AGENZIA DELLE ENTRATE – Risoluzione 13 dicembre 2013, n. 94/E
Cessione all’esportazione – Operazione, fin dalla sua origine, concepita in vista del definitivo trasferimento della proprietà della merce
Quesito
ALFA SpA (di seguito “la Società” o “l’interpellante”) svolge attività di progettazione, sviluppo, produzione, collaudo, commercializzazione, vendita e manutenzione di apparecchiature fluidodinamiche, nonché le inerenti attività commerciali direttamente e indirettamente connesse con dette attività.
L’interpellante ha, attualmente, una trattativa in corso con una società statunitense per fornirle in esclusiva delle pompe personalizzate da inserire in macchinari. A garanzia della tempistica di approvvigionamento, la Società si è resa disponibile a costituire un proprio deposito negli USA, presso i locali della propria controllata BETA Corp., ove stoccare le merci. Ciò, al fine di dare corso con la massima tempestività agli ordini della controparte.
La proprietà delle pompe, esportate secondo la procedura doganale “franco valuta”, con emissione della relativa bolletta doganale accompagnata da corrispondente fattura pro-forma, resterebbe in capo all’interpellante sino alla successiva vendita delle medesime al cliente statunitense.
Il collegamento tra le merci inviate negli USA in regime franco valuta ed il successivo trasferimento al cliente statunitense verrebbe attestato mediante:
– annotazione in apposito registro, tenuto ai sensi dell’art. 39 del DPR n. 633/1972, degli estremi dei documenti di esportazione di dette merci;
– indicazione nelle successive fatture di vendita del riferimento alla corrispondente annotazione.
Tanto premesso, la Società chiede conferma:
– che le merci esportate in regime c.d. “franco valuta” possano essere fatturate come non imponibili ex art. 8, primo comma, del dPR n. 633 del 1972 quando intervenga, in virtù dell’impegno contrattualmente vincolante tra le parti, il trasferimento della proprietà delle medesime al cliente statunitense;
– che conseguentemente tali cessioni all’esportazione, con effetto traslativo posticipato rispetto all’invio negli USA delle merci, concorrano con effetto ex nunc alla formazione del plafond ai sensi dell’art. 8, comma 2, del DPR n. 633 del 1972.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
La Società ritiene che l’invio dei propri beni negli USA in regime franco valuta per essere successivamente ceduti al cliente statunitense, in virtù dell’impegno contrattualmente vincolante assunto ab origine dalle parti, integri, all’atto del trasferimento della proprietà, una cessione all’esportazione non imponibile ex art. 8, comma 1, del DPR n. 633 del 1972, idonea a concorrere alla formazione del plafond ai sensi dell’art. 8, comma 2, del DPR n. 633 del 1972.
Ciò, in quanto, ai sensi del citato art. 8, comma 1, del DPR n. 633 del 1972, affinché si configuri una cessione all’esportazione non imponibile, debbono sussistere i seguenti requisiti: – trasporto o spedizione dei beni fuori dal territorio dell’Unione europea; – trasferimento della proprietà o altro diritto reale sui medesimi.
L’articolo 8, comma 1, del DPR n. 633 del 1972 non impone, invece, che le predette condizioni si avverino secondo una specifica sequenza temporale. Ne deriva che il trasferimento della proprietà non deve necessariamente avvenire anteriormente al trasporto della merce, ben potendo, quest’ultima, come nel caso di specie, essere previamente inviata all’estero per essere ivi successivamente ceduta in ossequio a preventivi accordi di compravendita stipulati con il cliente estero.
Ciò, risulterebbe confermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui “non si riscontra disposizione né esigenza sistematica che imponga una sequenza temporale vincolata dagli effetti della transazione nel senso della necessaria anteriorità dell’effetto traslativo del diritto reale rispetto a quello dell’uscita della merce dal territorio comunitario” (cfr. Sez. V, sentenza n. 23588 del 20 dicembre 2012). Secondo il predetto orientamento, “atteso, peraltro, che ai fini IVA, assume rilievo la nozione di operazione piuttosto che quella d’atto (…) l’accezione cessione all’esportazione (…) appare (…) denunciare la necessaria ricorrenza di un vincolo finalistico tra trasferimento della proprietà e esportazione, ma non anche quella di un’obbligata successione temporale tra i due termini dell’operazione”.
La Società evidenzia che la stessa Amministrazione finanziaria con la Risoluzione n. 520657 del 4 dicembre 1975, in relazione ad una fattispecie analoga a quella in esame, ha precisato che all’atto dell’invio all’estero dei beni, l’esportazione si perfeziona ai soli fini doganali , mentre, ai fini IVA, la stessa si realizza solamente quando i beni vengono successivamente ceduti ai clienti finali, verificandosi solo allora il passaggio della proprietà. Con la Risoluzione n. 411050 del 3 agosto 1979, inoltre, è stato affermato che i macchinari trasferiti all’estero per l’esecuzione di lavori di appalto in regime di temporanea esportazione, in quanto i paesi destinatari non ne consentono un’importazione definitiva, integrano comunque una cessione all’esportazione ai fini IVA, idonea alla costituzione del plafond, qualora i medesimi risultino destinati, sin dall’inizio, a non rientrare in Italia sulla scorta di apposita autorizzazione del Ministero del commercio con l’estero a vendere i cennati beni nei paesi di destinazione.
Da ultimo, la Società osserva che la soluzione prospettata è in linea con la prassi dell’Amministrazione finanziaria in relazione alle cessioni all’esportazione mediante contratto di consignment stock, schema negoziale con il quale l’operazione in analisi presenta indubbie analogie. Si tratta, in entrambe i casi, di una fornitura di beni con effetti reali differiti. Quello che cambia è solo il soggetto deputato allo stoccaggio della merce: in un caso il venditore nell’altro l’acquirente. E’ evidente, pertanto, che laddove l’Agenzia rileva, con riferimento al contratto di consignment stock, l’esistenza di un’unica operazione che si considera effettuata nel momento in cui si produce l’effetto traslativo per l’acquirente, come tale idonea ad integrare i presupposti della cessione all’esportazione ai fini IVA, analoghe conclusioni dovranno valere anche per l’operazione in esame.
In subordine, se l’Agenzia non accogliesse la soluzione prospettata, l’istante chiede se si configuri una cessione all’esportazione – con conseguente formazione del plafond – laddove le parti decidano di stipulare un contratto di consignment stock avente le peculiarità di seguito descritte. La controparte, anziché gestire in proprio il deposito delle merci inviate dall’istante, stipulerebbe un contratto di deposito non oneroso con BETA che, avendo familiarità con i prodotti sofisticati oggetto dell’istanza, garantirebbe un servizio di stoccaggio di qualità fino al ritiro della merce da parte dell’acquirente. I costi per il servizio di deposito addebitati dalla controllata estera alla Società (nel presupposto che il servizio di deposito concorrerebbe fattivamente al buon esito della trattativa), rappresenterebbero un costo deducibile in capo all’istante.
Parere dell’agenzia delle entrate
Ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lett. a), “Costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili … le cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante trasporto o spedizione di beni fuori del territorio della Comunità economica europea a cura o a nome dei cedenti”. Riguardo alla portata della predetta disposizione, con la circolare n. 156/E del 15 luglio 1999 è stato precisato che per ritenere sussistente una cessione all’esportazione non imponibile “è indispensabile non solo la materiale uscita dei beni dal territorio comunitario, ma anche il verificarsi di un trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento oltre naturalmente al pagamento di un corrispettivo”. Tale orientamento è stato confermato dalla Risoluzione n. 306/E del 21 luglio 2008, che in una fattispecie di invio delle merci all’estero senza che fosse in programma alcuna cessione, ha precisato che, in tale evenienza ,”l’invio di beni all’estero costituisce una mera esportazione “franco valuta” in cui manca uno degli elementi caratterizzanti le “cessioni all’esportazione” di cui al citato art. 8 del D.P.R. n. 633 del 1972 e cioè il trasferimento del diritto di proprietà sui beni stessi”.
Il requisito del trasferimento della proprietà – nell’ambito di una cessione all’esportazione – è stato ritenuto necessario dall’Amministrazione finanziaria anche nell’ambito dei contratti di consignment stock, fattispecie negoziale simile a quella prospettata dall’interpellante.
In particolare, con la Risoluzione n. 58/E del 5 maggio 2005 è stato ritenuto che anche nell’ipotesi in cui in virtù delle pattuizioni di cui al contratto di consignment stock, le merci sono inviate a destinazione di un acquirente stabilito in un paese terzo extra-UE, presso un deposito del medesimo o di un terzo cui quest’ultimo possa accedere, all’atto del prelievo delle merci dal deposito da parte dell’acquirente, si dà esecuzione alla compravendita e si realizzano i presupposti per inquadrare l’operazione come cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, primo comma, lettera a), del D.P.R. n. 633 del 1972.
Nella predetta ipotesi di contratto di consignment stock, è stata riconosciuta, quindi, l’esistenza di una unitaria cessione a titolo oneroso delle merci in uscita, cessione che è realizzata secondo un procedimento che si perfezionerà solo in un secondo momento, all’atto del prelievo delle merci dal deposito. In tali fattispecie, l’effetto traslativo della proprietà dei beni esportati, ancorché differito – non esclude che l’operazione, unitariamente considerata – possa considerarsi una cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, primo comma, del DPR n. 633 del 1972.
Tanto premesso, si ritiene che la fattispecie prospettata dalla Società, pur non essendo riconducibile allo schema del contratto di consignment stock, appaia – sul piano degli effetti – molto simile a quest’ultima fattispecie. Del resto, come evidenzia la Società, l’invio dei propri beni negli USA in regime franco valuta per essere successivamente ceduti al cliente statunitense, avviene in virtù dell’impegno contrattualmente vincolante assunto ab origine dalle stesse parti. Le merci, ancorché stoccate in un deposito di proprietà della controllata statunitense, di cui l’interpellante ha la disponibilità in virtù del contratto di locazione appositamente stipulato, appaiono vincolate, sin dall’inizio, all’esclusivo trasferimento in proprietà del cliente estero in relazione alle sue esigenze di approvvigionamento.
Nel presupposto, quindi, che la Società interpellante possa considerarsi, al momento della fuoriuscita dei beni dal territorio UE, obbligata a vendere al cliente estero, pompe personalizzate, in aderenza al più recente orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, richiamato dalla Società (cfr. Sez. V, sentenza n. 23588 del 20 dicembre 2012), si ritiene condivisibile la soluzione interpretativa prospettata dall’interpellante.
Pertanto, con il prelievo delle pompe dal deposito per la consegna al cliente estero si darà esecuzione alla compravendita e si realizzeranno i presupposti per inquadrare l’operazione come cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 633 del 1972; conseguentemente, il plafond di cui all’art. 8, comma 2, dello stesso decreto, si andrà a costituire solo nel momento e nella misura in cui le merci risulteranno prelevate dall’acquirente e debitamente fatturate dal fornitore.
Ciò nel presupposto, affermato dalla predetta pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, che sussista “il carattere definitivo dell’operazione, sicché ciò che risulta essenziale (…) al fine di evitare iniziative fraudolente, è la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine, e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero”.
A tal riguardo possono ritenersi ancora valide le indicazioni fornite con risoluzione n. 520657 del 4 dicembre 1975 (richiamata dall’istante), secondo cui il collegamento tra i beni inviati all’estero in franco valuta (per specie, qualità e quantità) e quelli ceduti secondo gli accordi contrattuali potrà essere dimostrato, come prospettato dall’istante, mediante:
– annotazione in un apposito registro, tenuto ai sensi dell’articolo 39 del DPR n. 633 del 1972, delle spedizioni dei beni all’estero, riportando per ciascuna annotazione gli estremi del documento di esportazione;
– indicazione nella fattura di vendita, emessa al momento della consegna dei beni all’acquirente, della corrispondente annotazione del registro relativa ai medesimi prodotti.
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