La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 37120 depositata il 5 settembre 2019 intervenendo in tema di confisca per il reato di riciclaggio ha statuito la legittimità della confisca di tutte le somme di denaro nei casi in cui oggetto del reato le anzidette somme e considerato l’irrilevanza che l’imputato, in concorso con altri, ne abbia goduto solo in parte
La vicenda ha riguardato alcuni soggetti accusati del reato di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) e di quello di reimpiego ex art. 648-ter c.p., i quali avevano patteggiato la pena con conseguente confisca. I giudici della Corte Suprema alle operazioni di riciclaggio, così come a quelle di reimpiego, nei casi in cui abbiano ad oggetto somme di denaro, il profitto è costituito esattamente dal valore di dette somme oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa. In quanto in assenza di quelle operazioni, tali somme sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente, in quanto provento del reato presupposto del delitto di riciclaggio.
Contrariamente a quanto prospettato dai ricorrenti, il principio trova applicazione anche qualora l’imputato abbia goduto solo in parte del profitto giacché la circostanza non incide sul fatto che l’intera somma riciclata costituisce profitto del reato, del quale il primo ha goduto in concorso con altri (Cass. n. 49003/2017), salvo l’eventuale riparto tra i concorrenti medesimi, che costituisce fatto interno a questi ultimi, privo di alcun rilievo penale (Cass. n. 5553/2014).
In base alla normativa vigente l’articolo 648-quater c.p. prevede che nei caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti previsti dall’art. 648-bis c.p. è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, fatta eccezione per le ipotesi in cui appartengano a persone estranee al reato.
Il giudice, disposta la quantificazione del profitto del reato, nei casi non sia possibile eseguire la confisca diretta dispone la confisca per un valore equivalente al profitto del reato delle somme di danaro, dei beni o delle utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.
Gli Ermellini, con la sentenza in commento, hanno ribadito che per costante giurisprudenza, nei casi in cui non sia individuabile in via diretta il bene o il valore derivato dalla commissione del reato, il profitto del reato è sempre costituito, ed è un fatto non contestabile, dal vantaggio economico che deriva all’imputato dalla commissione del reato.Per cui si differenza dal “prodotto” che è dato dal risultato empirico dell’illecito, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante l’illecito penale.
Per cui per i giudici di legittimità la quantificazione del profitto è sempre correlata sia alla tipologia del delitto da cui il profitto deriva, sia dalla natura dei beni oggetto del delitto stesso. Questo, perché, il possibile vantaggio economico derivante dalla commissione dei singoli reati discende da variabili dipendenti dal tipo di operazioni, di fatto e giuridiche, dalla loro capacità di incidere sul valore e sulla concreta disponibilità dei beni, secondo la loro commerciabilità ed il loro effettivo valore di mercato, in diretta correlazione con le caratteristiche degli stessi.
La sentenza in commento, pertanto, conferma l’orientamento ormai consolidato sulla natura della confisca per equivalente che, fermo l’aspetto sanzionatorio, si riferisce ad una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica. Per cui si consolida il concetto che la confisca è una misura ablatoria di carattere afflittivo conseguente al reato.
Infine i giudici del palazzaccio hanno ribadito che il principio di irretroattività non è applicabile all’oggetto del vincolo, che può riguardare anche beni acquistati anteriormente alla commissione del reato.
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