La sentenza della Corte Costituzionale n. 119 del 05 giugno 2013 ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’articolo 17, comma 3 del Dlgs 124/2004, nel testo in vigore prima del D.lgs. n. 150/2011. Pertanto per effetto della stessa si hanno tempi più ampi per far valere di fronte al giudice le proprie ragioni dopo le contestazioni degli ispettori sui rapporti di lavoro. È l’effetto dell’intervento della Corte costituzionale che, con la sentenza 119/2013, ha adeguato il calcolo dei termini per proporre ricorso al giudice, nei casi in cui il datore abbia già provato invano a proporre un’istanza al Comitato regionale per i rapporti di lavoro.
Per cui successivamente all’intervento della Consulta il rigetto espresso, o il cosiddetto silenzio-rigetto (quando l’amministrazione non risponde), non erode più i 30 giorni entro cui depositare in cancelleria il ricorso in opposizione all’ordinanza-ingiunzione della Direzione Territoriale del Lavoro. Rispetto al passato, dunque, il principio dell’interruzione del termine (con il nuovo decorso dello stesso) prevale su quello della sospensione, per proporre opposizione. A questa decisione si è allineato anche il ministero del Lavoro, con la circolare n. 37/0011533, emanata il 25 giugno.
Il Tribunale di Brindisi aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 124/2004, chiamato a giudicare sull’opposizione all’ordinanza-ingiunzione della locale direzione territoriale del Lavoro, proposta da un’azienda agrituristica.
L’azienda aveva già fatto ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro della Puglia, senza ricevere una risposta espressa. Una situazione, quest’ultima, considerata dall’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 124/2004: in questi casi, «decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto».
L’azienda, successivamente al silenzio-rifiuto, si era rivolta al Tribunale in sede giudiziaria la direzione territoriale del Lavoro aveva obiettato che l’opposizione era stata presentata in ritardo. Infatti, l’amministrazione, forte della lettera della legge, affermava che, ricevuta l’ordinanza-ingiunzione, ci sono sì 30 giorni di tempo per proporre ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro, ma la proposizione del ricorso, per legge, può godere solo della sospensione (e non della più favorevole interruzione) del termine – anche questo breve, di 30 giorni – per proporre opposizione al giudice (oggi, in base all’articolo 6 del Dlgs 150/2011). In base alla norma incostituzionale proposto il ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro, come legittimo, per esempio, il venticinquesimo giorno dalla notifica del provvedimento ingiuntivo, del termine “parallelo” per proporre ricorso al giudice – una volta respinto il ricorso amministrativo – rimarrebbero solo cinque giorni.
Con un esempio si potrà chiarire meglio la portata innovativa e di garanzia dell’intervento della Corte costituzionale, con la sentenza 119/2013. Si consideri il caso di una ditta a cui è notificata, il 15 marzo, un’ordinanza, che ingiunge di corrispondere le sanzioni amministrative irrogate per avere tenuto lavoratori irregolari e con rapporti di lavoro simulati. La ditta decide di proporre ricorso in sede amministrativa al Comitato regionale per i rapporti di lavoro. Lo deve fare entro 30 giorni e, in effetti, lo fa il 5 aprile. A questo punto, attende la decisione del Comitato, che dovrà arrivare entro 90 giorni. Il 4 luglio, tuttavia, termine ultimo per la pronuncia, non arriva alcuna risposta. Per la previsione del decreto legislativo 124/2004, dunque, il ricorso deve ritenersi implicitamente – ma formalmente – respinto, per cosiddetto silenzio-rigetto. Che cosa può fare, dunque, la ditta? Rivolgersi al giudice. Naturalmente, serve qualche giorno per organizzare le difese. Ma già il 20 luglio (solo 16 giorni dopo il formarsi del silenzio-rigetto del Comitato) la ditta deposita la propria opposizione alla cancelleria del tribunale. A questo punto, costituitasi la sede territoriale del ministero del Lavoro, prima dell’intervento della Consulta, la ditta avrebbe potuto ricevere l’obiezione di avere ricorso tardivamente. Il calcolo del ministero del Lavoro, infatti, sarebbe stato questo: 20 giorni (per presentare il primo ricorso amministrativo) + 16 giorni (per presentare il secondo ricorso giudiziale) = 36 giorni. Dunque, sei giorni oltre il termine di legge.
Oggi, superata l’originaria accezione “sospensiva”, con la nuova possibilità di interrompere i termini e di farli ripartire per proporre ricorso in opposizione, una volta ricevuto il rigetto dal Comitato regionale per i rapporti di lavoro, il ricorrente rientra pienamente nel proprio bonus di 30 giorni per proporre ricorso al giudice (nell’esempio proposto, per le «ferie degli avvocati», il termine scadrebbe il 18 settembre).
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