La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5407 del 3 marzo 2017 intervenendo in tema di accertamento con studi di settore ha stabilito che uno scostamento del 4% tra ricavi dichiarati e quelli scaturenti dall’applicazione degli studi di settore non configura la grave incongruenza richiesta dall’art. 62 sexies d.l. n. 331 del 1993, convertito, per poter procedere ad accertamento induttivo.
La vicenda ha riguardato una società a cui veniva notificato un avviso di accertamento, a seguito di applicazione degli studi di settore, da parte dell’Agenzia delle Entrate. La società contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria che accoglieva le doglianze della società ricorrente ed in particolare che gli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici e rimane tale anche dopo l’esito negativo del contradditorio con il contribuente. Pertanto l’Agenzia delle Entrate può porre a base degli avvisi di accertamento solo nel caso in cui siano stati validati da altri elementi probatori.
L’Amministrazione finanziari avverso la decisione della CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso dell’Agenzia delle Entrate ritenendo, in particolare, confermando il principio di diritto stabilito con le precedenti sentenze (cfr. Cass. n. 20414 del 2014, n. 25902 del 2015) per cui la solo differenza tra ricavi dichiarati e quelli da studi di settore non legittima il fisco a procedere ad accertamento.
La sentenza in commento conferma l’orientamento della Corte in particolare sul tema di “grave incongruenza”, per una sintesi dei criteri adottati in relazione agli accertamenti fondati sugli studi di settore è utile analizzare l’ordinanza n. 22946 del 10 novembre 2015 della Corte di Cassazione
Gli Ermellini nell’ordinanza n. 22946/2015 hanno evidenziato che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012).
In tale quadro complessivo è stato, così chiarito che “il tema della “grave incongruenza” appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello “scostamento” ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico- presuntivo”.
Inoltre “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass. N. 26843/2014).
Nella fattispecie, esaminata dalla ordinanza n. 22946/2015, nel corso del giudizio di merito è stato valorizzato il fatto che l’impresa in questione versasse da anni in uno stato di profonda crisi, con conseguente limitazione dei ricavi rispetto a quanto previsto dallo studio di settore. Tale motivazione appare alla Corte sufficiente a confermare la sentenza di appello respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
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