La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 33765 del 02 agosto 2013 intervenendo in tema di sequestro per equivalente ha affermato che alla società rinviata a giudizio per falso in bilancio non può eseguirsi il sequestro sui beni in base al decreto legislativo 231/2001, se il nuovo liquidatore era estraneo alla vicenda illecita perché subentrato successivamente.
La vicenda ha riguardato alcune società, rinviate a giudizio a norma del decreto legislativo 231/2001 per falso in bilancio, erano stati sequestrati beni immobili per alcuni milioni di euro. In base al contenuto dell’articolo 25 ter del decreto 231 le false comunicazioni sociali, unitamente ad altre violazioni penali societarie, se commesse nell’interesse della società, da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza, costituiscono reati “fonte” per far scattare la responsabilità della società. Per cui se ai sensi dall’articolo 54, se c’è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della sanzione, delle spese e di ogni altra somma dovuta all’Erario, il Pm chiede il sequestro conservativo anche dei beni mobili e immobili dell’ente.
Il Tribunale del riesame, cui si è rivolto il rappresentante legale delle due società per l’annullamento del sequestro, ha ritenuto, una prima volta, non sussistente il pericolo di dispersione degli immobili, rilevando, nel contempo l’irrilevanza, ai fini delle esigenze cautelari, dei comportamenti dei pregressi amministratori rinviati a giudizio. La nuova gestione delle società era stata infatti affidata a un nuovo liquidatore.
Successivamente la Procura ha ottenuto un nuovo sequestro sugli stessi beni, evidenziando, questa volta, che l’inchiesta per falso in bilancio coinvolgeva anche il nuovo liquidatore. A questo punto il Tribunale del riesame ha confermato la misura cautelare e la relativa ordinanza è stata impugnata in Cassazione dal liquidatore.
In sintesi, il liquidatore aveva evidenziato di non essere mai stato coinvolto negli illeciti: quindi la seconda ordinanza costituiva una mera reiterazione della prima, che invece aveva accertato l’assenza di pericolo. Si era, quindi, verificata la violazione del giudicato cautelare (ne bis in idem) con conseguente illegittimità dell’ordinanza di conferma del sequestro.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso del liquidatore affermando che «Correttamente il ricorrente ha invocato il principio del ne bis in idem, la cui applicazione, sia pure limitata, è da riconoscere nel caso in esame, a seguito dell’ordinanza del tribunale del riesame di Padova, che ha, in ordine ai beni immobili della società, escluso l’esistenza di elementi idonei a far ritenere attuale il pericolo della dispersione degli immobili medesimi». Il tribunale ha inoltre sottolineato l’insufficienza, ai fini del riconoscimento di esigenze cautelari, del solo pregresso comportamento degli amministratori o gestori delle persone giuridiche rinviate a giudizio, alla luce dell’attuale gestione delle società, da parte di un liquidatore, e del mancato accertamento di atti o comportamenti che portino a ritenere una volontà di occultamento o sottrazione dei beni medesimi.
Per la Corte Sprema a fronte dell’annullamento della prima ordinanza, è stato reiterato il sequestro in virtù dell’elemento di novità rappresentato dal coinvolgimento del nuovo liquidatore nell’indagine sul falso in bilancio. Ma poiché non risulta alcun precedente giudiziario lesivo dell’affidabilità contabile e gestionale del liquidatore, l’ordinanza deve ritenersi illegittima. Da qui il rinvio al Tribunale per la verifica della sussistenza di eventuali altri elementi idonei a giustificare il sequestro come la volontà di occultare o disperdere i beni oggetto della misura cautelare.
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