La vicenda ha riguardato un imprenditore, indagato per il reato di cui all’articolo 10-bis del D.Lgs. n. 74/200, nei cui confronti veniva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, fino alla concorrenza dell’importo delle ritenute certificate e operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti, ma non versate al Fisco. L’imprenditore avverso il provvedimento di sequestro preventivo ricorreva al Tribunale del riesame, i cui giudici rigettavano le doglianze del ricorrente. Avverso l’ordinanza di Riesame l’indagato proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi. In particolare lamentando l’illegittimità della misura cautelare in ragione delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 158 del 2015 sostenendo che la Riforma ha eliminato l’automatismo della cautela reale che caratterizzava la confisca per equivalente ai sensi dell’abrogato art. 1, co. 143, L. n. 244 del 2007.
Il ricorrente riteneva che i nuovi artt. 12-bis, 13 e 13-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000 hanno comportato una mutazione genetica della misura, non più adottabile quando, come nel caso di specie, la concordata rateizzazione del debito e il suo pagamento provano la volontà di adempiere l’obbligazione tributaria, volontà che sarebbe frustrata e impedita nel suo concreto realizzarsi in caso di sequestro delle provviste necessarie a far fronte non solo al pagamento del debito ma anche al proseguimento dell’attività imprenditoriale da cui trarre le risorse economiche necessarie al pagamento stesso. Non sarebbe dunque possibile disporre il sequestro in assenza di un vero e proprio pericolo di inadempimento del debito.
Gli Ermellini hanno respinto il ricorso ma escluso che, per effetto della Riforma, l’impegno assunto dal contribuente a versare le somme dovute all’Erario inibisca il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni corrispondenti, per valore, all’importo evaso o comunque comporti la modifica dei presupposti del sequestro stesso.
Ritenendo, comunque, che il contribuente ha diritto alla riduzione del sequestro in misura corrispondente a quanto versato in base all’accordo raggiunto con l’Amministrazione finanziaria.
I giudici di legittimità che per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione perché, altrimenti, verrebbe a determinarsi un’inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (per tutte Cass. Sez. 3, n. 20887 del 2015).
I giudici del palazzaccio hanno precisato che “la revoca parziale del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, nel caso di intervenuta rateizzazione del debito tributario, deve essere richiesta dall’interessato al PM, previa dimostrazione del ‘quantum’ corrisposto per i ratei di imposta al netto di interessi e sanzioni, mentre non può essere domandata, in difetto di tali indicazioni, al Tribunale del riesame o dell’appello cautelare, essendo tale organo sprovvisto di potere istruttori e, quindi, salvi i casi di immediata soluzione sulla base degli atti, non in condizione di dirimere le questioni contabili derivanti dal pagamento parziale. Nel caso di specie, il Tribunale, dato atto che il debito erariale complessivo (comprensivo di sanzioni e interessi) è stato ripartito in venti rate, afferma con chiarezza di non essere in grado, sulla base delle produzioni del ricorrente, di stabilire quanta parte delle somme già versate fosse attribuibile alla sorte capitale, quanto agli interessi, quanto alle sanzioni, demandando al PM il compito di provvedere al riguardo.”
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