AGENZIA DELLE ENTRATE – Risoluzione 20 giugno 2017, n. 74/E

Interpello art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 – Reddito di lavoro dipendente – Trattamento fiscale delle spese rimborsate dal datore di lavoro in relazione all’utilizzo del telefono cellulare per finalità anche aziendali – art. 51, comma 1, del DPR n. 917 del 1986

Esposizione del quesito

La società istante mette a disposizione di molti dipendenti telefoni cellulari per finalità esclusivamente aziendali. Il costo per l’acquisto di tali dispositivi e le spese relative al traffico effettuato sono quindi ad esclusivo carico della società istante e non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dei dipendenti che fruiscono di tali apparecchi.

È opportuno precisare che il dipendente è autorizzato ad utilizzare il telefono cellulare anche per finalità diverse da quelle aziendali (c.d. “utilizzo privato”) ma, in tal caso, è necessario che la chiamata venga preceduta da un prefisso identificativo, così da consentire il calcolo del traffico complessivo delle chiamate per utilizzo privato e l’addebito al dipendente dei costi relativi alle stesse. Inoltre, l’istante rileva che i telefoni messi a disposizione dei dipendenti rispondono a stringenti requisiti di sicurezza imposti dalle policy aziendali e, di conseguenza, non consentono un pieno accesso a tutte le varie funzionalità oggi fruibili con questi apparecchi.

Pertanto, i dipendenti che vogliano disporre appieno delle potenzialità offerte dalla tecnologia presente sul mercato, si trovano nella necessità di tenere a disposizione, oltre al telefono fornito dall’azienda (e soggetto alle limitazioni imposte dalle sopra menzionate esigenze di sicurezza), anche un altro telefono, così da poter fruire delle funzionalità inibite al primo apparecchio.

Per ovviare a questa evidente inefficienza e complicazione di utilizzo dei telefoni, nonché per finalità di riduzione dei costi, l’istante vorrebbe introdurre una diversa modalità di gestione del servizio, tale da rendere possibile ai dipendenti di disporre di un unico apparecchio telefonico avente tutte le funzionalità ritenute necessarie e utili dagli stessi sulla base delle specifiche esigenze.

A tal fine, pur mantenendo in essere l’attuale modalità di utilizzo del servizio, ovvero la messa a disposizione di telefoni cellulari per finalità esclusivamente aziendali con possibilità di utilizzo di un prefisso per l’addebito dell’utilizzo privato, si vorrebbe consentire ai dipendenti, che ne facciano esplicita richiesta, di adottare la seguente modalità alternativa di gestione del servizio di telefonia mobile:

a) il telefono viene acquistato dal dipendente a sua scelta e a sue spese;

b) il contratto relativo al servizio di telefonia e traffico dati è stipulato dal dipendente con il gestore da lui scelto e tutte le spese sono quindi da lui direttamente sostenute.

Poiché il dipendente utilizza il telefono sia per finalità private che aziendali, si pone il problema di verificare quale sia il trattamento ai fini della tassazione del reddito di lavoro dipendente di cui all’art. 51 del TUIR delle somme rimborsate dalla società istante in relazione all’utilizzo del telefono per finalità aziendali.

La società istante tiene a rimarcare che questa modalità di fruizione del servizio consente di ridurre l’ammontare delle spese di telefonia attualmente a carico della stessa e risponde quindi a specifiche esigenze di riduzione dei costi e di maggiore efficienza.

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

Con riferimento alla questione oggetto della presente istanza, si ritiene che il rimborso pari al 50% delle spese di telefonia e traffico dati sostenute dal dipendente non rientri nell’ambito delle somme da includere nella determinazione del reddito di lavoro dipendente di cui all’art. 51 del TUIR.

Di conseguenza, l’istante, in qualità di sostituto sui redditi di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 23 del DPR n. 600/1973, ritiene di non dover includere i rimborsi in esame nel computo della base imponibile delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente. Si espongono di seguito le motivazioni che depongono a favore della predetta soluzione.

Con la riforma del reddito di lavoro dipendente attuata tramite il D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314 è stato riscritto l’art. 48 (oggi 51) del TUIR, nel senso di considerare quale reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Detta norma, secondo la comune opinione, afferma il principio di “onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente, secondo il quale la tassabilità di un dato compenso viene del tutto scollegata dalla circostanza che lo stesso si ponga in nesso sinallagmatico con la prestazione effettuata dal dipendente.

La onnicomprensività deve essere correttamente collocata nell’ambito dei principi dell’ordinamento tributario italiano, con la conseguenza che, in tanto potrà manifestarsi la potestà impositiva, in quanto vi sia un presupposto atto a sorreggerla. In tale ottica, quindi, è essenziale la verifica della sussistenza di un indice di capacità contributiva, che, secondo l’art. 53 della Costituzione, rappresenta condizione necessaria per l’obbligo di concorrenza alla spesa pubblica. In coerenza con quanto sopra, deve senz’altro concludersi per l’esclusione da imposizione fiscale per quelle erogazioni che soddisfano un interesse esclusivo o prevalente del datore di lavoro e che, quindi, si pongono come presupposto logico per lo svolgimento stesso della prestazione lavorativa.

La stessa Amministrazione finanziaria non ha mancato, sia pure in interventi isolati, di offrire spunti per svolgere alcune riflessioni di carattere generale sulla nozione di reddito di lavoro dipendente e, in particolare, sui limiti del “principio di onnicomprensività” sui cui si fonda la determinazione della base imponibile da assoggettare a tassazione.

L’istante segnala, inoltre, una pronuncia della Corte di Cassazione che ha riconosciuto la non imponibilità del rimborso del canone telefonico ai dipendenti impegnati in turni periodici di reperibilità. Secondo la Corte, non emerge un compenso avente natura retributiva nel caso in cui l’utilizzazione di un servizio sia richiesto ed offerto nell’interesse proprio del datore di lavoro, non tanto per consentire, strumentalmente, al lavoratore l’adempimento della prestazione, quanto, piuttosto, per realizzare gli obiettivi aziendali, dove la concreta attuazione della prestazione, per la sua efficienza, necessita della convergente disponibilità di uno specifico fattore di produzione, ossia dello strumento di telefonia fissa. La Corte, inoltre, prosegue affermando che “il lavoratore non potrebbe adempiere all’obbligazione contrattuale utilizzando, per il pagamento del canone e dunque per mantenere attiva la linea telefonica, le sole somme corrispondenti alle percentuali dei giorni di reperibilità nel mese, perché o il lavoratore paga l’intero canone, ed allora avrà la linea telefonica attiva sempre, dunque anche nei giorni di reperibilità, oppure non lo paga, ed allora non la avrà mai, nemmeno nei giorni di reperibilità: tertium non datur“.

Il passaggio da ultimo riportato è particolarmente interessante in quanto tratta proprio una fattispecie di utilizzo promiscuo di beni e servizi di spettanza del dipendente a fronte, però, di un concorrente (se non prevalente) interesse del datore di lavoro. La prassi e la giurisprudenza citata sono indicative di una significativa apertura verso il riconoscimento della non imponibilità dei rimborsi di costi necessari per consentire al dipendente di svolgere la propria prestazione lavorativa. Tali costi, invero:

– possono essere sostenuti direttamente dal datore di lavoro (es. attrezzature d’ufficio, computer, impianti di telecomunicazione);

-possono essere sostenuti direttamente dal dipendente, e quindi rimborsati dal datore di lavoro; fra questi sono compresi quelli connessi alla specifica modalità di svolgimento della prestazione (come nel caso del c.d. lavoro a distanza).

In considerazione di quanto sopra, è quindi fondato ritenere che le spese rimborsate al dipendente in attuazione della nuova modalità di fruizione del servizio di telefonia mobile prevista dal Progetto siano, quanto meno in linea di principio, da escludere dalla base imponibile del reddito di lavoro dipendente.

E’ evidente che l’ipotesi del rimborso sulla base di un resoconto di spesa analitico è sicuramente la più aderente al dettato normativo. Tale rigore, tuttavia, rischia di essere puramente teorico, in quanto di difficile, se non impossibile, applicazione sotto il profilo pratico. Non si può infatti omettere di rilevare che la forma tariffaria più utilizzata sul mercato è quella del pagamento fisso periodico (c.d. tariffa “flat“), il che rende ancora più complessa (rispetto ad una tariffa c.d. “a consumo”) una precisa dei costi fra utilizzo privato e per esigenze di lavoro.

Con una tale forma tariffaria (che prescinde dalla durata delle telefonate), l’unico criterio ragionevole (ma comunque sempre approssimativo) di demarcazione non può che essere costituito dal numero delle telefonate. Se poi aggiungiamo un’ulteriore variabile, costituita dal fatto che la tariffa può essere mista (“flat” fino ad un certo numero di telefonate e/o di traffico dati e “variabile” per l’eccedenza) ci si rende conto non solo della difficoltà di individuare un valido criterio che consenta di distinguere analiticamente la finalità delle telefonate, ma soprattutto l’estrema complicazione operativa. E non si è accennato alla connessione Internet e al relativo traffico di dati, anche questa suscettibile di utilizzo ambivalente (aziendale e privato).

Il telefono rientra fra gli strumenti necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa, ragion per cui, il rimborso da parte del datore di lavoro di un importo corrispondente al 50% delle spese d’uso dei telefono (traffico, canone, tassa di concessione governativa e Iva) sostenute dal dipendente, dovrebbe ragionevolmente essere considerato quale ristoro di un onere necessario per l’espletamento della prestazione lavorativa. Sarebbe invero poco razionale che una “entrata”, nella quale risulti assente l’esistenza di un reddito, divenisse imponibile solo perché conseguita nel contesto di un rapporto di lavoro.

In questo senso appare illuminante una pronuncia della Cassazione (Cass., civ.Sez. I, 26 maggio 1999, n. 5081), secondo la quale, la forfetizzazione del rimborso effettuato a favore di dipendenti incaricati di funzioni ispettive non appare in contrasto con la determinazione dei reddito di lavoro dipendente, in quanto la soluzione adottata dal datore di lavoro trae la sua origine dalla esigenza di semplificare il controllo dell’inerenza, senza tuttavia incidere sul carattere risarcitorio dei rimborso stesso.

Concludendo, il rimborso al dipendente di un importo pari al 50% delle spese sostenute da quest’ultimo per il servizio di telefonia mobile (e connessione internet) in relazione a comprovate esigenze aziendali, può ritenersi escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente.

Parere dell’agenzia delle entrate

I redditi di lavoro dipendente di cui all’articolo 49 del TUIR, sono disciplinati, ai sensi del successivo articolo 51, comma 1, dal principio di onnicomprensività, in applicazione del quale “. tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro” costituiscono reddito imponibile per il dipendente.

In generale, quindi, anche le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso spese costituiscono, per quest’ultimo, reddito di lavoro dipendente, salvo quanto previsto, per le trasferte e i trasferimenti, dai commi 5 eseguenti del medesimo articolo 51.

In relazione alla rilevanza reddituale dei rimborsi spese, si fa presente che l’Amministrazione Finanziaria con circolare n. 326 del 1997 ha ritenuto, in generale che “possano essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro anticipate dal dipendente per snellezza operativa, ad esempio per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, etc.”.

Inoltre, in relazione ai rimborsi documentati delle spese sostenute dal telelavoratore con risoluzione del 7 dicembre 2007, n. 357/E, richiamata dall’istante, si è ritenuto “che le somme erogate per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici non siano da assoggettare a tassazione essendo sostenute dal telelavoratore per raggiungere le risorse informatiche dell’azienda messe a disposizione dal datore di lavoro e quindi poter espletare l’attività lavorativa”.

In ragione di tali argomentazioni, il documento di prassi citato ha precisato che il rimborso documentato dei costi relativi ai collegamenti telefonici configura “l’ipotesi considerata dalla citata circolare n. 326 del 1997 di rimborso di spese di interesse esclusivo del datore di lavoro anticipate dal dipendente.” e, come tali, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

Ciò premesso, si fa presente che in sede di determinazione del reddito di lavoro dipendente, le spese sostenute dal lavoratore e rimborsategli in modo forfetario sono escluse dalla base imponibile solo nell’ipotesi in cui tale criterio forfetario sia stato previsto dal legislatore.

Laddove, invece, il legislatore non abbia indicato tale criterio forfetario, i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Pertanto, si è dell’avviso che la parte di costo relativo al servizio di telefonia e al traffico dati che la società istante rimborsa al dipendente sulla base di un criterio forfetario, non supportato da elementi e parametri oggettivi (es. numero e/o durata delle telefonate, ecc.), nel silenzio del legislatore al riguardo, non possa escluso dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Inoltre, si rileva che nell’ipotesi rappresentata dall’istante, non emerge neanche il costo rimborsato riguardo il servizio di telefonia utilizzato nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, atteso che la stessa società istante afferma che tale rimborso è determinato forfetariamente per venire incontro alle esigenze dei dipendenti della Deutsche BankS.p.A. ai quali, in tal modo, verrebbe consentito “un pieno accesso a tutte le funzionalità oggi fruibili .. e offerte dalla tecnologia presente sul mercato”.

Il collegamento tra l’uso del cellulare e l’interesse del datore di lavoro è inoltre dubbio in quanto il contratto relativo al servizio di telefonia e traffico dati è stipulato dal dipendente con il gestore da lui scelto, e non dal datore di lavoro che, limitandosi a concorrere al sostenimento dei costi, rimarrebbe estraneo al rapporto negoziale istaurato con il gestore telefonico.

Infine, si ritiene non pertinente alla fattispecie rappresentata dall’istante il riferimento alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 10367 del 2004, che ha riconosciuto la non imponibilità, ai fini previdenziali, del rimborso erogato dall’ENEL ai propri dipendenti per l’intera spesa da questi ultimi sostenuta per il canone telefonico.

Invero i giudici della Suprema Corte hanno motivato l’esclusione da contribuzione del citato rimborso, in ragione delle peculiarità della prestazione lavorativa caratterizzata dall’obbligo di reperibilità, circostanza questa che non emerge nella fattispecie rappresentata dalla società istante che, inoltre, non indica i lavoratori destinatari del rimborso.

Sulla base di quanto argomentato, la scrivente ritiene che il rimborso del 50 per cento dei costi sostenuti dai propri dipendenti per l’utilizzo del telefono cellulare, rilevino fiscalmente nei confronti di questi ultimi ai sensi dell’articolo 51, comma 1 del TUIR.