AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 26 novembre 2018, n. 84
Articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000 n. 212 – Rivalsa da accertamento ai sensi dell’art. 60, comma settimo, d.P.R. 633/1972
Quesito
La società Alfa, esercente attività di commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento e accessori, chiede chiarimenti in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 60, comma settimo, del d.P.R. n. 633 del 1972 concernente l’esercizio del diritto di rivalsa dell’Iva relativa ad avvisi di accertamento o rettifica emessi nei confronti di fornitori di beni e servizi nella particolare ipotesi di intervenuta estinzione del soggetto passivo acquirente.
Alla società istante sono stati notificati avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta dal 2011 al 2014 contenenti la contestazione di tutte le fatture emesse nei confronti della società Beta per la vendita di capi di abbigliamento firmati a prezzi ridotti. La detta società acquirente ha cessato l’attività, chiuso la partita Iva e operato la definitiva cancellazione dal registro delle imprese.
Per tutti gli avvisi di accertamento la società Alfa ha presentato istanza di adesione a seguito della quale l’Ufficio ha rideterminato la pretesa impositiva.
La società Alfa ha sottoscritto tutti gli atti di adesione emanati dalla Direzione Provinciale competente optando per il pagamento rateale. Nel contempo, la società Beta è stata messa in liquidazione con successiva chiusura della partita Iva, avvenuta in data ../../2017 e definitiva cancellazione della società dal registro delle imprese in data ../../2018.
Al fine di inquadrare la problematica interpretativa l’istante premette che secondo quanto previsto dall’articolo 60, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972:
“Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari di beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa e alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”. Tale disposizione è frutto della modifica operata con l’articolo 93, comma 1, del D.L. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, al fine di chiudere la procedura di infrazione n. 2011/4081 avviata dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, in quanto la precedente formulazione del predetto art. 60, settimo comma, escludeva tout court la possibilità, per il soggetto passivo destinatario di un avviso di accertamento, di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta accertata nei confronti di cessionari e committenti.
L’istante richiama alcune precisazioni fornite con la circolare n. 35/E del 17 dicembre 2013 in merito alla rivalsa e alla detrazione dell’Iva pagata a seguito di accertamento nei termini di seguito sintetizzati:
– la rivalsa si applica solo se la base imponibile sia riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determinati cessionari o committenti;
– tra gli istituti ammessi rientra anche l’accertamento che si renda definitivo attraverso l’adesione perfezionata ai sensi degli articoli 6 e ss. del d. lgs. 19 giugno 1997, n. 218;
– in presenza di rateazione dell’imposta definitivamente accertata, la rivalsa può essere esercitata in relazione al pagamento delle singole rate;
– al fine di esercitare il diritto alla rivalsa dell’IVA pagata a titolo definitivo in sede di accertamento il cedente/prestatore dovrà emettere una fattura (o una nota di variazione in aumento di cui all’articolo 26, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972), con le previsioni dettate dall’articolo 21, indicando gli estremi identificativi dell’atto di accertamento che costituisce titolo alla rivalsa. Il documento andrà annotato nel registro di cui all’articolo 23 del d.P.R. n. 633 del 1972 solo per memoria, perché l’imposta recuperata a titolo di rivalsa non dovrà partecipare alla liquidazione periodica, né essere indicata in una posta a debito nella dichiarazione annuale;
– il diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente è subordinato ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 all’avvenuto pagamento dell’Iva accertata addebitata in via di rivalsa, mediante annotazione del documento integrativo nel registro di cui all’articolo 25 del d.P.R. n. 633 del 1972. La disposizione normativa non prevede particolari oneri a carico del cessionario/committente in ordine al riscontro dell’avvenuto versamento all’Erario dell’imposta oggetto di accertamento; pertanto, questi è tenuto solo all’osservanza degli ordinari doveri di diligenza e cautela in ordine alla verifica della correttezza e regolarità della fattura (o della nota di variazione in aumento) emessa da parte del cedente/prestatore;
– la coincidenza, per effetto di un’operazione straordinaria di fusione per incorporazione, del soggetto che ha titolo ad effettuare la rivalsa (fornitore incorporante) con quello che la dovrebbe subire (acquirente incorporato) rende tecnicamente impossibile l’esercizio della rivalsa dell’Iva accertata nei confronti dell’acquirente dei beni e servizi cui afferisce la suddetta imposta. Tuttavia, in ossequio al principio di neutralità dell’imposta, l’incorporante/fornitore che ha provveduto al versamento all’Erario dell’IVA accertata può comunque esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Ciò premesso, il contribuente rileva una condizione di incertezza interpretativa per quanto attiene all’esercizio della rivalsa nel caso in cui, a seguito di definizione dell’accertamento, il cedente/prestatore non possa effettivamente esercitare il diritto di rivalsa a causa della cessazione dell’attività di impresa e della perdita dello status di soggetto passivo da parte del cessionario/committente.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene che la cessazione dell’attività di impresa e la perdita dello status di soggetto passivo da parte del cessionario/committente rendano tecnicamente impossibile, da un lato, l’effettivo esercizio del diritto alla rivalsa da parte del cedente/prestatore che ha versato l’IVA accertata all’Erario e, dall’altro, l’esercizio del diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente. Tuttavia, in ossequio ai principi di neutralità e proporzionalità, l’interpellante ritiene che debba essere riconosciuto al cedente/prestatore che ha versato la maggiore Iva accertata (a seguito della definizione dell’avviso di accertamento ai sensi degli articoli 6 e ss. del d. lgs. n. 218 del 1997) il diritto alla detrazione dell’IVA accertata e versata all’Erario.
Poiché nel caso in esame è stato prescelto il pagamento in forma rateale, l’istante ritiene che la detrazione possa essere esercitata in relazione al pagamento delle singole rate.
Da un punto di vista operativo, l’istante propone l’emissione di una nota di variazione in diminuzione, successiva al pagamento di ogni singola rata con indicazione nella descrizione degli estremi identificativi dell’atto di accertamento.
Tale documento dovrà poi essere annotato nel registro di cui all’articolo 25 del d.P.R. n. 633 del 1972, partecipando alla liquidazione periodica e confluendo nella dichiarazione annuale.
Parere dell’agenzia delle entrate
Non si concorda con la soluzione proposta dal contribuente per le ragioni evidenziate di seguito.
Dopo la modifica introdotta con il D.L. n. 1 del 2012, l’articolo 60, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, consente l’esercizio del diritto di rivalsa della maggiore imposta accertata a condizione che il fornitore abbia definitivamente corrisposto le somme dovute all’Erario in dipendenza dell’importo controverso.
La rivalsa a seguito di accertamento si differenzia da quella ordinariamente prevista poiché ha carattere facoltativo, si colloca temporalmente in epoca successiva all’effettuazione dell’operazione e presuppone l’avvenuto versamento definitivo della maggiore IVA accertata da parte del fornitore (sulla definitività si rimanda ai chiarimenti forniti con la circolare n. 35/E del 2013).
Tali circostanze valgono a rendere “speciale” il diritto di rivalsa in esame che, per rispondere al quesito proposto, va comunque interpretato alla luce dei principi generali del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto.
L’avvenuta introduzione del diritto di rivalsa a seguito di accertamento (a chiusura della procedura di infrazione n. 2011/4081), come detto, si propone di ripristinare la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa (esercitabile dal fornitore soggetto passivo) e dal diritto di detrazione (esercitabile dell’acquirente soggetto passivo) consentendo il normale funzionamento dell’imposta, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici, secondo l’approccio di tipo economico sostanziale che ravvisa nel consumo il presupposto dell’IVA, in aderenza con quanto ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia (ex multis, Corte di giustizia, sentenze C-330/95; C- 230/87).
Affinché la neutralità sia effettivamente ripristinabile, con la circolare n. 35/E del 2013, è stato chiarito che il diritto di rivalsa è ammesso a condizione che l’accertamento abbia consentito l’individuazione esatta della società cessionaria e la riferibilità dell’IVA accertata alle operazioni di cessione effettuate.
Tuttavia, va rilevato che, anche in presenza di tutte le condizioni necessarie a rendere il diritto potenzialmente esistente (definitività dell’accertamento, effettuazione dei versamenti dovuti, individuazione del cessionario e riferibilità dell’IVA alle operazioni), la rivalsa operata ai sensi dell’articolo 60 ha natura di istituto privatistico, inerendo non al rapporto tributario ma ai rapporti interni fra i contribuenti.
In caso di mancato pagamento dell’IVA da parte dell’acquirente del bene o del servizio l’unica possibilità consentita al fornitore per il recupero dell’IVA pagata all’Erario, ma non incassata, è quella di adire l’ordinaria giurisdizione civilistica.
Nel caso descritto tale via risulta preclusa a far data dalla cancellazione della società cessionaria dal registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2495 c.c. che ha comportato l’estinzione societaria definitiva e la conseguente perdita della titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio (cfr. articolo 4 del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6). Dunque, il diritto di rivalsa, pur astrattamente riconosciuto, non è più giuridicamente esercitabile dalla società istante.
Va, inoltre, rilevato nello specifico caso in esame che, data l’identità della compagine societaria tra la società istante Alfa e la cessata acquirente Beta, la scelta di chiudere definitivamente quest’ultima, con preclusione della futura rivalsa, è imputabile alla volontà manifestata dagli stessi soci dell’istante successivamente all’inizio del controllo fiscale.
Inoltre, l’istante ha dichiarato in sede di documentazione integrativa di non aver intrapreso, pur avendone facoltà, alcuna azione volta a rendere effettivo il diritto di rivalsa dell’IVA accertata, nei confronti della società cessionaria Beta, con riferimento alle rate versate, nei termini definiti in sede di adesione, neanche nell’arco temporale in cui ne avrebbe avuto facoltà, cioè nel periodo compreso tra la data di perfezionamento dell’adesione (data versamento prima rata mediante mod. F24) e la data degli eventi successivi che hanno condotto alla chiusura della partita IVA e alla cancellazione definitiva della medesima società dal registro delle imprese.
Sulla base delle predette considerazioni, si ritiene perciò che la società istante abbia posto in essere comportamenti incompatibili con la volontà di esercitare la rivalsa facoltativa di cui all’articolo 60, comma settimo, del d.P.R. n. 633/1972, tali da pregiudicarle definitivamente l’esercizio del predetto diritto.
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