AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 27 maggio 2020, n. 153
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Rivalsa da accertamento ai sensi dell’articolo 60, ultimo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società Fallimento [ALFA] (di seguito anche Fallimento [ALFA] o appaltatore), congiuntamente con la società [BETA] in liquidazione (di seguito anche [BETA] o committente), partecipata al 96% dal Fallimento [ALFA], espongono la questione qui di seguito sinteticamente riportata.
Nel corso dei periodi d’imposta 2013 e 2014, la società [ALFA], successivamente dichiarata fallita dal Tribunale di […](R.FALL. […]), ha realizzato, quale appaltatore, un […] per conto della committente [BETA].
Nel 2017 l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di […] ha notificato al Fallimento [ALFA]:
– avviso di accertamento […], relativo al periodo d’imposta 2013;
– avviso di accertamento […], relativo al periodo d’imposta 2014;
a mezzo dei quali veniva contestata l’indebita applicazione dell’aliquota agevolata del 10% nelle fatture emesse per documentare l’opera commissionata da [BETA] e, per l’effetto, recuperata a tassazione la differenza tra l’aliquota ordinaria applicabile (20% e, dal 01 ottobre 2013 in poi, 22%) e l’aliquota agevolata applicata (10%).
Il Fallimento [ALFA] rappresenta di aver definito entrambi gli avvisi di accertamento rispettivamente con:
– atto di adesione relativo al 2013 del […] 2017;
– atto di adesione relativo al 2014 del […] 2018, per una maggiore imposta complessivamente definita pari a […], euro, oltre interessi e sanzioni ridotte.
Il Fallimento [ALFA] riferisce, altresì, di aver provveduto integralmente all’adempimento delle obbligazioni derivanti dai predetti atti di adesione e che la maggiore imposta, gli interessi e le sanzioni sono stati assolti, in minima parte, a seguito di pagamenti effettuati con la liquidità disponibile nelle casse del fallimento ed, in via prevalente, ricorrendo alla compensazione con un credito IVA di cui lo stesso era titolare.
Ciò posto, il Fallimento [ALFA] evidenzia che intende recuperare in via di rivalsa nei confronti di [BETA] la maggiore imposta corrisposta all’erario in adempimento di quanto previsto negli atti di adesione.
A tale riguardo, chiede chiarimenti in merito alla corretta applicazione dell’articolo 60, ultimo comma del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 in tema di rivalsa facoltativa dell’IVA pagata a seguito di accertamento.
Il Fallimento [ALFA] che, nell’ambito delle proprie finalità istituzionali, ha l’esigenza di cedere a terzi la partecipazione di controllo detenuta in [BETA] in liquidazione, intende in tal modo tutelare l’affidamento dei soggetti che, risultando acquirenti di quest’ultima, dovranno confidare con certezza sulla possibilità di recuperare in detrazione l’IVA addebitata in via di rivalsa.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’appaltatore, assumendo che anche la maggiore IVA assolta mediante compensazione possa legittimare l’esercizio della rivalsa prevista dall’articolo 60, ultimo comma del d.P.R. 633 del 1972, ritiene, in base alle indicazioni contenute nella circolare n. 35/E del 17 dicembre 2013, di dovere in concreto:
– emettere in favore del committente una fattura o nota di debito di sola IVA per l’importo di […] euro, indicante, tra l’altro, i riferimenti degli avvisi di accertamento ed atti di adesione in base ai quali i pagamenti sono stati effettuati;
– annotare detto documento nel registro di cui all’articolo 23 d.P.R. 633 del 1972 solo per memoria, in quanto l’imposta risulta già corrisposta all’erario e, quindi, non deve concorrere alla liquidazione periodica.
[BETA] deve, a sua volta, annotare il documento medesimo sul registro di cui all’articolo 25 d.P.R. 633 del 1972 differendo l’esercizio della detrazione al momento del pagamento, in tutto o in parte, dell’imposta addebitatale in rivalsa.
In particolare, l’imposta può essere detratta nel periodo – mese o trimestre – in cui il pagamento, parziale o totale, risulterà avvenuto o nei periodi – mesi o trimestri – successivi ed al più tardi nella dichiarazione IVA relativa al secondo anno solare successivo a quello in cui lo stesso è avvenuto.
Parere dell’agenzia delle entrate
La soluzione prospettata è condivisibile.
L’articolo 60, ultimo comma, del d.P.R. 633 del 1972, prevede che “Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.
Come già chiarito con la risposta ad interpello n. 176, pubblicata il 31 maggio 2019 nell’apposita sezione del sito del la scrivente (www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposteagli- interpelli), la norma consente l’esercizio del diritto di rivalsa della maggiore imposta accertata a condizione che il cedente/prestatore abbia definitivamente corrisposto le somme dovute all’erario. Essa mira a ripristinare, anche nelle ipotesi di accertamento, la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa e dal diritto alla detrazione, consentendo il normale funzionamento dell’IVA, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici.
Al verificarsi delle condizioni fissate dalla norma, dunque, il diritto di rivalsa diventa esercitabile nei riguardi del cessionario o committente, che, sua volta, può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto la maggiore imposta addebitatagli ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.
Ciò premesso in via generale, nel caso in esame, sembrano ricorrere tutte le condizioni normativamente previste affinché il Fallimento [ALFA] possa recuperare in via di rivalsa la maggiore imposta corrisposta all’erario, avendo questi effettivamente versato quanto dovuto sulla base di accertamenti definiti mediante accertamento con adesione, ai sensi degli articoli 6 e seguenti del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, istituto idoneo a conferire definitività all’atto (in tal senso la circolare n. 35/E del 2013).
Né è di ostacolo il fatto che la maggiore imposta accertata sia stata assolta in parte attraverso l’istituto della compensazione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 17 luglio 1997, n. 241. Al riguardo, la richiamata circolare 35/E, al paragrafo 2.4, ha chiarito come “La compensazione, modalità di estinzione delle obbligazioni diversa dall’adempimento, è ugualmente satisfattiva delle ragioni creditorie dell’Erario, pertanto nell’ipotesi in cui l’IVA accertata sia assolta in parte mediamente versamento, in parte mediante compensazione con un credito IVA riconosciuto in sede di definizione dell’accertamento, l’ammontare di imposta oggetto di rivalsa non sarà limitato al minore importo dell’IVA pagata a mezzo F24 ma sarà pari all’ammontare complessivamente dovuto, ivi compresa la quota di debito estinta per compensazione”.
Non risulta, infine, rilevante la circostanza che l’appaltatore sia soggetto alla procedura concorsuale e che il committente sia controllato al 96% dall’appaltatore medesimo ovvero che la partecipazione di controllo possa essere oggetto di successiva cessione. Con riguardo specifico agli adempimenti prodromici all’esercizio della rivalsa dell’imposta pagata in sede di accertamento dal Fallimento [ALFA] ed all’esercizio della detrazione da parte della [BETA], si rinvia a quanto già chiarito dalla più volte richiamata circolare 35/E, che al paragrafo 4.1 specifica che “Al fine di esercitare il diritto alla rivalsa dell’IVA pagata a titolo definitivo in sede di accertamento il cedente/prestatore dovrà emettere una fattura (o una nota di variazione in aumento di cui all’articolo 26, primo comma del DPR n. 633 del 1972), con le indicazioni previste dall’articolo 21 ovvero, a partire dal 1° gennaio 2013, con i dati semplificati di cui al successivo articolo 21-bis, (richiamando altresì, laddove emessa/e, la/e fattura/e originaria/e), e con gli estremi identificativi dell’atto di accertamento che costituisce titolo alla rivalsa. Il documento andrà annotato nel registro di cui all’articolo 23 del DPR n. 633 del 1972 solo per memoria, perché l’imposta recuperata a titolo di rivalsa non dovrà partecipare alla liquidazione periodica, né essere indicata in una posta a debito nella dichiarazione annuale. Il diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente è, invece subordinato, ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del DPR n. 633 del 1972, all’avvenuto pagamento dell’IVA accertata addebitata in via di rivalsa, mediante annotazione del documento integrativo nel registro di cui all’articolo 25 del DPR n. 633 del 1972”. La norma – chiarisce ulteriormente il documento di prassi – non prevede particolari oneri a carico del cessionario/committente in ordine al riscontro dell’avvenuto versamento all’erario dell’imposta oggetto di accertamento, pertanto questi è tenuto solo all’osservanza degli ordinari doveri di diligenza e cautela in ordine alla verifica della correttezza e regolarità della fattura (o della nota di variazione in aumento) emessa da parte del cedente/prestatore”.
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