Deve, inoltre, essere necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere:
- durante l’accesso, a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili,
- all’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale.
L’articolo 220 c.p.p. contiene la definizione del concetto di “segreto professionale”. In base a tale norma non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria:
- i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano;
- gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai;
- i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;
- gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.
Per le professionalità di cui al punto d) possono essere richiamati:
- i dottori commercialisti, in virtù dell’articolo 5, D.Lgs. 139/2005, il quale prevede l’obbligo del segreto professionale per gli iscritti all’Albo, salvo per quanto concerne le attività di revisione e certificazione obbligatorie di contabilità e di bilanci, nonché quelle relative alle funzioni di sindaco o revisore di società od enti,
- i consulenti del lavoro, stante le previsioni di cui all’articolo 6 L. 12/1979.
Si evidenzia che la violazione del segreto professionale è penalmente sanzionata in capo al professionista ai sensi dell’articolo 622 c.p., il quale prevede la reclusione fino ad un anno o la multa da lire sessantamila a un milione per chi rivela, senza giusta causa, il segreto di cui ha avuto notizia in ragione del proprio stato o ufficio, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, se dal fatto può derivare nocumento.
Oltre alle sanzioni penali sopra ricordate la violazione del segreto professionale potrebbero essere sanzionata anche da norme disciplinari, qualora previste dall’ordinamento professionale.
In sede di verifica fiscale risulterebbe evidente che il commercialista sia tenuto ad opporre il segreto professionale nel caso in cui i controlli si estendano ai documenti dei suoi clienti.
Le disposizioni di cui all’articolo 52 del D.P.R. 633/1972 rendono necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria se il professionista eccepisce il segreto professionale, sono finalizzate a contemperare due opposte esigenze:
- da un lato, la necessaria tutela del professionista, in capo al quale la legge riconosce specifici obblighi nei confronti dei suoi clienti,
- dall’altro, il corretto svolgimento delle verifiche fiscali, che sarebbero altrimenti precluse nei confronti di tutti quei professionisti per i quali è previsto, nel nostro ordimento, il segreto professionale.
Come chiarito dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 8587 del 2 maggio 2016, l’eventuale illegittimità del provvedimento autorizzatorio può essere impugnata:
- davanti al giudice tributario, se a seguito dell’autorizzazione è stato emanato l’atto impositivo,
- davanti al giudice ordinario, se non è successivamente emanato alcun atto impositivo, oppure se è successivamente emanato un provvedimento non impugnato dal contribuente (con possibilità, ricorrendone i presupposti, di agire in via cautelare).
La Suprema Corte ha invece escluso la giurisdizione del giudice amministrativo, confermando, tra l’altro, anche la sentenza del Consiglio di Stato, n. 6045 del 5 dicembre 2008.