La Corte Suprema interviene con la sentenza n. 24227 del 29 novembre 2016 in materia di deducibilità fiscali della spesa sostenuta per la presentazione dei capi campionario dalla casa di mode ad una clientela selezionata sono di natura pubblicitaria. I costi che l’azienda di moda sostiene al fine di offrire vitto e alloggio a propri agenti e clienti in occasione della sfilata per presentare la collezione sono inquadrabili come spese di pubblicità, come tali interamente deducibili dal reddito d’impresa, in quanto funzionali all’incremento dei ricavi.
La vicenda nasce a seguito dell’emissione dell’avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, sulla scorta delle risultanze di un PVC redatto dalla Guardia di finanza, emesso nei confronti di una società del settore della moda un avviso di accertamento per maggior reddito di impresa ai fini IRPEG, maggior valore della produzione ai fini IRAP e maggiore imponibile ai fini IVA.
La società avverso tale atto impositivo ricorreva ai giudici di prime cure che accoglievano le doglianze del contribuente. I costi sostenuti per l’ospitalità sono stati qualificati dalla CTR delle Marche come spese di pubblicità (interamente deducibili), mentre per l’Ufficio andavano qualificati come spese di rappresentanza (deducibili solo in parte) trattandosi di costi volti ad accrescere il prestigio della società organizzatrice nei confronti di una platea selezionata di soggetti operanti nello specifico settore commerciale, ma non ad incrementarne le vendite.
Avverso la decisione della CTR l’Amministrazione finanziaria ricorreva alla Corte di Cassazione.
Gli Ermellini respingono il ricorso dell’Agenzia delle Entrate ritenendo corretta la statuizione della CTR delle Marche che ha integralmente annullato la ripresa fiscale.
Per i giudici di legittimità, la sentenza di secondo grado è apparsa corretta per quanto riguarda la valutazione giuridica dei costi sostenuti dalla società contribuente per offrire vitto e alloggio a propri agenti e clienti in occasione di un meeting (nel caso di specie, una sfilate di moda).
La Corte Suprema ha ritenuto, contrariamente a quanto chiesto dall’Agenzia, che i giudici di secondo grado non sono incorsi nella violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, secondo comma (ora art. 108, secondo comma).
La Corte di Cassazione hanno citato una serie di precedenti sentenze Cass. n. 8851 del 2016 (proprio in tema di spese di ospitalità), Cass. n. 8121 del 2016 e infine C. giust. 17.11.1993, C-68/92, C-69/92, C-73/92 e ricordano che l’obiettivo perseguito con le spese di pubblicità o propaganda, “di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto (Cass. 3433/2012; conf. da ultimo 21977/2015)”; invece le spese di rappresentanza “coincidono con la crescita d’immagine ed il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società” (Cass. n. 8121 cit.).
Pertanto i giudici escludono l’equiparazione delle sfilate di moda organizzate dalla ditta produttrice dei capi di abbigliamento “ai convegni e simili”, cui fa menzione l’art. 74 TUIR, i Supremi Giudici hanno affermato che costituisce spesa destinata ad incrementare le vendite e, quindi, spesa di natura pubblicitaria, la spesa sostenuta per la presentazione dei capi da parte della società produttrice ad una clientela selezionata di soggetti operanti nel settore e probabili acquirenti. Nel caso di specie, secondo la Corte, la “relazione diretta tra tali spese e i ricavi che le stesse hanno fatto conseguire alla società”, di cui hanno dato espressamente atto i giudici della CTR marchigiana, con accertamento in fatto che non è stato fatto oggetto di specifica censura da parte della ricorrente Agenzia, è elemento che conferma la natura pubblicitaria dei costi in esame.
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