Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 23 febbraio 2016 – Ricorso n. 28819/12 – Alessandro Capriotti c. Italia
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
PRIMA SEZIONE
DECISIONE
Ricorso n. 28819/12
Alessandro CAPRIOTTI
contro l’Italia
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 23 febbraio 2016 in una camera composta da:
Mirjana Lazarova Trajkovska, presidente,
Guido Raimondi,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Paul Mahoney,
Aleš Pejchal,
Robert Spano,
Armen Harutyunyan, giudici,
e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 3 maggio 2012,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:
IN FATTO
1. Il ricorrente, sig. Alessandro Capriotti, è un cittadino italiano nato nel 1971 e attualmente detenuto in un istituto penitenziario non precisato. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall’avv. M. Cavaliere, del foro di Roma.
A. Le circostanze del caso di specie
2. I fatti di causa, così come sono stati esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.
1. Le indagini preliminari e le intercettazioni telefoniche e ambientali
3. Il 27 settembre 2005 un tale X fu trovato in possesso 490 grammi di cocaina. Poiché il ricorrente era sospettato di essere coinvolto nel traffico di questo stupefacente, il 5 novembre 2005 il pubblico ministero chiese l’autorizzazione a sottoporre a intercettazione alcune linee telefoniche da lui utilizzate. Questa autorizzazione e quelle relative alle proroghe della durata delle intercettazioni furono accordate dal giudice per le indagini preliminari (di seguito il «GIP») di Roma.
4. Secondo il pubblico ministero, il contenuto di alcune intercettazioni ambientali effettuate nel gennaio 2006 faceva pensare che il ricorrente avrebbe a breve organizzato una importante consegna di stupefacenti. Il 14 gennaio 2006 il ricorrente fu sottoposto a intercettazioni; egli si recò in una cabina telefonica situata a Roma, da dove chiamò un numero di telefono spagnolo (di seguito «il primo numero spagnolo»).
5. Ritenendo che la consegna di stupefacenti a Roma fosse imminente e che si imponesse di identificare immediatamente le persone coinvolte nel traffico di droga, con decreto del 16 gennaio 2006 il pubblico ministero di Roma ordinò, a titolo di misura di urgenza, che il primo numero spagnolo, utilizzato da una persona non identificata, fosse messo sotto intercettazione per una durata di quaranta giorni, ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 203 del 1991 (paragrafo 28 infra). Lo stesso giorno il GIP di Roma convalidò il decreto del pubblico ministero osservando che le intercettazioni richieste erano l’unico mezzo che permettesse di ottenere delle prove in merito al traffico di stupefacenti, di identificarne i responsabili e di stabilire i loro rispettivi ruoli.
6. Il 16 gennaio 2006 le autorità intercettarono sul primo numero spagnolo una conversazione tra un uomo italiano e il ricorrente. Il 18 gennaio 2006 il ricorrente chiamò un altro numero spagnolo (di seguito il «secondo numero spagnolo») da una cabina telefonica di Roma.
7. Con decreto del 19 gennaio 2006 il pubblico ministero dispose, a titolo di misura d’urgenza, che il secondo numero spagnolo, utilizzato da una persona non identificata, fosse messo sotto intercettazione. Il GIP di Roma convalidò in seguito questo decreto.
8. Il 19 gennaio 2006 fu intercettata una conversazione sul primo numero spagnolo. Un uomo italiano, in seguito identificato nella persona di Y, uno dei coimputati del ricorrente, discusse di un trasferimento di denaro dall’Italia con un altro uomo, che si trovava in Perù e che parlava da una linea telefonica peruviana.
9. Il ricorrente ritiene che l’intercettazione della chiamata del 19 gennaio 2006 abbia avuto un’importanza fondamentale nell’ambito dell’inchiesta a suo carico. Egli sostiene che le informazioni ottenute grazie all’intercettazione di questa conversazione hanno permesso alla procura di ricostruire le modalità del presunto traffico di stupefacenti tra il Sudamerica e l’Italia.
10. Con ordinanza del 9 maggio 2007, il GIP di Roma dispose la custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente, accusato di essere il capo di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. Tra l’altro, il ricorrente avrebbe importato in Italia cocaina proveniente dal Brasile, dal Perù, dall’Argentina e dalla Spagna. Secondo il GIP, a carico del ricorrente pesavano «gravi indizi di colpevolezza», e soprattutto il contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali.
11. Il ricorrente impugnò questa ordinanza. In particolare eccepì la illegalità delle intercettazioni eseguite su linee telefoniche estere, in quanto erano state disposte dal pubblico ministero e autorizzate dal GIP senza che fosse stata preventivamente attivata la procedura della rogatoria internazionale prevista dall’articolo 727 del codice di procedura penale (il «CPP» – paragrafo 30 infra).
12. Con ordinanza del 5 giugno 2007, depositata il 14 giugno 2007, la sezione del tribunale di Roma incaricata di riesaminare le misure cautelari (di seguito la «sezione riesame») respinse l’impugnazione del ricorrente.
13. La sezione riesame osservò che occorreva distinguere due situazioni: a) l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni che transitavano esclusivamente sul territorio di Stati terzi, per la quale era necessario seguire la procedura della rogatoria internazionale; e b) l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni che poteva essere effettuata dall’Italia, per la quale non era necessaria l’assistenza di Stati terzi. Questa seconda situazione, che non implicava alcuna ingerenza nella sovranità di Stati esteri, si verificava quando l’attività di captazione aveva luogo, anche solo parzialmente, in Italia, e riguardava comunicazioni o dati che transitavano parzialmente sul territorio o nello spazio aereo italiani. Peraltro, come aveva dichiarato la Corte di cassazione (si veda, tra l’altro, la sentenza della seconda sezione n. 16655 del 17 aprile 2007), la tecnica dell’«instradamento» non costituiva una violazione delle norme in materia di rogatorie. Questa tecnica consisteva nel dirigere verso un «nodo» situato in Italia le chiamate effettuate da un certo numero straniero verso l’Italia o dall’Italia verso questo stesso numero straniero. Grazie all’«instradamento», qualsiasi operazione di intercettazione, ricezione e registrazione delle chiamate in entrata e in uscita dal territorio italiano aveva luogo in Italia. La captazione era eseguita soltanto se la chiamata, nonostante riguardasse anche una linea telefonica estera, transitava su un «ponte telefonico» situato in Italia.
14. Per la sezione riesame, soltanto le conversazioni tra Y, che si trovava in Spagna, i suoi corrispondenti latino-americani o Z, un altro italiano residente in Belgio, rientravano nella situazione descritta sub a). Le altre intercettazioni erano legittime e, lette congiuntamente con gli elementi acquisiti nel corso delle indagini, costituivano pesanti indizi di colpevolezza a carico del ricorrente.
2. Il processo di primo grado
15. Il ricorrente chiese in seguito di essere giudicato con il giudizio abbreviato, un rito semplificato che, in caso di condanna, prevede una riduzione della pena ed è basato sull’ipotesi che la causa possa essere decisa allo stato degli atti nel corso dell’udienza preliminare; teoricamente le parti devono basare le loro difese sugli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero (paragrafo 31 infra).
16. Con sentenza del 1° dicembre 2008, depositata il 31 dicembre 2008, il GIP di Roma condannò il ricorrente a sedici anni di reclusione. Questa decisione si basò in misura determinante sul contenuto delle intercettazioni telefoniche, di cui il GIP citò lunghi estratti, interpretandoli alla luce degli altri elementi contenuti nel fascicolo.
3. Il processo di appello
17. Il ricorrente interpose appello ribadendo quanto già dichiarato in merito alla illegalità delle intercettazioni telefoniche.
18. Con sentenza del 18 maggio 2010, depositata il 30 luglio 2010, la corte d’appello di Roma prosciolse il ricorrente dall’imputazione di associazione per delinquere perché il fatto non sussisteva. La corte d’appello confermò la condanna del ricorrente per molti episodi di traffico di stupefacenti e ridusse la pena che gli era stata inflitta a dodici anni di reclusione e 50.000 euro (EUR) di multa.
19. La corte d’appello considerò che, ad eccezione delle chiamate intercorse tra Y e i suoi corrispondenti latino-americani, nonché tra Y e Z quando quest’ultimo si trovava in Belgio, tutte le conversazioni telefoniche intercettate, comprese quelle che erano transitate su dei numeri stranieri, potevano essere utilizzate per decidere sulla fondatezza delle accuse. Questa constatazione si basava sulla legittimità della tecnica dell’«instradamento» descritta al paragrafo 13 supra. Secondo la corte d’appello, la circostanza che la sezione riesame avesse censurato le intercettazioni riguardanti alcune chiamate passate unicamente su linee estere (paragrafo 14 supra) non pregiudicava affatto la validità della condanna del ricorrente. In effetti, se era vero che il GIP si era talvolta riferito al contenuto di queste conversazioni, rimaneva comunque il fatto che il suo giudizio non poteva essere considerato «fondato» su queste ultime.
20. La corte d’appello esaminò i decreti che avevano autorizzato le intercettazioni e giunse alla conclusione che questi non erano basati sugli elementi trovati grazie alle chiamate intercettate illegittimamente. In effetti, secondo la corte d’appello, l’esistenza di contatti tra Y, Z e i «fornitori sudamericani» era provata anche da altre conversazioni intercettate; inoltre, il ricorrente era stato messo sotto intercettazione da novembre 2005, molto prima della scoperta dei suoi traffici internazionali. Pertanto, non poteva essere rilevata alcuna «inutilizzabilità derivata». Del resto, la corte d’appello ritenne che il contenuto delle intercettazioni legittime e gli altri elementi acquisiti durante le indagini dimostrassero, al di là di qualsiasi ragionevole dubbio, che il ricorrente aveva organizzato e controllato parecchie consegne di stupefacenti.
4. Il ricorso per cassazione del ricorrente
21. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione sostenendo che, per decidere in merito alle accuse, il GIP e la corte d’appello avevano utilizzato anche il contenuto di conversazioni la cui intercettazione era stata dichiarata illegale dalla sezione riesame. Inoltre, secondo il ricorrente, le autorità italiane avrebbero dovuto inoltrare una rogatoria per intercettare delle conversazioni che transitavano sul territorio di uno stato terzo e sulla rete di un operatore estero. Nel caso di specie, i decreti che autorizzavano le intercettazioni facevano riferimento esplicitamente alla tecnica detta «roaming» che implicava una ingerenza nello spazio aereo sottoposto alla giurisdizione di altri Stati.
22. Il ricorrente osservò anche che le intercettazioni eseguite sulla sua linea dal mese di novembre 2005 non avevano permesso di rilevare tutti i dettagli del caso; questi ultimi erano emersi grazie all’intercettazione, illegale, delle conversazioni tra Y e i suoi corrispondenti sudamericani. Il ricorrente deduceva che in applicazione, tra l’altro, della dottrina americana sui «frutti dell’albero avvelenato» (fruits of the poisoned tree), tutti gli elementi che riguardavano il traffico internazionale di stupefacenti conseguentemente acquisiti dovevano essere scartati, e che la tesi della corte d’appello volta ad escludere una «inutilizzabilità derivata» (paragrafo 20 supra) non poteva essere presa in considerazione.
23. Con sentenza del 26 ottobre 2011, depositata l’11 novembre 2011, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d’appello avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, respinse il ricorso del ricorrente.
24. La Corte di cassazione osservò che l’uso delle intercettazioni telefoniche era vietato soltanto in caso di violazione delle norme previste dagli articoli 267 e 268, commi 1 e 3, del CPP (paragrafo 27 infra). Le altre irregolarità formali davano luogo a una semplice inutilizzabilità. Inoltre, la dichiarazione che una prova non potesse essere utilizzata, resa, come nel caso di specie, nell’ambito del procedimento incidentale de libertate non vincolava il giudice di merito.
25. Secondo la Corte di cassazione non vi era, nel caso di specie, alcuna manifesta incompatibilità tra la decisione della sezione riesame e quella del GIP. Quest’ultimo si era limitato a indicare che la circostanza che le linee telefoniche si trovavano all’estero non era decisiva per stabilire se le intercettazioni fossero legittime. Secondo il GIP, quello che risultava necessario era: a) che le attività di captazione e registrazione fossero state effettuate interamente sul territorio italiano; b) che le linee intercettate avessero utilizzato, anche in maniera soltanto puntuale, degli impianti installati in Italia; e c) che fosse stata utilizzata la tecnica dell’«instradamento». Il ragionamento del GIP non era manifestamente illogico ed era conforme ai principi enunciati dalla Corte di cassazione in materia di legittimità della suddetta tecnica.
26. Infine, il ricorrente non aveva debitamente provato la sua affermazione secondo la quale il fatto che l’intercettazione delle chiamate fosse stata effettuata tramite le reti di operatori esteri implicava necessariamente che l’intercettazione si era svolta all’estero e non, come sostenuto dai giudici di merito, in Italia.
B. Il diritto e la prassi interni pertinenti
1. Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche
27. Gli articoli da 266 a 271 del CPP disciplinano le intercettazioni delle conversazioni, delle comunicazioni telefoniche e degli scambi tramite altri mezzi di telecomunicazione, comprese le comunicazioni informatiche e telematiche. Il loro contenuto e la giurisprudenza interni pertinenti sono sintetizzati nelle decisioni della Corte nelle cause Cariello e altri c. Italia ((dec.), n. 14064/07, §§ 33-41, 30 aprile 2013), e D’Auria e Balsamo c. Italia ((dec.), n. 11625/07, §§ 13-20, 11 giugno 2013).
28. La legge n. 203 del 1991 recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla mafia prevede alcune deroghe al regime delle intercettazioni quando l’indagine concerne un delitto legato alla criminalità organizzata. In particolare, derogando parzialmente all’articolo 267 del CPP, l’articolo 13 della suddetta legge stabilisce che le intercettazioni possono essere autorizzate quando vi sono «sufficienti indizi» di violazione della legge (in luogo di «gravi indizi di reato»), e questo per un periodo iniziale di quaranta giorni (anziché quindici), prorogabile per periodi successivi di venti giorni.
29. L’articolo 191, comma 1, del CPP prevede che «le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate».2.
2. Disposizioni in materia di rogatorie
30. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 727 del CPP, intitolato «trasmissione di rogatorie ad autorità straniere», è così formulato:
«1. Le rogatorie dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero dirette, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, alle autorità straniere per comunicazioni, notificazioni e per attività di acquisizione probatoria, sono trasmesse al Ministro di grazia e giustizia, il quale provvede all’inoltro per via diplomatica.
2. Il ministro dispone con decreto, entro trenta giorni dalla ricezione della rogatoria, che non si dia corso alla stessa, qualora ritenga che possano essere compromessi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato.
3. Il ministro comunica all’autorità giudiziaria richiedente la data di ricezione della richiesta e l’avvenuto inoltro della rogatoria ovvero il decreto previsto dal comma 2.
4. Quando la rogatoria non è stata inoltrata dal ministro entro trenta giorni dalla ricezione e non sia stato emesso il decreto previsto dal comma 2, l’autorità giudiziaria può provvedere all’inoltro diretto all’agente diplomatico o consolare italiano, informandone il Ministro di Grazia e giustizia.
5. Nei casi urgenti, l’autorità giudiziaria trasmette la rogatoria a norma del comma 4 dopo che copia di essa è stata ricevuta dal Ministro di grazia e giustizia. Resta salva l’applicazione della disposizione del comma 2 sino al momento della trasmissione della rogatoria, da parte dell’agente diplomatico o consolare, all’autorità straniera.
5bis. Quando, a norma di accordi internazionali, la domanda di assistenza giudiziaria può essere eseguita secondo modalità previste dall’ordinamento dello Stato, l’autorità giudiziaria, nel formulare la domanda di assistenza, ne specifica le modalità indicando gli elementi necessari per l’utilizzazione processuale degli atti richiesti.(…).»
3. Disposizioni in materia di giudizio abbreviato
31. Le disposizioni interne pertinenti riguardanti il giudizio abbreviato sono riportate nella sentenza Hermi c. Italia ([GC], n. 18114/02, §§ 27 28, CEDU 2006 XII; si vedano anche Fera c. Italia, n. 45057/98, §§ 30-34, 21 aprile 2005, e Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, §§ 27-28, 17 settembre 2009.
C. Il diritto europeo pertinente
32. L’articolo 20 della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea, intitolata «Intercettazione di telecomunicazioni senza l’assistenza tecnica di un altro stato membro» è formulato come segue:
«1. Fatti salvi i principi generali del diritto internazionale e le disposizioni dell’articolo 18, paragrafo 2, lettera c), gli obblighi sanciti dal presente articolo si applicano agli ordini d’intercettazione emanati o autorizzati dall’autorità competente di uno Stato membro nel corso di un’indagine penale che sia svolta a seguito della commissione di un determinato illecito penale, ivi compreso il tentativo, se punibile a norma del diritto interno, allo scopo di identificare, arrestare, denunciare, perseguire o giudicare i responsabili
2. Se, ai fini di un’indagine penale, l’intercettazione delle telecomunicazioni è autorizzata dall’autorità competente di uno Stato membro («Stato membro che effettua l’intercettazione») e l’utenza della persona specificata nell’ordine di intercettazione è utilizzata nel territorio di un altro Stato membro («Stato membro informato») la cui assistenza tecnica non è necessaria per effettuare l’intercettazione, lo Stato membro che effettua l’intercettazione informa l’altro Stato membro dell’intercettazione:
a) prima dell’intercettazione, nei casi in cui già al momento nel quale l’intercettazione è disposta è noto che la persona sottoposta a intercettazione si trova nel territorio dello Stato membro informato;
b) negli altri casi, immediatamente dopo essere venuto a conoscenza che la persona sottoposta a intercettazione si trova nel territorio dello Stato membro informato.
3 Lo Stato membro che effettua l’intercettazione notifica, tra l’altro, le informazioni seguenti:
- l’indicazione dell’autorità che ha disposto l’intercettazione,
- la conferma che è stato emesso un ordine di intercettazione legale con riferimento ad un’indagine penale;
- informazioni ai fini dell’identificazione della persona sottoposta a intercettazione;
- l’indicazione della condotta criminale soggetta ad indagine,
- la durata prevista dell’intercettazione.
4. Le disposizioni seguenti si applicano quando uno Stato membro è informato a norma dei paragrafi 2 e 3.
a) Ricevute le informazioni elencate al paragrafo 3, l’autorità competente dello Stato membro informato risponde senza indugio, e al massimo entro novantasei ore, allo Stato membro che effettua l’intercettazione al fine di:
- consentire che l’intercettazione sia effettuata o proseguita. Lo Stato membro informato può subordinare il suo accordo alle condizioni applicabili in un caso analogo a livello nazionale;
- esigere che l’intercettazione non sia effettuata o sia conclusa qualora sia considerata contraria al diritto interno dello Stato membro informato ovvero per i motivi specificati all’articolo 2 della convenzione europea di assistenza giudiziaria. Quando impone tale requisito, lo Stato membro informato adduce, per iscritto, i motivi della sua decisione;
- nei casi di cui al punto ii), esigere che il materiale già intercettato raccolto quando la persona soggetta ad intercettazione si trovava nel suo territorio non sia utilizzato o sia utilizzato solo a talune condizioni da esso specificate.
Lo Stato membro informato comunica allo Stato membro che effettua l’intercettazione le ragioni che giustificano tali condizioni; - richiedere una breve proroga, fino a un periodo massimo di otto giorni, oltre il termine originario di novantasei ore, da convenire con lo Stato membro che effettua l’intercettazione, allo scopo di espletare le procedure previste dal suo diritto interno. Lo Stato membro informato comunica per iscritto allo Stato membro che effettua l’intercettazione le condizioni che giustificano, ai sensi del proprio diritto interno, la richiesta di proroga del termine.
b) Finché lo Stato membro informato non ha adottato una decisione ai sensi dei punti i) o ii) della lettera a), lo Stato membro che effettua l’intercettazione:
- può proseguire l’intercettazione e
- non può utilizzare il materiale già intercettato tranne:
- se diversamente convenuto tra gli Stati membri interessati oppure
- per adottare provvedimenti urgenti intesi a prevenire un pericolo grave e immediato per la sicurezza pubblica. Un siffatto uso e motivi che lo giustificano sono comunicati allo Stato membro informato.
c) Lo Stato membro informato può chiedere una sintesi dei fatti specifici e le eventuali informazioni supplementari che gli sono necessarie per decidere se l’intercettazione sarebbe autorizzata in un caso analogo a livello nazionale.
Siffatta richiesta non pregiudica l’applicazione della lettera b), a meno che non sia stato convenuto diversamente tra lo Stato membro informato e lo Stato membro che effettua l’intercettazione.
d) Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che sia data una riposta entro il termine di novantasei ore. A tal fine, designano punti di contatto, attivi 24 ore su 24, e li includono nelle dichiarazioni fatte ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, lettera e).
5. Lo Stato membro informato tratta le informazioni fornite a norma del paragrafo 3 con la riservatezza prevista dal suo diritto interno.
6. Qualora lo Stato membro che effettua l’intercettazione consideri particolarmente delicate le informazioni da fornire a norma del paragrafo 3, queste possono essere trasmesse all’autorità competente tramite un’autorità specifica, ove ciò sia stato concordato su base bilaterale dagli Stati membri interessati.
7. Ciascuno Stato membro può dichiarare, all’atto della notifica di cui all’articolo 27, paragrafo 2, o in qualunque altro momento successivo, di non avere bisogno delle informazioni sulle intercettazioni previste nel presente articolo.»
33. Secondo le informazioni di cui la Corte dispone, ad oggi l’Italia non ha ratificato la Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea.
MOTIVI DI RICORSO
34. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata.
35. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta la mancanza di equità del procedimento penale di cui è stato oggetto.
IN DIRITTO
A. Motivo di ricorso relativo all’articolo 8 della Convenzione
36. Il ricorrente ritiene che le intercettazioni telefoniche effettuate nell’ambito del procedimento penale a suo carico abbiano violato il diritto al rispetto della sua vita privata, come garantito dall’articolo 8 della Convenzione.
Questa disposizione recita:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
1. Deduzioni del ricorrente
37. Il ricorrente osserva che le intercettazioni in causa si sono svolte in parte su delle linee estere, fatto che secondo lui contravverrebbe al diritto nazionale, e soprattutto all’articolo 727 CPP (paragrafo 30 supra). Inoltre, grazie a queste intercettazioni presumibilmente illegali, gli inquirenti hanno acquisito ulteriori elementi, che hanno permesso loro di ricostruire le modalità del traffico di stupefacenti dal Sudamerica. Ora, secondo il ricorrente, le autorità non potevano utilizzare nei suoi confronti il materiale acquisito grazie ad un’azione illegale.
38. Inoltre il ricorrente osserva che spesso le intercettazioni telefoniche riguardavano non soltanto gli imputati, ma anche terze persone nei cui confronti non era stata elevata alcuna accusa. Nel caso di specie, queste persone erano degli stranieri impegnati in conversazioni telefoniche su linee estere. Ora, la legge italiana non proteggerebbe sufficientemente queste persone, perché non obbliga la procura a informare delle intercettazioni le autorità degli Stati interessati, affinché esse possano valutare se l’ingerenza nella vita privata delle persone coinvolte sia proporzionata e giustificata. Al riguardo, il ricorrente rammenta la formulazione dell’articolo 20 della Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea (paragrafo 32 supra). La giurisprudenza italiana, che considera legittime le intercettazioni all’estero anche quando non è stata seguita la procedura prevista dall’articolo 727 del CPP perché il «nodo telefonico» sul quale la conversazione è transitata si trova in Italia, sarebbe contraria agli standard europei.
39. Il ricorrente contesta anche l’affermazione della Corte di cassazione secondo la quale egli non avrebbe dimostrato che le intercettazioni si erano svolte all’estero (paragrafo 26 supra). Secondo l’interessato, questa circostanza era provata dall’uso della procedura di «roaming», esplicitamente richiamata nei decreti che autorizzavano le intercettazioni sulle linee telefoniche estere. Questa procedura è in effetti utilizzata dagli operatori di rete mobile per permettere ai loro clienti di usare il telefono in qualsiasi circostanza, appoggiandosi a una rete di un altro operatore. Quando, come nel caso di specie, alcune chiamate sono passate dall’estero o sono state ricevute dall’estero, si utilizza necessariamente la rete di un operatore di uno stato terzo, invadendo così la sovranità di quest’ultimo. I suddetti decreti menzionavano peraltro «tutto il traffico telefonico in entrata e in uscita», e non erano dunque limitati alle chiamate da o verso l’Italia.
40. Il ricorrente deduce da ciò che le intercettazioni in causa erano illegali e non potevano essere utilizzate per decidere sulla fondatezza delle accuse elevate nei suoi confronti.
2. Valutazione della Corte
a) Intercettazioni di conversazioni fra terzi
41. La Corte osserva subito che una parte delle doglianze del ricorrente verte sull’intercettazione delle comunicazioni che sono transitate unicamente su linee telefoniche estere (paragrafo 38 supra), e soprattutto su una conversazione intercorsa il 19 gennaio 2006 tra Y, che si trovava in Spagna, e un uomo residente in Perù (paragrafi 8-9 supra). Tuttavia, il ricorrente non partecipava a queste conversazioni. Pertanto, dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione, egli non può ritenersi «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, di qualsiasi presunta illegalità dell’intercettazione di comunicazioni che si sono svolte fra terze persone. La Corte esaminerà dal punto di vista dell’articolo 6 della Convenzione qualsiasi eventuale influenza che l’uso del contenuto delle conversazioni in questione ha potuto avere sull’equità del procedimento a carico del ricorrente (paragrafo 62 infra).
42. Ne consegue che questa parte del motivo di ricorso a titolo dell’articolo 8 è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 § 4.
b) Intercettazioni di conversazioni alle quali partecipava il ricorrente
i. Esistenza di una ingerenza
43. Nella misura in cui il ricorrente lamenta l’intercettazione di conversazioni alle quali egli partecipava, la Corte rammenta che le conversazioni telefoniche e le altre comunicazioni sono comprese nelle nozioni di «vita privata» e di «corrispondenza» ai sensi dell’articolo 8, pertanto la loro intercettazione, la memorizzazione dei dati così ottenuti e il loro eventuale uso nell’ambito dei procedimenti penali costituiscono una «ingerenza di un’autorità pubblica» nel godimento di un diritto che il paragrafo 1 di questa disposizione garantisce al ricorrente (si vedano, fra molte altre, Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, § 64, serie A n. 82; Valenzuela Contreras c. Spagna, 30 luglio 1998, § 47, Recueil des arrêts et décisions 1998-V; Panarisi c. Italia, n. 46794/99, § 64, 10 aprile 2007; e Cariello e altri, decisione sopra citata, § 49).
ii. Giustificazione dell’ingerenza
44. Tale ingerenza viola l’articolo 8, a meno che essa, «prevista dalla legge», persegua uno o più scopi legittimi rispetto al paragrafo 2, e sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (Panarisi, sopra citata, § 65; Graviano c. Italia (dec.), n. 24320/03, 6 ottobre 2007; e D’Auria e Balsamo, decisione sopra citata, § 28).
α) L’ingerenza era prevista dalla legge?
45. Le parole «prevista dalla legge» ai sensi dell’articolo 8 § 2 non solo richiedono che la misura contestata abbia una base nel diritto interno, ma si riferiscono anche alla qualità della legge in causa: esigono che quest’ultima sia accessibile alla persona interessata, la quale deve inoltre poterne prevedere le conseguenze per lei, e che sia compatibile con la preminenza del diritto (Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, § 26, CEDU 2000-V, e Coban c. Spagna (dec.), n. 17060/02, 25 settembre 2006).
46.La Corte rileva che il GIP ha autorizzato le intercettazioni in causa sulla base degli articoli 266 e seguenti del CPP, nonché della legge n. 203 del 1991 (paragrafi 27-28 supra). L’ingerenza aveva dunque una base legale nel diritto italiano.
47. La seconda esigenza che si ricava dalla locuzione «prevista dalla legge», ossia l’accessibilità di quest’ultima, non solleva alcun problema in questo caso. Lo stesso dicasi per la terza, la «prevedibilità»: la Corte ha già avuto occasione di dichiarare che le norme del CPP italiano in materia di intercettazioni erano «prevedibili» quanto al senso e alla natura delle misure applicabili (si vedano, soprattutto, Panarisi, sopra citata, § 68; Graviano, decisione sopra citata; Cariello e altri, decisione sopra citata, § 53; e D’Auria e Balsamo, decisione sopra citata, § 31). Nel caso di specie non vi sono elementi che permettano di ritornare su questa conclusione, che in quanto tale il ricorrente non contesta.
48. Rimane unicamente da stabilire se, come sostiene il ricorrente (paragrafo 37 supra), la circostanza che le intercettazioni siano state effettuate anche su linee telefoniche estere (e soprattutto sulla linea di Y in Spagna), richiedesse l’uso preventivo della rogatoria di cui all’articolo 727 del CPP (paragrafo 30 supra).
49. Al riguardo, la Corte rammenta che spetta in primo luogo alle autorità nazionali, e singolarmente alle corti e ai tribunali, interpretare e applicare il diritto interno (si vedano, fra molte altre, Malone, sopra citata, § 79, e Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, § 62, serie A n. 156). Peraltro non si può prescindere da una giurisprudenza consolidata. In effetti la Corte ha sempre inteso il termine «legge» nella sua accezione «materiale» e non «formale»; in un ambito coperto dal diritto scritto, la «legge» è il testo in vigore come i giudici competenti lo hanno interpretato (Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, § 29, serie A n. 176-A).
50. Nel caso di specie, le autorità giudiziarie italiane, e in particolare la sezione riesame (paragrafi 13-14 supra), la corte d’appello di Roma (paragrafo 19 supra) e la Corte di cassazione (paragrafo 25 supra), hanno precisato che non era necessario seguire la procedura della rogatoria internazionale quando, come nel caso di specie, l’attività di captazione di comunicazioni era realizzata grazie alla tecnica dell’«instradamento», che consiste nel dirigere verso un «nodo» telefonico situato in Italia le chiamate in entrata o in uscita da un certo numero straniero. Secondo la Corte, questa interpretazione delle norme del diritto interno, fondata sull’idea che la cooperazione delle autorità straniere non è necessaria quando l’atto investigativo è compiuto sul territorio italiano, non può essere considerata manifestamente arbitraria o irragionevole. Inoltre, era ispirata da una giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, e poteva pertanto essere conosciuta dalla persona che eventualmente si avvale di consulenti illuminati. È vero che il ricorrente ha affermato, sia dinanzi alla Corte di cassazione (paragrafo 21 supra) sia dinanzi alla Corte (paragrafo 39 supra), che le intercettazioni erano state realizzate in realtà interamente all’estero. Tuttavia, facendo uso del loro diritto di accertare i fatti e basandosi sui documenti inseriti nel fascicolo, le autorità italiane hanno scartato questa affermazione considerandola priva di fondamento. La Corte non dispone di altri elementi che le permettano di ritornare su questa constatazione.
51. Infine, nella misura in cui il ricorrente invoca l’articolo 20 della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea (paragrafi 32 e 38 supra), la Corte osserva che ad oggi l’Italia non ha ratificato tale Convenzione (paragrafo 33 supra). Pertanto, le affermazioni del ricorrente relative ad un eventuale mancato rispetto delle disposizioni della stessa non possono in ogni caso incidere sulla legalità o sulla proporzionalità delle misure adottate dalle autorità italiane nel caso di specie.
52. Alla luce di quanto esposto sopra, la Corte ritiene che l’ingerenza in causa fosse «prevista dalla legge» ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 8 della Convenzione.
β) Finalità e necessità dell’ingerenza
53. La Corte ritiene che l’ingerenza si prefiggesse di permettere la manifestazione della verità nell’ambito di un procedimento penale e tendesse dunque alla difesa dell’ordine (Coban, decisione sopra citata; Panarisi, sopra citata, § 73; Cariello e altri, decisione sopra citata, § 58; e D’Auria e Balsamo, decisione sopra citata, § 36).
54.; Rimane da esaminare se l’ingerenza fosse «necessaria in una società democratica» per raggiungere questi obiettivi. Secondo una giurisprudenza costante della Corte, gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento per giudicare l’esistenza e la portata di tale necessità, ma ciò va di pari passo con un controllo europeo sulla legge e sulle decisioni che la applicano, anche quando queste ultime provengono da una giurisdizione indipendente (si vedano, mutatis mutandis, Silver e altri c. Regno Unito, 25 marzo 1983, § 97, serie A n. 61, e Barfod c. Danimarca, 22 febbraio 1989, § 28, serie A n. 149). Nell’ambito dell’esame della necessità dell’ingerenza, la Corte deve soprattutto convincersi che esistono garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi (Klass e altri c. Germania, 6 settembre 1978, §§ 50, 54 e 55, serie A n. 28).
55. La Corte rileva che il ricorso alle intercettazioni costituiva uno dei principali mezzi investigativi che contribuiva a dimostrare il coinvolgimento dei diversi individui, fra cui il ricorrente, in un’importante traffico di stupefacenti (Panarisi, sopra citata, § 75; si vedano anche, mutatis mutandis, Graviano, decisione sopra citata; Cariello e altri, decisione sopra citata, § 60; e D’Auria e Balsamo, decisione sopra citata, § 38).
56. Inoltre il ricorrente ha beneficiato di un «controllo efficace» delle intercettazioni di cui è stato oggetto. In effetti egli ha potuto contestare sia la legalità che la giustificazione delle intercettazioni dinanzi alla sezione riesame, dinanzi ai giudici di merito, ossia il GIP e la corte d’appello di Roma, e dinanzi alla Corte di cassazione. Tutte questi organi giudiziari hanno esaminato in dettaglio le affermazioni dell’interessato alla luce della legge e della giurisprudenza interne pertinenti.
57. Questo controllo, come voluto dalla preminenza del diritto, era idoneo a limitare l’ingerenza contestata a quello che era «necessario in una società democratica». Alla luce dei principi sviluppati dalla sua giurisprudenza, la Corte ritiene che agli atti non vi siano elementi che permettano di rilevare una violazione, da parte dei giudici italiani, del diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e delle sue comunicazioni, come riconosciuto dall’articolo 8 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Coban, decisione sopra citata; Panarisi, sopra citata, § 77; Graviano, decisione sopra citata; Cariello e altri, decisione sopra citata, § 64; e D’Auria e Balsamo, decisione sopra citata, § 42).
58. Ne consegue che questa parte del motivo di ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.
B. Motivo di ricorso relativo all’articolo 6 della Convenzione
59. Il ricorrente ritiene che il procedimento penale a suo carico non sia stato equo in quanto è stato condannato in base a intercettazioni illegali, che sono state il punto di partenza delle indagini a suo carico.
Il ricorrente invoca l’articolo 6 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, recita:
«1. Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (…).»
60. La Corte rammenta subito che l’ammissibilità delle prove è disciplinata dal diritto interno e compete ai giudici nazionali (Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 162, CEDU 2010, con i riferimenti ivi citati). Inoltre, non è compito suo esaminare gli errori di fatto o di diritto che si presume possano essere stati commessi da un giudice interno, salvo se e nella misura in cui questi potrebbero aver violato i diritti e le libertà salvaguardati dalla Convenzione (García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, CEDU 1999-I, e Khan, sopra citata, § 34), e per principio spetta ai giudici nazionali valutare i fatti e interpretare e applicare il diritto interno (Pacifico c. Italia (dec.), n. 17995/08, § 62, 20 novembre 2012, e Plesic c. Italia (dec.), n. 16065/09, § 33, 2 luglio 2013). Il compito della Corte non consiste nello stabilire se alcuni elementi di prova siano stati ottenuti illegalmente ma nell’esaminare se tale «illegalità» abbia comportato la violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione (si vedano, fra molte altre, Ramanauskas c. Lituania [GC], n. 74420/01, § 52, CEDU 2008; Sepil c. Turchia, n. 17711/07, § 30, 12 novembre 2013; e Sampech c. Italia (dec.), n. 55546/09, § 98, 19 maggio 2015).
61. Nella misura in cui il ricorrente lamenta l’uso nei suoi confronti del contenuto delle conversazioni intercettate alle quali partecipava, la Corte ha appena concluso che le intercettazioni relative a queste conversazioni erano «previste dalla legge» e che qualsiasi ingerenza nel diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza era giustificata ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 8 della Convenzione (paragrafi 45-58 supra). Tenuto conto delle garanzie che hanno circondato l’ammissibilità e l’uso di queste intercettazioni come prova a carico del ricorrente, la Corte ritiene che nel caso di specie non possa essere rilevata alcuna parvenza di violazione dell’articolo 6 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Panarisi, sopra citata, §§ 91-92).
62.La Corte osserva inoltre che il ricorrente contesta anche l’uso delle intercettazioni realizzate unicamente sulle delle linee estere (paragrafi 21-22 e 59 supra). Tuttavia, la corte d’appello di Roma ha ritenuto che, nonostante il giudice di primo grado avesse menzionato alcuni estratti di queste conversazioni, la condanna del ricorrente non poteva essere considerata «fondata» su questi ultimi (paragrafo 19 supra). Inoltre, al ricorrente è stata offerta la possibilità di contestare le registrazioni in causa e di opporsi al loro utilizzo dinanzi alla sezione riesame e alla corte d’appello di Roma, nonché dinanzi alla Corte di cassazione (paragrafi 11, 17 e 21 supra – si veda, mutatis mutandis, Panarisi, sopra citata, § 92). Ciascuna di queste autorità giudiziarie ha esaminato in dettaglio le affermazioni dell’interessato (paragrafi 13-14, 19 e 24-25 supra – si veda, mutatis mutandis, Khan, sopra citata, § 38). Infine, l’affermazione del ricorrente, secondo la quale gli altri elementi a suo carico sono stati scoperti grazie alle intercettazioni realizzate interamente all’estero, è stata considerata priva di base fattuale dalla corte d’appello di Roma, che ha sottolineato che l’interessato era stato messo sotto intercettazione prima della scoperta dei suoi traffici internazionali e che l’esistenza di questi ultimi era provata anche dalle conversazioni diverse da quelle che non sono mai transitate in Italia (paragrafo 20 supra). La Corte non disporre di alcun elemento che le permetta di ritornare su questa conclusione.
63. In queste circostanze, la Corte non può rilevare, nel caso di specie, alcuna parvenza di violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
64. Ne consegue che questo motivo è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.
Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,
Dichiara il ricorso irricevibile.
Fatta in francese poi comunicata per iscritto il 17 marzo 2016.
Mirjana Lazarova Trajkovska
Presidente
André Wampach
Cancelliere aggiunto