
La Corte di Cassazione, sez. penale, con la sentenza n. 18308 del 11 aprile 2017 intervenendo in tema si sequestro preventivo ha affermato che è legittimo il provvedimento di sequestro, nei confronti di un soggetto indagato per il reato autoriciclaggio, anche se manca l’esatta individuazione del delitto presupposto.
La vicenda ha riguardato una contribuente accusata di autoriciclaggio rispetto ad un presupposto reato di dichiarazione fraudolenza ex art.3 D.Lgs. 74/2000. Il GIP emetteva il provvedimento di sequestro preventivo di somme. Il soggetto indagata avverso il provvedimento del GIP ricorreva al Tribunale del riesame motivando il ricorso sulla circostanza che le somme oggetto del reato dovevano essere state acquisite tra il 13.6.2016 e il 2.11.2016 e quindi relative a redditi asseritamente sottratti all’imponibile del soggetto indagato per l’anno di imposta 2016, con conseguente obbligo di dichiarazione degli stessi in scadenza il 30.09.2017: pertanto, non sussisteva il reato presupposto dell’autoriciclaggio; inoltre, nessuna delle soglie di punibilità previste dal D.Lgs. 74/2000 risultava superato. Il Tribunale del riesame adito respingeva il ricorso.
L’imputata avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame proponeva ricorso in cassazione basato su tre motivi.
Gli Ermellini, rigettano il ricorso dell’imputata, puntualizzano che in tema di misure cautelari l’accertamento del reato di riciclaggio non richiede l’individuazione dell’esatta tipologia del delitto presupposto, né le precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che sia raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute (v. Cass. n. 20188 del 2015). Diversamente, si finirebbe per utilizzare surrettiziamente la procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell’accusa, con evidente usurpazione dei poteri che sono per legge riservati al giudice del procedimento principale.
Inoltre i giudici di legittimità evidenziano che il Tribunale del riesame abbia individuato il fumus del delitto di autoriciclaggio nell’apertura di un conto corrente negli Emirati Arabi Uniti e nel fatto che la ricorrente ha reintrodotto in Italia, con modalità occulte (come illustrato dalla polizia giudiziaria), somme del tutto sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati. Pertanto il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del reato presupposto “non soltanto basandosi sulla sottofatturazione, ma anche di una serie di altri elementi di fatto, quali la sproporzione delle somme rientrate in Italia rispetto ai redditi dichiarati e la mancata spiegazione sul perché le somme siano rientrate in Italia tramite corrieri e con le modalità occulte evidenziate negli atti di polizia giudiziari”. Inoltre è risultata priva di fondamento la tesi della mancanza di destinazione delle somme verso attività finanziarie, imprenditoriali o economiche, in quanto sono stati documentati passaggi di somme tramite società che si occupavano di attività finanziarie.
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