AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 15 luglio 2019, n. 236
Articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Ritenuta sui proventi derivanti da FIA esteri – Articolo 10 ter, comma 2, legge 23 marzo 1983, n. 77
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
Quesito
L’istante è una società fiduciaria (di seguito, “Istante”) che ha ricevuto l’incarico di custodia ed amministrazione, per conto di una persona fisica residente in Italia, di quote del fondo di private equity “ALFA” (di seguito, “Fondo”).
Il Fondo è istituito nel Regno Unito nella forma di limited partnership di diritto inglese.
L’Istante rappresenta che non si tratta di un fondo comune d’investimento armonizzato conforme alla direttiva 2009/65/CE, ma che lo stesso ha tutte le caratteristiche per essere considerato un fondo d’investimento alternativo (FIA).
Il Fondo è gestito dalla BETA LIMITED (di seguito, “Gestore”).
Il Gestore, pur essendo un soggetto autorizzato dalla Financial Conduct Authority (FCA), non è soggetto a vigilanza ai sensi della direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2011.
Ciò posto, l’Istante chiede se i proventi derivanti dal predetto Fondo debbano essere assoggettati a ritenuta ai sensi dell’articolo 10-ter, comma 2, della legge 23 marzo 1983, n. 77.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Il Fondo è regolarmente istituito e gestito nel Regno Unito in conformità alla legislazione inglese. Tale Paese ha recepito la direttiva 2011/61/CE il cui articolo 6 impone agli Stati membri di assicurare che nessun GEFIA gestisca FIA se non autorizzato conformemente alla direttiva stessa.
Il motivo per cui il Gestore amministra un fondo comune d’investimento alternativo pur non avendo una specifica autorizzazione, secondo l’Istante, deve essere ricercato nella clausola di grand-fathering contenuta nell’articolo 61, paragrafo 3, della citata direttiva 2011/61/UE, in base alla quale i gestori di FIA, che prima del 22 luglio 2013 gestivano FIA di tipo chiuso che non hanno effettuato investimenti supplementari dopo il 22 luglio 2013, possono comunque continuare a gestire tali FIA senza autorizzazione.
A parere dell’Istante, la circostanza, che la citata direttiva contenga una specifica clausola di grand-fathering per i fondi che hanno chiuso il periodo d’investimento entro il 22 luglio 2013, non può far ritenere che il gestore non sia “vigilato ai sensi della direttiva”, in quanto la società è effettivamente soggetta alla vigilanza dell’autorità inglese e gestisce legittimamente un fondo d’investimento inglese aventi le caratteristiche di un FIA.
Sulla base di tali argomentazioni, l’Istante ritiene che l’articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983 non possa essere interpretato nel senso che i proventi derivanti da un investimento in un fondo comune istituito nell’Unione europea – gestito da una management company europea in conformità alla legge nazionale dello Stato membro che ha recepito la direttiva comunitaria – debbano essere tassati diversamente da quelli derivanti da un fondo di investimento italiano aventi le medesime caratteristiche.
Una tale interpretazione, secondo l’Istante, comporterebbe una discriminazione degli investimenti effettuati all’estero da soggetti residenti in Italia che costituirebbe una restrizione alla libera circolazione dei capitali censurabili in sede europea.
Conseguentemente, l’Istante ritiene che ai proventi derivanti dal Fondo in esame debba applicarsi la ritenuta di cui a sopra citato articolo 10-ter, comma 2, della legge n. 77 del 1983.
Parere dell’agenzia delle entrate
Come noto, il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 44, per effetto del recepimento della Direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2011 sui gestori di fondi di investimento alternativi (di seguito “Direttiva”), apporta una serie di modifiche civilistiche e fiscali alla disciplina degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR).
In particolare, la Direttiva introduce misure volte a creare un mercato interno europeo dei gestori dei fondi di investimento alternativi (GEFIA) mediante la definizione di un quadro di riferimento armonizzato per la regolamentazione in materia di autorizzazione, funzionamento e trasparenza di tutti i GEFIA che gestiscono e/o commercializzano fondi di investimento alternativi (FIA).
Per FIA si intendono tipologie di fondi che raccolgono capitale da una pluralità di investitori allo scopo di investirlo a vantaggio degli investitori e in autonomia dai medesimi, in base a una determinata politica d’investimento, ma che non necessitano di un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 5 della Direttiva 2009/65/CE (di seguito “direttiva UCITS IV”). Pertanto, si tratta dei fondi diversi dagli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) ricompresi in quest’ultima direttiva.
Come si legge dalla relazione illustrativa del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 44, “l’ambito di applicazione della direttiva è limitato ai soggetti che esercitano abitualmente l’attività di gestione di FIA – indipendentemente dal fatto che il fondo sia di tipo aperto o chiuso, prescindendo dalla forma giuridica dello stesso o dal fatto che il fondo sia o meno quotato – e che raccolgono capitale da una pluralità di investitori allo scopo di investirlo a vantaggio di tali investitori in base a una determinata politica d’investimento.”.
I GEFIA – tra cui le società di gestione del risparmio (SGR) e gli altri gestori autorizzati – che si sono conformati alle regole e ai requisiti richiesti dalla Direttiva possono istituire, gestire e/o commercializzare FIA liberamente in tutta l’Unione Europea, mediante lo strumento del cosiddetto “passaporto del gestore” senza la necessità di costituire una sede fissa nel Paese di istituzione del fondo.
In sostanza, la Direttiva, proseguendo la strada intrapresa dalla direttiva UCITS IV, assicura il riconoscimento in tutta l’Unione europea delle autorizzazioni e dei sistemi di vigilanza prudenziale di ciascun Stato membro. Per istituire e gestire un OICVM armonizzato o un FIA in uno Stato membro è, quindi, sufficiente il rilascio dell’autorizzazione e l’esercizio della vigilanza da parte del solo Stato membro di origine del gestore (home country control).
La commercializzazione dei FIA nell’Unione è rivolta principalmente agli investitori professionali, tuttavia è consentito ai GEFIA la commercializzazione in Italia di FIA presso gli investitori al dettaglio, introducendo in tal caso specifiche prescrizioni e l’obbligo di apposite comunicazioni alle autorità di vigilanza nazionali.
La Direttiva non disciplina i FIA, i quali continuano ad essere regolamentati e sottoposti a vigilanza a livello nazionale in base alla legge dello Stato nel quale sono istituiti.
Al fine di recepire le predette disposizioni comunitarie, il citato decreto legislativo n. 44 del 2014 ha integrato la disciplina fiscale degli OICR tenuto conto del nuovo quadro normativo di riferimento e dei nuovi istituti introdotti.
In particolare, l’articolo 11 del citato decreto legislativo ha apportato modifiche all’articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77, il quale prevede l’applicazione di una ritenuta d’imposta sui proventi di cui all’articolo 44, comma 1, lettera g), del TUIR, derivanti dalla partecipazione a OICR di diritto estero, diversi da quelli conformi alla direttiva 2009/65/CE e da quelli immobiliari, e il cui gestore sia soggetto a forme di vigilanza nel Paese estero nel quale è istituito ai sensi della direttiva 2011/61/UE.
Tali OICR, inoltre, devono essere istituiti negli Stati membri dell’Unione europea o negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, e le quote o azioni degli stessi devono essere collocate nel territorio dello Stato ai sensi delle disposizioni contenute nel decreto Legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico dell’intermediazione finanziaria).
Ai fini dell’applicazione della predetta ritenuta, quindi, i proventi devono derivare da FIA, diversi dai fondi immobiliari, che presentano le seguenti caratteristiche:
– sono istituiti in uno Stato membro dell’Unione europea o aderente all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo;
– le quote o azioni di partecipazione agli stessi devono essere commercializzate nel territorio dello Stato nel rispetto della disciplina civilistica;
– il gestore degli stessi deve essere soggetto a vigilanza nel Paese nel quale è istituito in conformità alla direttiva 2011/61/UE.
In merito al possesso di tale ultima caratteristica da parte del Fondo in oggetto si è ritenuto opportuno richiedere documentazione integrativa all’istante ed acquisire un parere dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento delle Finanze.
Il Dipartimento, con nota del 25 gennaio 2019, in linea con quanto specificato dall’Istante nella documentazione integrativa, ha chiarito che “la direttiva 2011/61/UE è stata recepita nell’ordinamento britannico da The Alternative Investment Fund Managers Regulations 2013, le quali, all’articolo 74, hanno recepito le disposizioni transitorie contenute” nel sopra citato articolo 61, paragrafo 3, della direttiva stessa, “stabilendo che le medesime Regulations si applicano ai gestori di FIA chiusi che non effettuano investimenti ulteriori dopo il 22 luglio 2013.
Ai sensi del predetto articolo 74 delle citate Regulations, inoltre, i gestori dei predetti FIA, al fine di continuare a gestire gli stessi, non sono soggetti né all’obbligo di chiedere l’autorizzazione, né all’obbligo di registrazione quale fondo cd. “sottosoglia”.
Nel Regno Unito, pertanto, ai gestori di FIA chiusi che non effettuano investimenti ulteriori dopo il 22 luglio 2013 si applicano le disposizioni nazionali che hanno recepito la direttiva 2011/61/UE senza obbligo di chiedere l’autorizzazione e/o la registrazione ad operare”.
Sulla base di quanto appena chiarito, si ritiene che nel caso di specie, l’Istante incaricato del pagamento dei proventi del Fondo sia tenuta ad applicare la ritenuta di cui all’articolo 10-ter, comma 2, della legge n. 77 del 1983.
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