Agenzia delle Entrate – Risposta n. 230 del 28 aprile 2022

Rivalutazione dei beni d’impresa – Limite economico alla rivalutazione dei beni con valore fiscale superiore al valore contabile – Articolo 110 del decreto-legge del 14 agosto 2020, n. 104

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente

QUESITO 

La società istante, ALFA SPA, possiede alcuni immobili industriali nella provincia di …, tutti locati alla controllata BETA S.p.A., per i quali intende usufruire della rivalutazione ai sensi dell’articolo 110 del D.L. n. 104 del 2020.

Viene rilevato che al momento di presentazione dell’interpello la rivalutazione è stata effettuata nel bilancio relativo all’esercizio 2020 ed è stata versata la prima rata dell’imposta sostitutiva del 3%, mentre non è ancora stata presentata la dichiarazione modello Redditi SC 2021, per la quale non è ancora scaduto il termine.

Tutti gli immobili erano già stati oggetto di rivalutazione nel bilancio relativo al 2005, ai sensi dell’articolo 1 della L. n. 266 del 2005 che al comma 470 dispone quanto segue: “Il maggiore valore attribuito in sede di rivalutazione si considera fiscalmente riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale è stata eseguita”.

Di conseguenza, i maggiori ammortamenti civilistici degli immobili degli esercizi 2005, 2006 e 2007 non sono stati dedotti e dovrebbero essere recuperati al termine del processo di ammortamento civilistico, rispettando i limiti indicati dall’articolo 102 del TUIR.

Vi era di conseguenza, alla data del 31.12.2020, prima della nuova rivalutazione, un disallineamento complessivo di euro … tra il valore civile e valore fiscale degli immobili.

Tra i tre metodi di rivalutazione previsti dall’articolo 5 del D.M. 13 aprile 2001, n. 162, la Società ha scelto di intervenire sul valore dei beni effettuando uno storno parziale dei fondi di ammortamento, in modo da iscrivere i beni nel bilancio al 31.12.2020 a valori netti pari a quelli determinati da un perito. La Società ha, pertanto, rivalutato il valore civilistico di ciascun immobile fino a quello risultante dalla perizia, con la conseguenza che il valore fiscale dei beni risulta più alto del loro valore netto di bilancio, e dunque del loro valore di mercato (come meglio definito nel comma 2 dell’articolo 11 della L. n. 342 del 2000) risultante dalla perizia. La differenza, esattamente come prima della rivalutazione, è pari all’importo degli ammortamenti non dedotti del triennio 2005-2007.

La Società istante chiede:

A. se tale fatto sia irrilevante, con le seguenti conseguenze:

  • l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione è commisurata all’ammontare della rivalutazione operata in bilancio, cioè alla differenza tra il valore di mercato degli immobili iscritto in bilancio e il loro valore contabile netto civilistico iscritto prima della rivalutazione stessa,
  • al termine dell’ammortamento civilistico, l’ammortamento ai fini fiscali proseguirà, sotto forma di variazioni in diminuzione nelle dichiarazioni dei redditi e dell’IRAP, sino all’azzeramento anche del valore netto fiscale;

B. se invece il valore di mercato costituisca un limite alla rivalutazione fiscalmente In tal caso la Società intenderebbe allineare, per ciascun immobile, sia il valore di bilancio sia quello fiscale al valore di mercato, e a tal fine vorrebbe considerare:

  • una parte di rivalutazione meramente civilistica, e dunque non fiscalmente rilevante, con aumento del valore contabile netto civilistico sino al valore fiscalmente riconosciuto ante rivalutazione, tramite l’eliminazione parziale dei fondi di ammortamento, per allinearli ai minori fondi di ammortamento fiscalmente riconosciuti,
  • una parte di rivalutazione rilevante anche fiscalmente, di misura tale da portare il valore contabile e quello fiscale, ora coincidenti, ad importo pari al valore di mercato risultante dalla perizia.

In questo secondo caso l’incertezza riguarda la possibilità di attribuire valenza fiscale solo ad una parte della rivalutazione civilistica, apparentemente contro la lettera della norma dettata dal comma 4 dell’articolo 110 del D.L. n. 104 del 2020. La norma, infatti, sembrerebbe considerare unitariamente il “maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione”.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE 

La Società istante ritiene che gli ammortamenti 2005-06-07 imputati a bilancio, ma non considerati nella determinazione degli imponibili, si trovino in una situazione fiscale analoga alle svalutazioni senza rilevanza fiscale in relazione alle quali erano stati forniti chiarimenti con la circolare n. 57/E del 2001, emanata in relazione alla L. n. 342 del 2000. In particolare, al paragrafo 1.4, era stato precisato quanto segue: “Nel caso prospettato, in cui siano state effettuate svalutazioni o rettifiche di valore (ammortamenti) fiscalmente non rilevanti, laddove si intenda procedere alla rivalutazione, si rende necessario corrispondere sull’intero importo della rivalutazione stessa l’imposta sostitutiva. Non è dato escludere dall’imposta la differenza tra maggior valore fiscale e minor valore civilistico. In alternativa è consentito effettuare il ripristino di valore imputando le differenze a conto economico senza, tuttavia, che le stesse assumano rilevanza fiscale. In tale ipotesi potrà, infatti, essere apportata in dichiarazione dei redditi la variazione in diminuzione corrispondente al maggior valore del bene imputato al conto economico”.

Seguendo la prima parte del richiamato documento di prassi la Società intende corrispondere l’imposta sostitutiva sull’intero importo della rivalutazione, senza escludere dall’imposta la differenza tra maggior valore fiscale e minor valore civilistico. Viene evidenziato come la stessa circolare n. 57/E del 2001 non abbia attribuito alcuna rilevanza al fatto che, per effetto della rivalutazione, il valore fiscale possa superare il limite posto ai valori rivalutati, di natura esclusivamente civilistica, in coerenza con il fatto che la rivalutazione è anzitutto un’operazione di bilancio, e dunque civilistica.

Del resto, il comma 2 dell’articolo 11 della L. n. 342 del 2000, applicabile per effetto dei rimandi normativi, dispone che: “I valori iscritti in bilancio e in inventario a seguito della rivalutazione non possono in nessun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni con riguardo alla loro consistenza, alla loro capacità produttiva, all’effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa, nonché’ ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri”.

Il limite del valore di mercato è dunque posto ai “valori iscritti in bilancio e in inventario”. Lo stesso legislatore della rivalutazione del 2005, impedendo la deduzione dei maggiori ammortamenti per tre anni, aveva messo le imprese nella condizione di avere valori fiscali dei beni rivalutati superiori a quelli di mercato, quantomeno in quel triennio.

Qualora tale soluzione interpretativa non fosse condivisa, la Società istante chiede quale sia il modo di effettuare la rivalutazione senza versare l’imposta sostitutiva su un valore che non verrebbe comunque considerato fiscalmente rilevante, pari all’eccesso del valore fiscale rispetto a quello di mercato. A questo fine viene esaminata l’alternativa offerta al contribuente sempre al punto 1.4 della richiamata circolare n. 57/E del 2001, e cioè la possibilità di iscrivere in bilancio una sopravvenienza attiva non tassata per allineare, prima della rivalutazione, il valore civilistico a quello fiscale. La Società istante evidenzia come la rivalutazione prevista a quel tempo dalla L. n. 342 del 2000 aveva necessariamente rilevanza fiscale, perché, a differenza di quanto avviene oggi, non era riconosciuta ai contribuenti la possibilità di rivalutare i beni di impresa solo civilisticamente, e pertanto, a parere dell’Istante, l’alternativa offerta serviva a risolvere un problema con una modalità “creativa”, che inquinava il bilancio (perché la sopravvenienza attiva non aveva alcun senso economico/contabile), ma era l’unica a portata di mano.

L’Istante ritiene che, in presenza di un disallineamento tra valori civilistici e fiscali, oggi tale “inquinamento” non sarebbe comunque più necessario, dato che il legislatore stesso, con lo scopo di consentire una rivalutazione meramente civilistica, ha offerto alle imprese la mera facoltà di optare, come accessorio rispetto alla rivalutazione civilistica che è al centro del citato articolo 110, per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori, e non si vede una sola ragione logico-sistematica per escludere che questo possa avvenire anche solo parzialmente.

In conclusione, ritiene che:

  1. la Società possa liberamente scegliere di corrispondere l’imposta sostitutiva sull’intero importo rivalutato, che diverrebbe per intero fiscalmente riconosciuto, acquisendo così il diritto di eseguire ammortamenti esclusivamente fiscali al termine del processo di ammortamento civilistico, e di calcolare plus/minusvalenze fiscalmente rilevanti, in caso di cessione successiva al triennio, sulla base del valore fiscale risultante dalla rivalutazione e dagli ammortamenti dedotti;
  2. la Società possa decidere, quantomeno in ipotesi subordinata alla mancata condivisione dell’interpretazione di cui al punto A, di considerare la rivalutazione iscritta nel bilancio 2020 in parte come una rivalutazione meramente civilistica, realizzata tramite la parziale eliminazione dei fondi di ammortamento civilistici sino ad allinearli ai minori fondi di ammortamento fiscalmente riconosciuti, e per il resto come una rivalutazione rilevante anche fiscalmente, commisurando solo a questa seconda parte l’imposta sostitutiva di cui al comma 4 dell’articolo 110 del D.L. n. 104 del 2020. In questa eventualità la Società, che ha già versato la prima rata dell’imposta sostitutiva, ridurrebbe in parti uguali i versamenti della seconda e terza rata, in misura corrispondente all’eccedenza già versata nel corso del 2021.

In sede di documentazione integrativa prot. n. … del … la Società ha precisato che:

  1. la rivalutazione è stata effettuata dalla Società esclusivamente sui fabbricati, data la sostanziale mancanza di benefici fiscali di una eventuale rivalutazione dei terreni. Trattandosi di un’operazione anzitutto civilistica, a parere dell’Istante ciascun immobile deve essere considerato un bene unitario costituito dal fabbricato e dall’area sulla quale insiste, perché la suddivisione tra le due parti è finalizzata unicamente al loro diverso trattamento fiscale.

L’immobile aziendale situato in …, via …, a differenza di tutti gli altri, si è trovato nella condizione seguente:

  • il valore di perizia complessivo era superiore al valore netto contabile;
  • il valore di perizia del fabbricato era superiore al suo valore netto contabile;
  • al contrario, il valore di perizia del terreno era inferiore a quello contabile di quest’ultimo.

La Società, per questo immobile, ha dunque limitato la rivalutazione del valore del fabbricato, portandolo a soli Euro … anziché al valore di perizia di Euro …, in modo che il valore totale del bene fosse allineato a quello complessivo risultante dalla perizia.

  1. posto che il riallineamento può essere utilizzato congiuntamente alla rivalutazione dei beni (cfr. circolare n. 14/E del 2017), la Società ha inteso eliminare il disallineamento consistente nella presenza dei fondi di ammortamento anticipato, che rappresentano valori meramente fiscali privi di valenza

La scelta del riallineamento non sembra poter incidere sul piano giuridico-interpretativo del quesito posto con l’interpello, e per questo motivo non si era ritenuto utile trattarlo nell’istanza di interpello.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE 

In via preliminare si rappresenta che con la presente risposta si esprime esclusivamente un parere di tipo interpretativo attinente al quesito formulato nell’istanza, con esclusione di qualsivoglia valutazione, qualitativa e/o quantitativa, in ordine alla sussistenza dei requisiti soggettivi e/o oggettivi nonché alle concrete modalità operative e/o ai criteri adoperati dalla Società in sede di rivalutazione ai sensi dell’articolo 110 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla Legge 13 ottobre 2020, n. 126.

Esula, inoltre, dal presente parere ogni giudizio in ordine alla disciplina del riallineamento, ai sensi del medesimo articolo 110 del D.L. n. 104 del 2020, con riferimento alla quale l’interpellante non ha formulato alcun quesito, neppure limitatamente alla compatibilità della stessa con l’operazione di rivalutazione in esame.

Restano, pertanto, impregiudicati i poteri di controllo e verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Ciò posto, si osserva che il predetto articolo 110 consente ai soggetti indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio, di rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni, a esclusione degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa, risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2019. La rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio o rendiconto dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, può essere effettuata distintamente per ciascun bene e deve essere annotata nel relativo inventario e nella nota integrativa.

L’operazione di rivalutazione comporta la formazione di un saldo attivo di rivalutazione, ossia la rilevazione nel passivo dello stato patrimoniale della contropartita dei maggiori valori attribuiti ai beni al netto della relativa imposta sostitutiva. Il comma 3 della norma citata prevede che “Il saldo attivo della rivalutazione può essere affrancato, in tutto o in parte, con l’applicazione in capo alla società di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali nella misura del 10 per cento, da versare con le modalità indicate al comma 6“. Il successivo comma 4 consente di conferire efficacia fiscale alla rivalutazione, disponendo che “Il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione può essere riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive a decorrere dall’esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali nella misura del 3 per cento per i beni ammortizzabili e non ammortizzabili“.

Con la presente istanza di interpello la Società ha richiesto chiarimenti in merito alle modalità di rivalutazione, in applicazione dell’articolo 110 del D.L. n. 104 del 2020, di beni immobili che erano stati oggetto di rivalutazione ai sensi dell’articolo 1 della L. n. 266 del 2005.

In base a quanto previsto dall’articolo 5 del D.M. 13 aprile 2001, n. 162, per i beni ammortizzabili materiali ed immateriali la rivalutazione, fermo restando il rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio, può essere eseguita alternativamente: i) rivalutando sia i costi storici sia i fondi di ammortamento in misura tale da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti; ii) rivalutando soltanto i valori dell’attivo lordo; iii) riducendo in tutto o in parte i fondi di ammortamento.

Nel caso di specie, la Società rappresenta di aver scelto di intervenire sul valore dei beni effettuando uno storno parziale dei fondi di ammortamento in modo da iscrivere i beni nel bilancio al 31.12.2020 a valori netti pari a quelli determinati da un perito (terzo metodo). In considerazione della circostanza per cui i medesimi beni erano stati rivalutati nel bilancio relativo all’esercizio 2005 (rivalutazione che prevedeva il riconoscimento fiscale dei maggiori valori “a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale è stata eseguita”), a seguito della rivalutazione nel bilancio 2020 il valore fiscale dei beni risulta più alto del loro valore netto di bilancio. La differenza, esattamente come prima della rivalutazione, è pari all’importo degli ammortamenti non dedotti nel triennio 2005-2007.

Giova evidenziare che la fattispecie in esame (i.e. valore fiscale del bene da rivalutare superiore al valore contabile) non risulta perfettamente sovrapponibile a quella già affrontata nel paragrafo 1.4 della circolare n. 57/E del 2001. Con il richiamato documento di prassi venivano offerte due soluzioni alternative al fine di procedere alla rivalutazione nel caso in cui fossero state effettuate svalutazioni o rettifiche di valore (ammortamenti) fiscalmente non rilevanti, ossia: i) corrispondere sull’intero importo della rivalutazione stessa l’imposta sostitutiva, senza escludere dall’imposta la differenza tra maggior valore fiscale e minor valore civilistico; ii) effettuare il ripristino di valore imputando le differenze a conto economico senza, tuttavia, che le stesse assumessero rilevanza fiscale.

Ai fini della disciplina di cui all’articolo 110 del D.L. 104 del 2020 si ritiene che, in linea di principio, la circostanza che il valore fiscale dei beni sia superiore al correlato valore contabile non sia ostativa all’operazione in esame. In tali casi, conformemente alla prima soluzione contenuta nel paragrafo 1.4 della circolare n. 57/E del 2001, occorrerà corrispondere l’imposta sostitutiva sull’intero importo della rivalutazione senza escludere dall’imposta la differenza tra maggior valore fiscale e minor valore civilistico; tuttavia, nel caso di specie ciò comporterebbe un incremento del valore fiscale complessivo superiore al valore di mercato, esito che non si ritiene compatibile con l’impianto normativo nel suo insieme in quanto in contrasto con la ratio e gli espressi limiti previsti dalla disciplina in esame sia ai fini contabili che ai fini fiscali (cfr. articolo 11 della legge n. 342 del 2000 e articolo 6 del DM attuativo n. 162 del 2001).

Infatti, sebbene in base al comma 2 dell’articolo 11 della L. n. 342 del 2000, applicabile anche alla rivalutazione in esame, il limite del valore di mercato sia posto ai “valori iscritti in bilancio e in inventario“, si evidenzia come l’articolo 6 del decreto attuativo preveda che “Anche ai fini fiscali, il valore attribuito ai singoli beni in esito alla rivalutazione eseguita a norma degli articoli 10 e seguenti della legge, al netto degli ammortamenti, non può in nessun caso essere superiore al valore realizzabile nel mercato (…)” (enfasi aggiunta).

Pertanto, se alla fattispecie precipua si applicasse pedissequamente la prima soluzione contenuta nella richiamata circolare n. 57/E/2001, paragrafo 1.4, la Società dovrebbe corrispondere l’imposta sostitutiva sull’intero importo della rivalutazione, senza escludere dall’imposta il disallineamento esistente tra valore fiscale e valore civilistico. Alle sue estreme conseguenze, tale soluzione comporterebbe comunque il mancato riconoscimento fiscale della rivalutazione per la parte eccedente il valore di mercato.

D’altra parte, con riferimento alla soluzione alternativa esposta nella circolare n. 57/E del 2001, occorre sottolineare che la medesima non risulta conferente al caso di specie, posto che, stando alle informazioni desumibili dall’istanza, la società non ha effettuato alcun ripristino del costo mediante imputazione di un provento nel conto economico del bilancio 2020.

Pertanto, considerato che il valore di mercato costituisce un limite alla rivalutazione fiscalmente rilevante, occorre tenere conto della soluzione prospettata in via subordinata dall’istante. In detta ipotesi la rivalutazione avrebbe in primo luogo efficacia esclusivamente civilistica fino a concorrenza del valore fiscalmente riconosciuto ante rivalutazione; successivamente, una volta realizzata la coincidenza tra il valore contabile e quello fiscale, la rivalutazione assumerebbe rilevanza ai fini fiscali, dietro pagamento dell’imposta sostitutiva, per la quota pari alla differenza tra il valore di mercato (valore massimo rivalutabile) e detto valore fiscalmente riconosciuto.

È appena il caso di evidenziare come la suddetta prospettazione non sia percorribile ogniqualvolta i valori fiscali dei beni rivalutati siano superiori ai relativi valori contabili, non essendo prevista dalla norma in esame la facoltà di procedere volontariamente ad un riconoscimento “parziale” ai fini fiscali della rivalutazione effettuata. Infatti, il comma 4 dell’articolo 110 del D.L. n. 104 del 2020, si riferisce ad “il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione” che “può essere riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive (…)”. Tuttavia, limitatamente alla fattispecie in esame, tale soluzione è giustificata, secondo una lettura logico-sistematica delle disposizioni richiamate, dalla circostanza che deve evitare di far scontare l’imposta sostitutiva su un valore che non potrebbe comunque essere riconosciuto ai fini fiscali, stante il limite economico alla rivalutazione di cui all’articolo 6 del D.M. n. 162 del 2001 e che non avrebbe comportato una tassazione in via ordinaria in caso di ripristino di valore.

In altri termini, detta possibilità appare circoscritta ai soli casi in cui l’integrale riconoscimento fiscale dei maggiori valori sia impedito dal superamento del valore massimo rivalutabile.

In definitiva, fermo restando che esula dal presente interpello la determinazione qualitativa e quantitativa del limite economico alla rivalutazione, si ritiene condivisibile in linea di principio la soluzione interpretativa prospettata dal contribuente in relazione al subordinato caso B).

Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei fatti rappresentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità, correttezza e concreta attuazione del contenuto, nonché con riserva di riscontro nelle sedi competenti.