La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 11917 depositata il 6 maggio 2025, interviene in tema di imputazione temporale delle sopravvenienze attive e delle componenti positive di reddito derivanti all’esito di una controversia giudiziaria, ha statuito il principio di diritto secondo cuiIn tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito – o dal disconoscimento di un debito preesistente – in sede giudiziale devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e sempreché l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa

La vicenda ha riguardato una società di persona che, a seguito di una causa civile contro una banca, aveva ottenuto il riconoscimento di interessi anatocistici indebitamente pagati. L’Agenzia delle entrate provvedeva a rettificare il reddito a seguito di un processo verbale di constatazione che aveva ritenuto non dichiarate le sopravvenienze attive rappresentate dalla restituzione, in suo favore, di somme che essa aveva versato a un istituto di credito, risultate riconducibili a debiti per interessi a tasso anatocistico. La contribuente ed i soci impugnava l’avviso di accertamento. I giudici tributari di primo grado accolsero il ricorso; il successivo appello erariale fu poi respinto. I giudici tributari di secondo grado ritennero correttamente imputato la componente positiva di reddito nell’anno in cui si era formato il giudicato sulla sentenza della Corte d’Appello di Lecce che ne aveva affermato il credito restitutorio. L’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza di secondo grado con ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

I giudici di legittimità accoglievano il ricorso in relazione al primo e al secondo motivo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettavano l’originario ricorso delle società contribuenti.

Gli Ermellini precisavano che “la giurisprudenza di questa Corte afferma, con orientamento consolidato, che una sopravvenienza attiva dev’essere assoggettata ad imposizione con riferimento all’esercizio in cui la posta attiva acquista certezza (così più di recente, e fra le numerose altre, n. 3901/2023; Cass. n. 24580/2022; Cass. n. 1508/2020).

In linea con tale impostazione è stato poi chiarito che, laddove la sopravvenienza consista nel venir meno di un costo già contabilmente rappresentato, rileva il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza dell’inesistenza della posta passiva, vale a dire quello in cui «si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno» della stessa (così Cass. n. 20608/2023).

Su tali basi, allora, nelle ipotesi in cui la sopravvenienza attiva discende dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente, come nella specie) occorre aver riguardo al momento del deposito del provvedimento.

È infatti con il deposito che la posta attiva (o il venir meno della posta passiva) assume una connotazione che corrisponde al canone di «certezza nell’esistenza ed obiettiva determinabilità» stabilito dall’art. 109, comma 1, del TUIR ai fini dell’imputabilità a reddito di una componente positiva: la venuta ad esistenza del credito si determina per effetto del formarsi del titolo giudiziale, che contiene anche la sua liquidazione. 

Per il Supremo consesso, distingue chiaramente il tema della certezza ai fini della rilevanza reddituale da quello legato alla compensazione giudiziale, il requisito della certezza sull’esistenza delle componenti di reddito, di cui al citato art. 109, comma 1, del TUIR, dev’essere verificato sulla base di criteri essenzialmente economici; in particolare, la relazione illustrativa a detta ultima norma (già art. 75 TUIR) affermava che «la ragionevole certezza circa i ricavi e i costi si verifica nel momento in cui le tecniche aziendali ritengono definitivamente formata la componente di reddito, affidando al meccanismo delle sopravvenienze attive e passive le successive, pur sempre possibili, correzioni di importo».

In coerenza con tale impostazione, non pare allora che debba attribuirsi efficacia incisiva alla circostanza del passaggio in giudicato della sentenza (né, in senso contrario, al fatto che l’eventuale prosieguo del contenzioso possa condurre a un diverso risultato), poiché un’eventuale modifica della decisione nei successivi gradi di giudizio realizzerebbe una sopravvenienza passiva, idonea anch’essa a concorrere alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 101 del TUIR.

(…) Ciò posto, si impone tuttavia un ulteriore ordine di considerazioni. 

Vi sono, infatti, dei casi nei quali la venuta ad esistenza della sopravvenienza attiva, ancorché certa e determinata nel suo ammontare, non coincide con il suo conseguimento da parte del contribuente; e ciò in quanto la circostanza che la determina è, per sua stessa natura, soggetta all’incidenza di un fenomeno ontologicamente ostativo a che essa concorra effettivamente a formare il reddito nell’esercizio di impresa.

In questo senso, ad esempio, è stato affermato che una sopravvenienza costituita da un rimborso di imposta non può ritenersi conseguita nel momento in cui il diritto al rimborso viene riconosciuto, ma soltanto al termine del procedimento diretto all’emissione del provvedimento di rimborso; in questo procedimento, infatti, occorre accertare l’inesistenza di debiti d’imposta del contribuente, in presenza dei quali l’ammontare del rimborso già riconosciuto potrebbe ridursi, quando non anche annullarsi (v. Cass. n. 13948/2008).

In tali casi rientra anche la sopravvenienza che discende dal riconoscimento di un credito con sentenza.

Laddove, infatti, l’efficacia esecutiva di quest’ultima sia sospesa nelle more del giudizio di appello o di quello per cassazione (ricorrendo i presupposti rispettivamente previsti dagli artt. 283 e 373 cod. proc. civ.), la sopravvenienza attiva non potrebbe certamente ritenersi conseguita nell’esercizio corrispondente, se coperto dagli effetti del provvedimento di sospensione.

(…) Appare allora opportuno, in linea con le considerazioni appena svolte, operare una precisazione, nel senso di attribuire rilevanza, ai fini dell’imputazione a reddito della sopravvenienza attiva, anche al fatto che non sussistano ostacoli al suo concreto conseguimento da parte del contribuente.

Ciò significa che, in ipotesi caratterizzate dalla venuta ad esistenza della posta attiva quale conseguenza di una sentenza, è sufficiente che sia intervenuta la decisione, occorrendo tuttavia, al contempo, che l’efficacia esecutiva della stessa non sia stata sospesa, sì da consentire, quantomeno in via potenziale, l’effettivo conseguimento della posta nel reddito del contribuente.