AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 10 febbraio 2020, n. 43
Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Rivalsa da accertamento – Articolo 60, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA], nel prosieguo istante, fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
In esito ad una attività istruttoria avviata nei confronti dell’istante, il competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate ha notificato allo stesso quattro avvisi di accertamento per i periodi di imposta […]. In particolare, con detti avvisi è stata:
– contestata, in relazione ad alcune operazioni, l’indebita emissione di fatture in regime di non imponibilità ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
– recuperata l’IVA non addebitata nelle suddette fatture, con i relativi interessi e la sanzione.
Nelle more del contenzioso promosso dall’istante avverso gli avvisi di accertamento allo stesso notificati è entrato in vigore il decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, che all’articolo 6 consentiva la definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti. L’istante, nell’aderire a detta definizione agevolata:
– ha versato, il 6 maggio 2019, gli importi dovuti in un’unica soluzione e ha presentato, il 30 maggio 2019, le relative domande;
– ha depositato, il 10 giugno 2019, presso il competente organo giurisdizionale,la documentazione attestante l’avvenuto perfezionamento della definizione stessa, alfine di sollecitare la dichiarazione di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere.
Tenuto conto di quanto chiarito con la circolare n. 23/E del 25 settembre 2017, alfine di rivalersi nei confronti dei propri cessionari dell’IVA versata in sede di definizione agevolata, l’istante manifesta l’intenzione di emettere note di variazione ai sensi dell’articolo 26, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, conformemente alle indicazioni fornite con la circolare n. 35/E del 17 dicembre 2013. Al riguardo, chiede di conoscere:
1. se, in applicazione dell’articolo 60, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, possa esercitare il diritto di rivalsa nei confronti di cessionari – ditte individuali e/o società di persone – cancellati dal registro delle imprese;
2. con riferimento ad alcuni cessionari – società di capitali e/o di persone – iscritti nel registro delle imprese ma inattivi, come debba procedersi nell’ipotesi in cui,successivamente alla rettifica in aumento dell’IVA, ne venga disposta la cancellazione dal registro delle imprese;
3. se la nota di variazione in diminuzione possa essere emessa per la sola imposta versata in sede di definizione, addebitata a titolo di rivalsa e non recuperata;
4. in subordine, se la nota di variazione in diminuzione possa essere emessa per almeno una parte dell’imposta versata in sede di definizione, addebitata a titolo di rivalsa e non recuperata. Chiede, altresì, di chiarire se detta quota di IVA sia deducibile dal reddito d’impresa ai sensi dell’articolo 101, commi 4 e 5, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR);
5. in relazione ai cessionari/società di capitali che risultano (o risulteranno prima che venga operata la rettifica in aumento dell’IVA) cancellati dal registro delle imprese, se possa essere dedotta dal reddito d’impresa, quale sopravvenienza passiva ai sensi del citato articolo 101, commi 4 e 5, del TUIR, una parte del corrispettivo originario, pari all’IVA virtualmente “incorporata”, a fronte della sua sopravvenuta insussistenza.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene di poter esercitare la rivalsa, ai sensi dell’articolo 60, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, della maggiore imposta versata a seguito della definizione, nei confronti delle ditte individuali e/o delle società di persone, ancorché cancellate dal registro delle imprese (quesito n. 1). Più specificamente, l’istante ritiene che, in tale ipotesi, non possa trovare applicazione il principio espresso nella risposta ad interpello n. 84 pubblicata il 26 novembre 2018 nell’apposita sezione del sito della scrivente (www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agli-interpelli) e ribadito nella risposta ad interpello n. 176 pubblicata il 31 maggio 2019, secondo cui “la rivalsa [dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 60 del d.P.R. n. 633 del 1972, n.d.r.] risulta preclusa a far data dalla cancellazione della società cessionaria dal registro delle imprese”. E ciò:
– in quanto tali soggetti non hanno personalità giuridica distinta rispetto a quella del titolare dell’impresa individuale ovvero dei soci della società di persone (che rispondono – illimitatamente o limitatamente, a seconda del modello organizzativo prescelto – delle obbligazioni della società);
– sebbene le imprese cessionarie abbiano perduto, con la cancellazione, la soggettività passiva ai fini dell’IVA.
Ove poi la rivalsa nei confronti di tali soggetti non dovesse andare a buon fine, l’istante ritiene possibile, all’esito dell’infruttuoso esperimento, in tutto o in parte, di procedere esecutive individuali e/o concorsuali, procedere alla variazione in diminuzione dell’IVA ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972(quesito n. 2). In particolare, evidenzia come, nei riguardi dei cessionari aventi forma di società di capitali e/o di persone, tuttora iscritti nel registro delle imprese ancorché inattivi, il diritto di esercitare la rivalsa potrebbe risultare in concreto vanificato laddove, dopo la rettifica in aumento dell’IVA, ne venga disposta la cancellazione. In tal caso, l’istante fa presente che:
– da un lato, non potrebbe più recuperare l’IVA versata in sede di definizione agevolata, essendosi nel frattempo estinto con la cancellazione il suo cessionario;
– dall’altro non potrebbe nemmeno procedere ad una successiva variazione in diminuzione, essendosi il cessionario estinto prima che si sia potuto dare impulso alle procedure esecutive e/o concorsuali a ciò propedeutiche.
L’istante, tuttavia, è dell’avviso che il diritto alla rettifica in diminuzione potrebbe, in tali fattispecie, essere esercitato in forza del principio espresso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con sentenza dell’8 maggio 2019, in causa C-127/18, A-Pack CZ s.r.o., secondo cui “l’articolo 90 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che un soggetto passivo non possa procedere alla rettifica della base imponibile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) in caso di mancato pagamento totale o parziale, da parte del suo debitore, di una somma dovuta a titolo di un’operazione soggetta a tale imposta, se il debitore non è più un soggetto passivo ai fini dell’IVA”. In particolare, l’istante ritiene di poter procedere all’emissione di una nota di variazione in diminuzione dell’IVA non recuperata all’esito dell’infruttuoso esperimento di procedure esecutive nei confronti delle persone civilisticamente responsabili per le obbligazioni della società di capitali (soci a responsabilità limitata o liquidatori) e/o di persone (soci che rispondono illimitatamente o limitatamente, a seconda del modello organizzativo prescelto). In difetto dei richiamati presupposti normativi per l’estensione della responsabilità, l’istante è che la semplice cancellazione della società lo legittimi all’emissione di una nota di variazione in diminuzione, attesa l’acclarata irrecuperabilità del tributo addebitato in rivalsa.
L’istante ritiene, poi, che la nota di variazione emessa ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, per recuperare l’IVA non incassata, possa essere una nota di variazione di sola IVA, non applicandosi al caso di specie i chiarimenti di cui alla risoluzione n. 127/E del 3 aprile 2008, ove, con riferimento alle note di variazione emesse a seguito di procedure concorsuali infruttuose, è stato chiarito che occorre variare sia l’imponibile che la relativa imposta (quesito n. 3). Qualora tale soluzione non sia condivisa, l’istante è dell’avviso che la nota di variazione possa essere emessa per la differenza tra l’IVA versata in sede di definizione agevolata e quella che si ottiene distinguendo, nell’ambito dei corrispettivi fatturati senza IVA ed incassati, tra la quota riferibile all’imponibile e la quota relativa all’imposta. Al fine di evitare una doppia imposizione, l’istante ritiene, altresì, che detta IVA rappresenti un componente negativo deducibile dal reddito d’impresa (quesito n. 4). Per la medesima finalità, l’istante è, infine, dell’avviso che la preclusione all’esercizio della rivalsa dia luogo ad una sopravvenienza passiva deducibile dal reddito d’impresa per un importo corrispondente all’IVA virtualmente “incorporata” nel corrispettivo originariamente percepito (quesito n. 5).
Parere dell’agenzia delle entrate
Le soluzioni interpretative prospettate dall’istante in relazione ai quesiti nn. 1, 2 e 3 non sono condivisibili per quanto già chiarito con la risposta all’interpello n. 531 pubblicata il 20 dicembre 2019 nell’apposita sezione del sito della scrivente (www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/normativa-e-prassi/risposte-agli-interpelli/interpelli), cui si rinvia per ogni ulteriore approfondimento.
In merito agli ulteriori quesiti prospettati (nn. 4 e 5), tenuto conto di quanto precisato nella citata risposta con riferimento al ricorso alla nota di variazione in diminuzione, non può consentirsi all’istante di detrarre neppure una parte dell’IVA versata in sede di definizione agevolata né di dedurre la differenza della stessa dal reddito d’impresa perché, come chiarito con la risposta ad interpello n. 84 pubblicata il 26 novembre 2018, il diritto di rivalsa ammesso dall’articolo 60, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 è un diritto “speciale”, sicché “anche in presenza di tutte le condizioni necessarie a rendere il diritto potenzialmente esistente”, la rivalsa operata ai sensi del medesimo articolo “ha natura di istituto privatistico, inerendo non al rapporto tributario ma ai rapporti interni fra i contribuenti”.
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