Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4968 depositata il 9 ottobre 2013 intervenendo in tema di risarcimento danni a carico della pubblica amministrazione ha affermato che intervenuta l’approvazione dello strumento urbanistico (o della sua variante) ovvero scaduto il termine massimo di durata, l’amministrazione ha l’obbligo – e non già una mera facoltà – di procedere all’esame delle richieste di concessione edilizia sospese, in forza della doverosa applicazione della legge n. 1902 del 1952 e dei fondamentali principi sanciti nell’articolo 97 della Costituzione.
I giudici del Consiglio di Stato hanno statuito anche altri due principi di diritto che di seguito riportiamo:
- Ai fini dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo ovvero la sola riscontrata ingiustificata o illegittima inerzia dell’amministrazione o il ritardato esercizio della funzione amministrativa, dovendo anche accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio della funzione, e si sia verificata in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione ovvero se per converso la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto.
- La regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, sancita dall’articolo 30, comma 3, c.p.a., è ricognitiva dei principi già contenuti nell’art. 1227, comma 2, c.c., così che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel quadro complessivo delle parti, valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con la ordinaria diligenza, non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.
Per cui alla luce dei principi sopra richiamati qualora l’amministrazione chiede adempimenti non necessari questi diventano ingiustificati e causano la responsabilità
La richiesta del risarcimento del danno da cattivo esercizio dell’attività amministrativa è legata alla violazione di principi che il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, identifica sotto il profilo oggettivo e soggettivo. La compromissione deve riguardare: i criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza; l’aggravamento del procedimento non dovuta a straordinarie e motivate esigenze imposte dalla doverosa attività istruttoria; la mancata doverosa conclusione del procedimento amministrativo con un provvedimento espresso; la mancata motivazione dei provvedimenti autorizzatori che devono essere motivati – i principi di legalità, imparzialità e buon andamento (art. 97 Costituzione); l’ingiustificato arresto procedimentale, rinviando sine die il doveroso esercizio della funzione amministrativa.
Il Consiglio di Stato con la sentenza 4968 ha affrontato una situazione di ritardo non giustificato nel rilascio di un permesso a costruire. La circostanza esaminata generalmente riguarda ogni tipo di attività diretta al rilascio di un provvedimento amministrativo, in ipotesi in cui l’Amministrazione richiede, ovvero dispone incombenti istruttori non oggettivamente necessari, i quali, proprio per tale motivo, diventano ingiustificati e causativi di responsabilità.
La sentenza riporta un decalogo che in modo chiaro indica le condizioni al fine di ottenere il risarcimento del danno verso la pubblica amministrazione, riconosciuta fin dalla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 500 del 1999.
Infatti i giudici chiariscono che l’immotivata e irragionevole inerzia a provvedere, e a non provvedere tempestivamente, genera il diritto al risarcimento allorchè si tenga presente che non si è mai in presenza di un mero ritardo nell’esercizio dell’attività amministrativa, qualora il provvedimento venga successivamente rilasciato. Dal momento che in tal caso si dimostra la sussistenza in capo al richiedente del diritto al «bene della vita», rappresentato dall’interesse perseguito e meritevole di tutela con l’ottenimento del richiesto provvedimento; di fronte all’inerzia della situazione è irrilevante la circostanza che il richiedente abbia omesso di impugnare il silenzio rifiuto che si era eventualmente formato.
A tal proposito il Consiglio di Stato afferma che «il decorso del termine per provvedere – per il rilascio del provvedimento – non esaurisce il potere/dovere dell’amministrazione di provvedere sulla domanda del privato (si veda pure Consiglio di Stato, Quinta sezione, sentenza 6623/2005). Tale evenienza costituisce silenzio/rifiuto del richiesto provvedimento».
Si vuole con ciò attribuire al richiedente «la facoltà di liberarsi dell’inerzia dell’amministrazione e dell’onere della diffida e messa in mora di quest’ultima, indispensabile per adire il giudice amministrativo (C.d.S., sez. V, 25 settembre 1998, n. 1326; sez. IV, 1 ottobre 1993, n. 818)». Il che fa sì che la mancata impugnazione dell’inerzia, cioè del silenzio serbato dalla Pa, rileva sotto il diverso profilo della richiesta risarcitoria come causa del danno e della concreta sua determinazione (art. 1227 del Codice civile e 30, comma 3 del Codice del processo amministrativo). La sola illegittimità dell’atto è, tuttavia, di per sé insufficiente per dar luogo alla responsabilità e al conseguente risarcimento del danno per lesione dell’interesse legittimo. È, quindi, necessario anche il concorso dell’elemento soggettivo, cioè del requisito della “colpa”, come negligenza tenuta nell’esercizio dell’attività della Pa.
Il Consiglio di Stato puntualizza che la colpa ricorre allorché vengano violati i principi di imparzialità, collegato al dovere della parità di trattamento per l’Amministrazione. A ciò si aggiunga, ora, anche la compromissione del dovere di astensione in capo al responsabile del procedimento, in caso di conflitti di interesse (articolo 6 bis della Legge 241 del 1990, introdotto con la Legge 190 del 2012 di buon andamento, di difetto assoluto di motivazione, di ingiustificato illogico aggravamento o arresto del procedimento. Tutti tali aspetti sono in grado, se ricorrenti, di determinare la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, necessario agli effetti risarcitori.
L’errore scusabile elimina l’elemento psicologico per la responsabilità, se sussistono: peculiari complessità dei fatti; contrasti giurisprudenziali; incertezza normativa; determinazione presa in conformità a un precedente atto amministrativo.
Infine sono irrilevanti prassi o comportamenti reiterati degli Uffici amministrativi.
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