norma de qua che appare non condivisibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, nella parte introduttiva del presente parere, si è rilevato che sul piano soggettivo l’applicabilità dell’art. 71 comma 1 CTS è chiaramente limitata agli enti qualificati come ETS secondo la normativa vigente. Riconoscere il cambio di destinazione d’uso, quale effetto della disposizione in parola, significherebbe eludere la suddetta
circostanza in quanto la norma avrebbe un’applicazione non meramente temporanea, ovvero limitata al tempo di utilizzo dei locali da parte di un ETS, ma permanente, ovvero in grado di estendere gli effetti anche a beneficio di un ente non qualificabile come ETS che in futuro si trovi ad utilizzare i medesimi locali svolgendovi analoga attività. Inoltre, si tratterebbe di un’interpretazione difforme dalle finalità della norma in quanto la stessa, introducendo, come visto, una disciplina di natura speciale e derogatoria in favore di determinate categorie di soggetti, non potrebbe anche consentire un’estensione della sua applicabilità a soggetti altri con conseguente sua trasformazione in norma di carattere generale.
Il riconoscimento del carattere speciale della disposizione dettata dall’art. 71 comma 1 CTS e l’individuazione dello scopo da essa perseguito costituiscono, quindi, gli ulteriori presupposti per definirne la portata e gli effetti. In una prima prospettiva, esaminando il rapporto con le altre fonti del diritto in materia urbanistica, va sottolineato che, in forza di quanto previsto dall’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale (cd preleggi), la disposizione in esame avendo carattere speciale prevale sulla norma di cui all’art. 23-ter comma 1 D.P.R. n. 380/2001, che così recita: “salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale…” E la prevalenza dell’art. 71 comma 1 CTS si verifica anche rispetto alle leggi regionali sotto il profilo della gerarchia delle fonti (TAR Puglia, Bari, n. 682 del 19 aprile 2021).
La norma afferma il principio della “compatibilità con tutte le destinazioni d’uso”, ovvero l’indifferenza di queste ultime, assicurando la possibilità agli ETS di utilizzarle proprio senza dover chiedere e ottenere il cambio di destinazione.
D’altro canto, il favor per gli ETS previsto dall’art. 71 comma 1 CTS non può essere inteso come una deroga generalizzata alle disposizioni in materia di titoli abilitativi edilizi o come un’autorizzazione preventiva a qualsiasi attività costruttiva eseguita per iniziativa degli Enti del Terzo settore.
È alla luce degli evidenziati profili interpretativi che potrà essere affrontata nello specifico la questione evidenziata da codesta Amministrazione, rispetto alla quale la scrivente non può limitarsi che ad alcune minime osservazioni di contesto.
In primis, al fine di individuare gli interventi eseguibili ai sensi dell’art. 71, comma 1 CTS, potrebbe essere utile considerare qual è la zona interessata dagli stessi. Nella ricostruzione fattuale che precede l’esposizione del quesito in esame emerge che, nel caso di specie, trattasi di una zona agricola. Inoltre, su tale presupposto, e in ragione della normativa vigente, potrebbe essere operata una distinzione tra le tipologie di interventi eseguibili.
Sul primo punto, va considerato che, nella divisione in zone del territorio comunale, operata dallo strumento urbanistico generale, la destinazione agricola di una zona non coincide con l’effettiva coltivazione dei relativi fondi, né impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo, invece, lo scopo di evitare insediamenti residenziali. Peraltro, la zonizzazione agricola non esclude, di per sé, l’esecuzione di interventi diversi da quelli strettamente funzionali all’attività agricola ed alle esigenze dell’imprenditore agricolo di risiedere sul fondo, come ad esempio la realizzazione di opere che, non pregiudicando l’assetto territoriale agricolo, non possano tuttavia essere convenientemente collocate in altre zone, ovvero la realizzazione di opere che siano pertinenziali o funzionali agli insediamenti ed all’economia dell’area e che comunque si inseriscano senza turbare o alterare la destinazione in atto (tra le altre, T.A.R. Campania, n. 4 del 02 gennaio 2020, n. 4 e n. 255 del 17 febbraio 2011). In tale definizione potrebbe rientrare, ad esempio, l’utilizzo del terreno per svolgimento di attività sportiva dilettantistica; oppure l’esecuzione di opere non qualificabili come edilizie o, comunque, di trascurabile peso urbanistico.
In definitiva, la zonizzazione agricola assume un carattere residuale, salvo l’esistenza di un espresso divieto nello strumento urbanistico che prescriva l’utilizzo produttivo agricolo in via esclusiva, salvaguardando espressamente la relativa vocazione. Pertanto, in assenza di clausole espresse di divieto, nelle zone agricole potrebbe presumibilmente essere ammessa l’installazione/realizzazione di opere aventi le caratteristiche su esposte. D’altro canto, in presenza di un divieto generalizzato posto dagli strumenti urbanistici, appare convincente sostenere che tali opere potrebbe essere eseguite in forza dell’applicazione dell’art. 71 comma 1 CTS. Invero, richiamando le considerazioni generali svolte in premessa, si rileva che tale disposizione prevarrebbe sia per il suo carattere speciale sia sotto il profilo gerarchico.
In un’altra prospettiva vanno, invece, considerati gli interventi qualificabili come “nuova costruzione”, definizione nella quale potrebbero rientrare quelli indicati nel quesito in esame.
Al riguardo, va osservato che i movimenti di terra sono considerati (art. 6 c. 1 DPR 380/01) come attività edilizia libera solo in quanto strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e alle pratiche agro-silvo-pastorali. D’altra parte, le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno (anche in assenza di opere in muratura) finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli richiedono il titolo abilitativo quando la notevole entità dell’intervento sul territorio sia tale da connotarlo come di rilevanza urbanistica (T.A.R. Campania, n. 3874 del 17 settembre 2020, T.A.R. Perugia, n. 469, 25 luglio 2018).
In definitiva, per gli interventi sovra descritti potrebbe essere necessario il permesso di costruire qualora non riguardino l’attività agricola e comportino modifiche durevoli dell’ambiente circostante. Pertanto, l’applicabilità dell’art. 71 comma 1 CTS appare difficilmente estendibile fino a consentire nuove costruzioni in assenza del rilascio dell’apposito titolo edilizio. Contrariamente opinando, il comma 1 in parola verrebbe interpretato in modo non conforme alla sua finalità in quanto opererebbe come norma derogatoria generalizzata della disciplina urbanistica.
In altri termini, estendere l’applicabilità dell’art. 71 comma 1 CTS fino a consentire nuove costruzioni in assenza del rilascio dell’apposito titolo edilizio potrebbe implicare un allontanamento dalle sue finalità peculiari e non sarebbe conforme alla sua natura di norma speciale, in quanto volta a introdurre un favor per determinate categorie di soggetti rispetto alle strutture esistenti nella disponibilità di quest’ultimi, e non a disciplinare l’uso del territorio con effetti generalizzati e permanenti.
Peraltro, tale conclusione risulta, a parere della scrivente, conforme al recente orientamento del Consiglio di Stato (sentenza, n. 1737 del 1° marzo 2021) che individua, quale limite alla portata e agli effetti dell’art 71 comma 1 CTS, il potere dell’Amministrazione di valutare l’aggravio del carico urbanistico e la presenza di elementi significativi quali la dotazione del titolo edilizio per gli interventi di trasformazione.
In ogni caso, nel ribadire che il senso della disposizione de quo è quello secondo cui gli enti del Terzo settore, al fine di svolgere le proprie attività statutarie nei locali dei quali hanno la disponibilità, non necessitano di modificarne la destinazione d’uso, non di consentire agli stessi un diritto a poter modificare, in virtù dell’art. 71, tale destinazione, al di fuori delle disposizioni che disciplinano la materia, che comporta il pieno riespandersi della normativa urbanistica ove l’ente dovesse perdere la propria qualifica, o qualora i locali dovessero essere utilizzati per altro fine o da altro soggetto non qualificato, deve altresì considerarsi che la disposizione in esame non pregiudica l’applicabilità di altre disposizioni poste a tutela di beni costituzionali ugualmente protetti quali la salute e la sicurezza degli utilizzatori e dei terzi.
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