AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 28 ottobre 2019, n. 439
Tassazione ai fini dell’imposta di registro dell’atto di risoluzione per ‘mutuo consenso’ della compravendita immobiliare
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
Quesito
L’istante rappresenta che in data 9 maggio 2014 ha venduto alla Sig.ra X il diritto di piena proprietà per la quota indivisa di 1/2 e il diritto di nuda proprietà per la residua quota indivisa di 1/2, di un’abitazione sita in Y. Il corrispettivo della vendita,pari ad euro 220.000, per accordo delle parti, doveva essere interamente versato entro il 31 dicembre del 2019, senza interessi.
Successivamente, le parti hanno deciso di non dar corso al pagamento del corrispettivo pattuito, ma di procedere alla stipula di un contratto di risoluzione per ‘mutuo consenso’, senza corrispettivo, del precedente contratto di compravendita.
Pertanto, a parere dell’istante, l’unica obbligazione derivante dallo stipulando atto di risoluzione per ‘mutuo consenso’ della compravendita è quella a carico della parte acquirente di restituire l’immobile alla parte venditrice.
Premesso quanto sopra, l’interpellante chiede di chiarimenti sulla corretta tassazione, ai fini dell’imposta di registro, applicabile all’atto di risoluzione per ‘mutuo consenso’ della compravendita immobiliare.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene che tale fattispecie non integri il presupposto per l’applicazione della disciplina prevista per i trasferimenti immobiliari dall’articolo 1 della Tariffa,Parte I, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in quanto la consegna dell’immobile all’originario proprietario non assume rilievo ai fini dell’imposta proporzionale di registro.
A sostegno della propria tesi, richiama la sentenza della Corte di Cassazione del 31 ottobre 2012, n. 18844, con la quale è stato affermato che il contratto di ‘mutuo consenso’ è un contratto autonomo, dotato di un’autonoma causa,concluso al fine di estinguere gli effetti del precedente atto, qualunque sia la causa di quest’ultimo. Inoltre, l’istante, richiama la risoluzione n. 20/E del 14 febbraio 2014,ritenendo che le considerazioni contenute nel citato documento di prassi, in tema di risoluzione per ‘mutuo consenso’ di un atto donazione, siano valide anche per le ipotesi di risoluzione per ‘mutuo consenso’ di un atto di compravendita.
Pertanto, il contratto di risoluzione in esame, a parere dell’istante, dovrà esserea ssoggettato alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro200 ciascuna.
Parere dell’agenzia delle entrate
L’articolo 1372 del Codice civile (efficacia del contratto) stabilisce che “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.
Lo scioglimento consensuale del rapporto contrattuale per ‘mutuo consenso’ rientra nella più vasta categoria degli eventi risolutivi del contratto; esso è, infatti, espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio e, quindi, di sciogliere il vincolo contrattuale (posto in essere nel loro interesse), anche indipendentemente da eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditive o modificative dell’attuazione dell’originario regolamento di interessi.
Come affermato anche dalla Corte di Cassazione, con il ‘mutuo consenso’ le parti volontariamente concludono un nuovo contratto di natura solutoria e liberatoria, con contenuto uguale e contrario a quello del contratto originario (cfr. Cass. n.17503 del 30 agosto 2005).
Con riferimento al trattamento tributario applicabile, ai fini della tassazione indiretta, all’atto di risoluzione si osserva che l’articolo 28 del d.P.R. 26aprile 1986, n. 131, prevede che “1. La risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale prevista dall’art. 6 o quella prevista dall’art. 9 della parte prima della tariffa.
2. In ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse”.
Ai fini fiscali, occorre quindi distinguere l’ipotesi di clausola risolutiva espressa, contestuale al contratto originario o entro il secondo giorno dalla stipula del contratto, dall’ipotesi in cui le parti, mediante autonoma espressione negoziale, optino per la risoluzione del medesimo contratto originario. Ciò in quanto, nel primo caso, si applica l’imposta proporzionale solo se per la risoluzione è previsto un corrispettivo e solo sull’ammontare di quest’ultimo; in caso contrario, si applica l’imposta in misura fissa.
Nella diversa ipotesi in cui la risoluzione dell’originario contratto sia realizzata mediante apposito negozio, la citata disposizione prevede la tassazione in misura proporzionale, da applicare alle prestazioni derivanti dalla risoluzione; la medesima tassazione proporzionale si applicherà, inoltre, all’eventuale corrispettivo della risoluzione.
Su tale tema, occorre fare riferimento anche alle recenti ordinanze della Corte di Cassazione, del 9 marzo 2018, n. 5745 e del 5 ottobre 2018, n. 24506, che,per la tassazione della risoluzione, ai fini dell’imposta di registro, ritiene rilevante la presenza o meno della clausola risolutiva espressa nell’accordo originario. Secondo la Suprema Corte, infatti, l’assenza di tale clausola nel contratto originario (ovvero se non stipulata entro il secondo giorno successivo), non consente l’applicazione del comma 1dell’articolo 28, bensì l’applicazione del comma 2. Con la citata pronuncia n. 24506 del2018, i giudici di legittimità hanno, dunque, affermato che “la reciproca autonomia e il senso dei due commi sono salvaguardati notando che le ipotesi di risoluzione di cui al primo comma trovano la loro fonte in clausole o condizioni contenute nel negozio da risolvere o in un patto autonomo stipulato entro il secondo giorno successivo alla sua conclusione ossia in fattispecie in cui il contratto viene meno per un originario difetto funzionale o per il concretizzarsi di una situazione di intrinseca instabilità oppure viene meno immediatamente dopo essere stato concluso; l’imposta si applica qui in misura fissa avendo il legislatore ritenuto eccessivo colpire la manifestazione di capacità contributiva espressa dal negozio risolutorio con una nuova imposta proporzionale in aggiunta a quella già applicata al contratto base; in termini generali, tuttavia, il mutuo dissenso è occasione del manifestarsi della stessa capacità contributiva espressa da un contratto a parti inverse (retro contratto), talché, al di là dell’eccezione che il legislatore ha ritenuto di stabilire con il disposto dell’art. 28 (…)il mutuo dissenso deve essere assoggettato, ai sensi del secondo comma di questo articolo, all’imposta stabilita per il contratto base e dunque, trattandosi di mutuo dissenso relativo a vendita immobiliare, ad imposta con aliquota proporzionale; tale conclusione che, da un lato, non solleva dubbi di legittimità costituzionale rispetto all’art. 53, posto che gli effetti del mutuo dissenso – pur se, sul piano civilistico, solo restitutori o ripristinatori e non propriamente traslativi -, sostanziandosi, sul piano della concreta realtà a cui guarda la norma tributaria, in un nuovo passaggio di ricchezza, attestano la capacità contributiva delle parti (….)”.
In senso analogo, l’ordinanza n. 5745 del 2018, con cui la Suprema Corte,ribadendo il proprio orientamento, ha affermato che “il mutuo dissenso, che è un nuovo contratto, con contenuto eguale e contrario a quello originario, è soggetto ex art. 28,comma 2, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, alla regola residuale applicabile a tutti gli alti risolutivi di negozi giuridici che non trovino la loro fonte in clausole o condizioni contenute nel negozio da risolvere (o in patto autonomo stipulato entro il secondo giorno successivo alla sua conclusione)” (Cfr. ex plurimis Cass. n. 4134/2015, Cass. n.8132/2016).
Dunque, la retrocessione della proprietà del bene oggetto del precedente atto di compravendita quale prestazione patrimoniale del contratto di mutuo consenso,rientra nell’ambito applicativo del comma 2 del citato articolo 28 e, pertanto, deve essere tassata autonomamente ai fini dell’imposta registro con applicazione dell’aliquota in misura proporzionale prevista per i trasferimenti immobiliari dall’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima allegata al TUR.
Alla luce delle considerazione esposte, diversamente da quanto sostenuto dall’istante, si ritiene che l’atto di risoluzione per mutuo consenso, oggetto del presente interpello, rientri nell’ambito di applicazione del citato comma 2, dell’articolo 28 del d.P.R. n. 131 del 1986, con la conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale del 9 per cento, ai sensi dell’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima allegata al TUR e delle imposte ipotecaria e catastale nella misura di euro 50 ciascuna.
Da ultimo, si precisa che per la fattispecie in esame non trovano applicazione le conclusioni contenute nella risoluzione 14 febbraio 2014, n. 20/E relativa ad una diversa fattispecie.
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