La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14275 depositata l’ 8 luglio 2020 è intervenuta in tema irregolarità formale e di responsabilità del cessionario o committente in caso di ricezione di fatture senza applicazione dell’IVA ha ribadito che il comma 8 dell’articolo 6 del d. lgs. n. 471/97 “esclude che sia richiesto al soggetto che riceve la fattura un controllo di natura sostanziale in ordine alla corretta qualificazione fiscale della operazione”.
In particolare i giudici di legittimità hanno riaffermato che “il cessionario/committente che riceva una fattura senza l’indicazione dell’ammontare dell’imposta, mentre non è certamente tenuto a valutare la congruità della eventuale annotazione sostitutiva rispetto all’operazione posta in essere, poiché tale valutazione si tradurrebbe in un apprezzamento critico della natura giuridica dell’operazione (apprezzamento che, come detto, non è esigibile dal cessionario), è invece chiamato a verificare se la fattura stessa contenga una delle annotazioni sostitutive e, in mancanza, a procedere alla regolarizzazione.”
La vicenda ha riguardato una società a cui l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di irrogazione sanzioni imposta IVA ed un avviso di contestazione sanzioni IVA. Avverso tali atti impositivi la società contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure accolgono le doglianze della ricorrente. L’Ufficio avverso la decisione della CTP proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello confermarono la sentenza di primo grado. L’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza della CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini accolgono il ricorso, annullano la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettano l’originario ricorso della contribuente.
La Corte Suprema richiama il precedente delle SS.UU. secondo cui “l’inclusione, fra i compiti del cessionario o committente, di un apprezzamento critico, su quanto l’emittente di fattura completa dichiari in ordine alla non imponibilità dell’operazione, trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell’ufficio finanziario, e, dunque, andrebbe oltre la ratio di assicurare all’ufficio medesimo la conoscenza piena dei fatti rilevanti al fini impositivi, introducendo una sorta di accertamento “privato” in rettifica della dichiarazione del debitore d’imposta. Una dilatazione delle incombenze in discorso, nel senso voluto dall’Amministrazione, non sarebbe del resto coerente con il contestuale obbligo del soggetto tenuto alla regolarizzazione della fattura altrui di pagare l’imposta non versata o versata in misura insufficiente. La tesi porterebbe ad esigere quel versamento prima che l’ufficio abbia controllato ed eventualmente rettificato la suddetta dichiarazione di non tassabilità dell’operazione, e quindi ad imporre il soddisfacimento di un credito non ancora accertato”
Inoltre, nella sentenza in commento, viene evidenziato dalla Corte che “in tema di sanzioni tributarie, la violazione riveste carattere meramente formale – e, dunque, non è punibile ex art. 10 dello Statuto del contribuente – ove essa non comporti un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo”
Pertanto, i giudici del palazzaccio, chiariscono che “l’omessa regolarizzazione da parte del cessionario o del committente (soggetti non tenuti in via primaria al versamento dell’imposta) è proprio la condotta che impedisce o comunque ritarda l’esercizio delle azioni di controllo, volte a recuperare l’imposta evasa dal cedente o dal commissionario (soggetti tenuti in via primaria al versamento dell’imposta) e ad applicare nei loro confronti le relative sanzioni.”
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