Agenzia delle Entrate – Risposta n. 262 del 13 maggio 2022
S.r.l. PMI – Trasferimento di categorie di quote fornite di diritti diversi – Ambito applicativo dell’articolo 3, comma 4 ter, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
L’Istante è attualmente socio di maggioranza per il 98% dell’intero capitale sottoscritto ed interamente versato, pari a Euro xxx, nonché Presidente del C.d.A. della società ALFA s.r.l.
La coniuge partecipa nella residua misura del 2% del capitale.
L’Istante rappresenta che allo scopo di una miglior gestione della totalità delle partecipazioni di detta Società, di cui è previsto prossimamente il totale conferimento in una new company, e di quelle che successivamente perverranno e, in generale, del patrimonio della famiglia dell’Istante, è in programma la costituzione della società “Famiglia BETA Holding S.r.l.”.
La prospettata operazione di riassetto societario consentirà, secondo l’Istante, una gestione professionale delle partecipazioni della società idonea a consolidare e a mantenere il valore delle attività imprenditoriali, creando contemporaneamente le condizioni favorevoli, da una parte, per la gestione dei rapporti interpersonali e familiari dell’attuale compagine sociale e, dall’altra, per il futuro passaggio generazionale delle attività imprenditoriali medesime che, secondo gli intendimenti dell’Istante, sono da ritenere prevalenti.
La predetta holding familiare sarà connotata dalla previsione statutaria di diverse categorie di quote, caratterizzate da diritti diversi tra loro e/o da mancanza di diritto di voto, anche in deroga all’articolo 2468, commi 2 e 3, e all’articolo 2479, comma 5, del codice civile come previsto dall’attuale normativa delle S.r.l. PMI di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 26 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, come modificato dal successivo decreto legge 24 aprile 2017, n. 50.
In particolare, nel caso concreto, nella costituenda holding coesisteranno quote di categoria “A”, attribuibili solo ai soci fondatori (l’Istante e la coniuge) e, successivamente, ai discendenti diretti e consanguinei dell’Istante, nella misura massima del 2% di partecipazione all’intero capitale, aventi tutti i diritti amministrativi e patrimoniali fatta eccezione del diritto di voto per la nomina dell’organo amministrativo (in quanto riservato come diritto particolare ex articolo 2468 cod. civ. all’Istante), con quote di categoria “C”, prive di diritto di voto, nella misura massima del 98% di partecipazione all’intero capitale della costituenda holding.
Considerato che:
- al momento della costituzione della holding famigliare la partecipazione del socio fondatore sarà pari al 97,50% dell’intero capitale sottoscritto, composta da quote di categoria “A” per 1,5% e da quote di categoria “C” per il restante 96% del capitale;
- per espressa previsione dell’articolo y, lettera a) della bozza di statuto allegato, al fine di agevolare il passaggio generazionale nella guida del Gruppo, le quote “A” e “C” sono trasmissibili a causa di morte, con pieno effetto nei confronti della società, solo a favore dei discendenti diretti consanguinei dell’Istante che siano maggiorenni al momento di apertura della successione;
- in caso di morte dell’Istante, quindi, verrebbe trasmessa ai suoi discendenti diretti e consanguinei l’intera partecipazione pari al 97,5% del capitale composta, come già evidenziato, da quote di categoria “A” e quote di categoria “C”;
- nella predetta partecipazione rientrano la maggioranza (1,5% del complessivo 2% previsto ex statuto) delle quote di categoria “A”, che giustificano la richiesta di applicazione dell’agevolazione di cui all’articolo 3, comma 4 ter, TUS (d.lgs. n. 346 del 1990) di sottrazione integrale dall’imposta di successione dell’intero valore della partecipazione, a patto che siano rispettate le condizioni richieste dalla medesima normativa, ovvero la partecipazione ricevuta deve attribuire il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma – n. 1 del codice civile e detto controllo acquisito deve essere detenuto dagli eredi (eventualmente in comunione ereditaria, se più di uno, con necessaria nomina di un rappresentante comune per l’esercizio dei diritti sociali) per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento;
l’Istante chiede chiarimenti in merito all’applicazione dell’articolo 3, comma 4- ter, del TUS alla descritta operazione con particolare con riferimento al valore dell’intera partecipazione caduta in successione.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’Istante ritiene applicabile al caso concreto l’agevolazione prevista dal citato comma 4-ter dell’articolo 3 del TUS al valore dell’intera partecipazione caduta in successione, anche se le uniche quote attributive della maggioranza dei voti esercitabili in sede di decisione dei soci non rappresentano l’intera partecipazione, essendo quest’ultima composta anche e – soprattutto – da quote di categoria “C” prive di diritto di voto per espressa previsione statutaria.
Al riguardo, evidenzia che il citato comma 4 ter è stato introdotto prima dell’entrata in vigore della recente disciplina sulle S.r.l. PMI che ha consentito le previsioni statutarie di quote caratterizzate da diritti diversi.
Secondo l’Istante con la locuzione “quota di partecipazione” di un socio – rinvenibile nel codice civile – si intende individuare un’entità unica rispetto alle altre detenute dagli altri soci – come unitaria e indivisibile – e mai come somma di quote. Ne deriva che, in primo luogo il tipo sociale s.r.l. valorizza la centralità del socio e i rapporti contrattuali tra i soci; in secondo luogo se la quota di partecipazione è unitaria significa che non può essere frazionata in più parti. Così, nel caso in cui un socio titolare di una propria quota, ne acquisti una ulteriore, quest’ultima confluirà nella prima, consolidando le due quote in una unica partecipazione.
L’Istante, sulla base del principio dell’unicità della quota di partecipazione in S.r.l., osserva che anche la riforma operata con il decreto legge n. 50 del 2017 ha introdotto per le S.r.l. PMI la possibilità di creare categorie di quote e di offrirle al pubblico ma non ha derogato al divieto di suddividerle in azioni.
Al fine di conciliare il principio dell’unicità della partecipazione in s.r.l. con la possibilità di creare categorie di quote, l’Istante richiama un orientamento notarile e, altresì, ritiene che il principio di unitarietà, in presenza dell’emissione di più categorie di quote, non può più considerarsi riferibile a tutte le categorie di quote di una S.r.l. PMI, ma attiene alle singole categorie di quote che disciplinano “per categoria” i diritti e gli obblighi interni di ciascuna categoria.
Concludendo, secondo l’Istante, “unico è il rapporto di cui ogni socio è investito, indipendentemente dal numero di quote di diversa categoria a lui appartenenti, quote categorizzate che influiscono sulla misura della partecipazione ai proventi sociali e al governo della società, ma non possono mai tradursi in un moltiplicatore della posizione del socio.”.
Tale soluzione, ad avviso del contribuente, sarebbe coerente con un importante principio del diritto successorio, ovvero l’inammissibilità di un’eventuale accettazione ereditaria parziale avente per oggetto solo le quote di categoria “A” da parte del chiamato all’eredità interessato solo ad acquisire il controllo della società ai sensi dell’articolo 2359 cod. civ.
Si tratterebbe di una delazione unitaria avente ad oggetto un’unica partecipazione sociale, sebbene questa – sotto il profilo meramente interno dei rapporti con la società e gli altri soci – sia composta da quote di diversa natura, caratterizzate da diversi diritti. Anche con riferimento al regime legale di esercizio dei diritti sociali in caso di comproprietà in comunione ereditaria della partecipazione tra due o più eredi, la soluzione si presenta congrua con quanto stabilito in materia di nomina del rappresentante comune ex articolo 2468, 5° comma. Ragionando diversamente, infatti, si dovrebbe ammettere – come logica conseguenza – la necessità della nomina di due rappresentanti: uno per ogni categoria di quote che compongono la partecipazione sociale del socio defunto e caduta in successione.
Al riguardo, l’Istante richiama i chiarimenti della circolare n. 11/E del 2007 riferiti a donazioni di partecipazioni sociali da genitori a figli, secondo cui “nel caso in cui la partecipazione di controllo posseduta dal dante causa, sia frazionata tra più discendenti, l’agevolazione spetta esclusivamente all’attribuzione che consente l’acquisizione o l ‘integrazione del controllo da parte del discendente; nel caso in cui il trasferimento della partecipazione avvenga a favore di più discendenti in comproprietà, ai sensi dell’articolo 2347, cod civ., il beneficio viene comunque riconosciuto”.
Ad avviso dell’Istante, tale soluzione riconoscerebbe implicitamente il principio di unicità della partecipazione sociale oggetto di trasmissione al/ai discendente/i, la quale, diversamente, potrebbe trasferirsi frazionata solo se così prevista nell’atto di donazione o, in caso di successione mortis causa, attraverso la divisione fatta dal testatore nel testamento ex articolo 734 cod. civ. o mediante singoli legati testamentari. Quando, invece, il trasferimento avviene a seguito di successione intestata per legge, la partecipazione si trasmette unitariamente al singolo erede, o alla pluralità di eredi realizzando in tale caso una comunione incidentale pro indiviso sulla medesima partecipazione.
Nel caso di specie il contribuente osserva che si realizza “la caduta in successione di una partecipazione di PMI-Srl che rispetta la condizione di acquisizione del controllo ex articolo 2359 cod. civ., sebbene questo sia dovuto grazie alla presenza di una componente minoritaria della stessa partecipazione (le quote di categoria “A”)” e ritiene “corretta l’applicazione dell’esenzione dall’imposta di successione, ai sensi della normativa richiamata, al valore dell’intera partecipazione in quanto unitaria. Al contrario, una limitazione della stessa esenzione al valore della sola componente costituita dalle quote di categoria “A”, non soltanto non troverebbe un’obiettiva giustificazione, ma – soprattutto – come dimostrato – si presenterebbe apertamente dissonante con i principi immanenti di diritto societario e successorio anzi richiamati”.
Segnala infine il contenuto della risposta ad interpello n. 257/2019, significativo dell’orientamento dell’Amministrazione finanziaria volto a favorire il passaggio generazionale delle aziende di famiglia, dove il trasferimento del controllo, pur realizzandosi attraverso più atti di donazione contestuali e congiunti realizza ‘una complessiva finalità economica, idonea a garantire il passaggio generazionale dell’impresa conservandone l’unitarietà e la funzionalità’, nonché la sentenza 23 giugno 2020, n. 120 della Corte Costituzionale che ricorda come “L’agevolazione in esame, tuttavia, non è destinata direttamente all’impresa ma ad agevolarne la continuità a favore dei discendenti nel momento del passaggio generazionale”.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 3, comma 4-ter, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (nel prosieguo anche TUS), dispone che “I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta. In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile. Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell’imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.471, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata.”.
Con la richiamata disposizione, il legislatore ha inteso favorire il passaggio generazionale delle aziende di famiglia, a condizione, tuttavia, che i beneficiari del trasferimento proseguano l’attività d’impresa o mantengano il controllo della società, per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento.
Il predetto trattamento agevolativo spetta, quindi, esclusivamente ai beneficiari (discendenti o coniuge del disponente) sempreché rendano, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione di proseguire l’esercizio dell’attività d’impresa o detenere il controllo dell’attività d’impresa.
Il mancato rispetto dell’impegno assunto in tal senso comporta la decadenza dall’agevolazione concessa e il conseguente recupero dell’imposta dovuta, nonché l’applicazione delle relative sanzioni e degli interessi.
Al riguardo, la Corte Costituzionale, con la sentenza 23 giugno 2020, n. 120, ha recentemente chiarito che la finalità della norma in argomento è quella di agevolare, attraverso l’eliminazione dell’onere fiscale correlato al trasferimento per successione o donazione, la continuità generazionale dell’impresa nell’ambito dei discendenti nella famiglia in occasione della successione mortis causa, rispetto alla quale il trasferimento a seguito di donazione può rappresentare una vicenda sostanzialmente anticipatoria.
La predetta sentenza precisa che lo scopo della norma “è innanzitutto evincibile dal suo tenore letterale che, da un lato, riguarda esclusivamente complessi aziendali, partecipazioni sociali e azioni; dall’altro, subordina la fruizione del beneficio alla condizione che i discendenti proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo di almeno cinque anni”.
In particolare, secondo la Consulta l’agevolazione in esame “non è destinata direttamente all’impresa ma ad agevolarne la continuità a favore dei discendenti nel momento del passaggio generazionale. Da questo punto di vista va allora considerato che, in via più generale, l’esigenza di garantire la continuità aziendale nella giurisprudenza di questa Corte è stata valorizzata in particolare in quanto preordinata alla garanzia del diritto al lavoro, laddove il legislatore ha “inteso realizzare un intervento diretto a garantirne la continuità ed a permettere la conservazione del rilevante valore dell’azienda (costituita da una pluralità di beni e rapporti, di varia natura), al fine di scongiurare, in tal modo, anche una grave crisi occupazionale” (sentenza n. 270 del 2010); in nome quindi, tra l’altro, dell’«interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e [del] dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso» (sentenza n. 85 del 2013). In astratto, anche la finalità perseguita dall’agevolazione in oggetto, con riguardo all’aspetto inerente alla continuazione dell’attività produttiva, potrebbe rispondere all’esigenza di evitare che il peso delle imposte nel momento della successione possa generare difficoltà finanziarie tali da mettere in pericolo la sopravvivenza dell’impresa, con una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico: del resto anche in altri ordinamenti sono previste forme analoghe di agevolazione, che peraltro raramente dispongono una esenzione totale, le quali si raccordano però a ben più gravosi carichi fiscali sulle successioni”.
Con la circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E nonché con precedenti documenti di prassi (circolare 16 febbraio 2007, n. 11/E, risoluzione 26 luglio 2010, n. 75/E), l’Agenzia delle entrate ha fornito istruzioni in ordine all’ambito applicativo della riportata disposizione, nonché alle condizioni richieste dalla norma per l’accesso al regime agevolativo.
Per quanto qui d’interesse, è stato chiarito, in particolare, che nell’ipotesi in cui oggetto del trasferimento siano quote o azioni emesse dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett. a), del TUIR e cioè “società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato (…)”, l’esenzione spetta per il solo trasferimento di partecipazioni che consenta ai beneficiari di acquisire oppure integrare il controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, con la finalità di proseguire l’esercizio dell’attività d’impresa.
Secondo la disposizione codicistica, la nozione di controllo di diritto si realizza quando un soggetto “dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria“.
Al riguardo, si fa presente che nel caso in cui la partecipazione di controllo, posseduta dal dante causa, sia frazionata tra più discendenti, l’agevolazione spetta esclusivamente per l’attribuzione che consente l’acquisizione o l’integrazione del controllo da parte del discendente; nel caso in cui il trasferimento della partecipazione di controllo avvenga a favore di più discendenti in comproprietà, il beneficio viene riconosciuto a condizione che, ai sensi dell’articolo 2347 del codice civile, i diritti dei comproprietari siano esercitati da un rappresentante comune che disponga della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria. Come sopra osservato, la disposizione agevolativa contenuta nell’articolo 3, comma 4-ter, del TUS vincola la fruizione dell’agevolazione alla sussistenza in capo al beneficiario di una situazione di controllo di diritto. Tale controllo, dunque, è da verificare in capo al beneficiario (o in capo ai beneficiari in comproprietà).
Ciò premesso, nel caso di specie, l’Istante ha rappresentato in sede di interpello che la costituenda holding familiare, nella forma di s.r.l., sarà connotata dalla previsione statutaria di diverse categorie di quote, caratterizzate da diritti diversi tra loro e/o da mancanza di diritto di voto, anche in deroga all’articolo 2468, commi 2 e 3, e all’articolo 2479, comma 5, del codice civile come previsto dall’attuale normativa delle società a responsabilità limitata PMI.
In particolare, secondo quanto precisato nell’istanza, al momento della costituzione della holding famigliare la partecipazione del socio fondatore sarà pari al 97,50% dell’intero capitale sottoscritto, composta da quote di categoria “A” per l’1,5% e da quote di categoria “C” per il restante 96% del capitale, trasmissibili a causa di morte, con pieno effetto nei confronti della società, solo a favore dei discendenti diretti consanguinei dell’Istante che siano maggiorenni al momento di apertura della successione.
L’Istante ritiene applicabile l’esenzione di cui all’articolo 3 comma 4-ter del d.lgs. n. 346 del 1990 in relazione all’intera partecipazione del 97,50%, da considerarsi unitariamente, secondo il “principio di unicità della quota” delle società a responsabilità limitata.
Fermo restando che la qualificazione della costituenda holding familiare quale
S.r.l. PMI, viene qui assunta acriticamente e che si procede all’esame della situazione così come rappresentata all’attualità, si rappresenta quanto segue.
L’articolo 26 del decreto-legge 18 ottobre 2012, 179, così come modificato dall’articolo 57 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, dispone:
- “L’atto costitutivo della PMI costituita in forma di società a responsabilità limitata può creare categorie di quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, commi secondo e terzo, del codice civile;” (comma 2);
- “3. L’atto costitutivo della società di cui al comma 2, anche in deroga dall’articolo 2479, quinto comma, del codice civile, può creare categorie di quote che non attribuiscono diritti di voto o che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione da questi detenuta ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.” (comma 3).
Con la riforma operata con il predetto d.l. n. 50 del 2017, il legislatore, tra l’altro, ha inteso estendere a questa tipologia di società alcune possibilità prima riservate alle società per azioni, anche sul piano della circolazione della partecipazione e della possibilità di creare categorie di quote fornite di diritti diversi, tra le quali anche:
- categorie di quote che non attribuiscono il diritto di voto;
- categorie di quote che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione detenuta;
- categorie di quote che attribuiscono diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.
Al riguardo, si osserva che il principio di unicità della quota si ritrae dalla previsione di cui all’articolo 2468 comma 1 del codice civile, secondo cui “Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni …“, che non risulta derogata dalla riforma.
Ne consegue che le singole “categorie di quote fornite di diritti diversi” non costituiscono una “frazione” di una partecipazione unitaria, bensì rappresentano ciascuna una quota di partecipazione del socio che la detiene, alla quale conseguono diritti diversi (amministrativi o patrimoniali).
Dalla bozza di statuto allegata all’istanza, emerge che le “Quote di categoria “C”: sono prive del diritto di voto e non devono essere quindi computate ai fini della determinazione dei quorum e delle maggioranze costitutive e deliberative previste dalla legge e/o dallo statuto, fatta eccezione solo per le delibere relative ai casi di esclusione del socio dalla società, di cui al successivo art. x del presente statuto sociale. Le quote di categoria “C” sono prive, altresì, dei poteri di controllo ex art. 2476, comma secondo, del cod. civ. e, precisamente, sono prive del diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali, purché sia in essere – per obbligo di legge o per decisone dei soci – la funzione di controllo sulla gestione; mentre sono dotate del diritto alla consultazione del libro soci, ove istituito, e del libro delle decisioni dei soci”.
Risulta, inoltre, possibile effettuare il trasferimento delle partecipazioni per atto tra vivi per ogni distinta categoria, con autonoma circolazione. Tra l’altro, le quote di categoria “A” – destinate in sede di costituzione della società ai due soci fondatori (in quanto tali e non per eventuali cariche amministrative ricoperte) e, successivamente, ai discendenti diretti consanguinei dell’Istante che siano chiamati ad amministrare la società – non sono trasferibili se non a favore di soci che possiedono la medesima categoria di quote, mentre le quote di categoria “C” possono essere trasferite a titolo oneroso o gratuito anche a soggetti terzi non soci, purché nel rispetto dei particolari diritti di prelazione disciplinati dallo statuto.
Alla luce di quanto precede, stante la previsione di cui all’articolo 3, comma 4- ter sopra richiamato, ferma restando la sussistenza di tutti i presupposti per l’applicazione della norma sopra descritti, si ritiene che l’esenzione possa essere invocata in sede di dichiarazione di successione solo in relazione al trasferimento mortis causa delle categorie di quote di partecipazione (allo stato attuale quelle di categoria “A” per l’1,5%) che consentono ai beneficiari di acquisire oppure integrare il controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1, del codice civile, ossia la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria.
Alla luce della ratio dell’agevolazione in esame, l’esenzione non trova applicazione, invece, per le categorie di quote che non attribuiscono il diritto di voto.
Non costituisce, infine, oggetto di esame alcuna valutazione sotto il profilo del diritto successorio.
Il presente parere viene reso sulla base dei fatti, dei dati e degli elementi prima esaminati assunti acriticamente così come esposti nell’istanza di interpello e nella documentazione presentata, nel presupposto della loro veridicità e concreta realizzazione.
Resta impregiudicato, ai sensi dell’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000, ogni potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria volto a verificare se lo scenario delle operazioni descritto in interpello, per effetto di eventuali altri atti, fatti o negozi ad esso collegati e non rappresentati dai soggetti istanti, possa condurre ad identificare un diverso censurabile disegno abusivo.
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