La Corte di Cassazione sezione civile con la sentenza n. 27432 depositata il 9 dicembre 2013 intervenendo in tema di sanzioni amministrative ha affermato che il principio posto dall’art. 3 della legge di depenalizzazione, in base al quale per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è necessaria la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa, deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa. Ciò perché la norma de qua pone una presunzione di colpa in merito al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa.
La vicenda ha avuto origine con l’applicazione di una sanzione amministrativa irrogata dalla Banca d’Italia ad un ex direttore generale di una SIM per inosservanza dei limiti di adeguatezza patrimoniale (art. 67 comma 1, lettera A) del D.lgs n. 58 del 1998 titolo III cap. 3 Regolamento adottato con provvedimento B.I. del 4 agosto 2000).
Il soggetto sanzionato proponeva opposizione al provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa inanzi alla Corte di Appello in quanto ritenuto illegittimo e ne chiedeva l’annullamento. In altri termini eccepiva sostanzialmente una presunta mancata indicazione nell’atto di incolpazione di una condotta a lui imputabile.
I giudici della Corte di Appello hanno accolto l’opposizione dichiarando illegittimo. In particolare per la Corte il tenore letterale della contestazione “il patrimonio di vigilanza è risultato dal 31 dicembre 2005 inferiore al minimo richiesto per l’autorizzazione e dal 31 marzo 2006 si attestava sui valori negativi in progressivo peggioramento” e gli stessi riferimenti normativi richiamati nella contestazione non consentivano di individuare la condotta imputata al M. ed il pieno esercizio del suo diritto di difesa.
La Banca d’Italia per la cassazione della sentenza dei giudici di merito proponevano ricorso, basato su quattro motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso della Banca d’Italia ritenendo fondato il primo motivo ed assorbiti gli altri. In particolare i giudici di legittimità hanno rilevato l’applicazione non corretta del principio di diritto da parte della Corte di Appello, infatti per la Corte di Cassazione emerge con sufficiente chiarezza che la Banca di Italia ha rilevato l’insufficienza del patrimonio di vigilanza rispetto al limite minimo per l’autorizzazione, posta a fondamento del provvedimento sanzionatorio, nella data del 31 dicembre 2005 (pag. 11 del decreto). Pertanto, è evidente che il provvedimento sanzionatorio presupponeva una responsabilità del destinatario della sanzione per comportamenti anteriori alla data dell’accertamento del deficit.
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