Agenzia delle Entrate – Risposta n. 433 del 24 agosto 2022
Tassazione dei redditi derivanti dall’attività di staking di cripto-valute
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
L’Istante ha aperto un conto online (c.d. wallet) per la gestione di cripto-valute presso una piattaforma gestita da una Società italiana, la quale offre servizi di compravendita/gestione (c.d. exchange) e servizi di staking su cripto-valute.
Attraverso la piattaforma, accessibile tramite un sito web o un app, l’Istante può acquistare, vendere, trasferire, ricevere cripto-valute contro euro, altre cripto-valute o token, pagando una commissione variabile alla Società per i servizi resi.
Per quanto riguarda lo “staking“, l’Istante rappresenta che «questo è essenzialmente il processo utilizzato dalla blockchain delle criptovalute per raggiungere il consenso distribuito sulla generazione di un nuovo blocco attraverso il meccanismo di “PoS” (Proof-of- Stake), vale a dire un meccanismo algoritmico e criptografico che ricomprende tutte le operazioni informatiche volte a verificare la correttezza dei dati e, quindi, a registrare gli stessi nella relativa blockchain».
L’Istante intende partecipare alla produzione e alla validazione di nuovi blocchi proposti da altri validatori, utilizzando le proprie cripto-valute come stake; a tal fine, la piattaforma pone sulle stesse un “vincolo di indisponibilità” per il tempo necessario alla produzione e alla convalida dei blocchi della relativa blockchain.
Nel periodo di durata del “vincolo di indisponibilità“, le cripto-valute rimangono depositate sul proprio wallet e la produzione/convalida di nuovi blocchi comporta una remunerazione in cripto-valute determinata dalla stessa blockchain.
In sostanza, per il tramite della Società che gestisce la piattaforma informatica necessaria per la produzione e la validazione dei nuovi blocchi, l’Istante riceve dalla stessa blockchain un premio in cripto-valute; tale corrispettivo viene decurtato di una percentuale che la piattaforma trattiene per le attività di validazione e per la messa a disposizione di tutta l’infrastruttura informatica (hardware e software) necessaria per effettuare lo staking e per semplificare l’interazione con la blockchain.
Ciò posto, l’Istante chiede chiarimenti in merito al corretto trattamento fiscale dei redditi derivanti dalle descritte operazioni.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’Istante ritiene che alle operazioni di conversione di cripto-valuta sia corretto applicare i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto le valute tradizionali e, pertanto, alle cessioni a pronti di cripto-valute ritiene applicabile il combinato disposto dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter) e comma 1-ter, del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 novembre 1986, n. 917 (Tuir).
Conseguentemente, l’Istante intende indicare nel quadro RT del Modello Redditi Persone Fisiche le plusvalenze realizzate attraverso la cessione a titolo oneroso delle cripto-valute e applicare l’imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento.
Ai fini del calcolo della plusvalenza, l’Istante ritiene di dover confrontare il controvalore in euro della cripto-valuta ceduta con il costo di acquisto della stessa, considerando cedute per prime le cripto-valute acquisite in data più recente (LIFO).
Con riferimento all’eventuale reddito derivante dall’attività staking, l’Istante ritiene che la cripto-valuta ricevuta costituisca «una forma di remunerazione corrisposta dalla blockchain in considerazione dell’esecuzione delle operazioni di validazione/convalida necessarie per la generazione di nuovi blocchi» e non abbia, invece, natura finanziaria.
A parere dell’Istante, infatti, i rischi connessi a tale operazione sarebbero comuni a qualsiasi altra operazione comportante la creazione di un “vincolo di indisponibilità” temporanea su beni, ad esempio attraverso l’assunzione di un obbligo di non alienazione, e conseguentemente le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalla blockchain sarebbero da configurarsi come un reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera l), del Tuir, relativamente all’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, da riportare nel quadro RL del Modello Redditi Persone Fisiche al netto dell’importo trattenuto a titolo di commissione da parte della Società che gestisce la piattaforma e detraendo eventuali ritenute di acconto da questa applicate.
Infine, l’Istante ritiene che non sussistano obblighi di monitoraggio fiscale dal momento che la chiave privata legata alla detenzione delle cripto-valute è nella piena disponibilità della Società italiana che gestisce la piattaforma informatica e lo stesso Istante è titolare di un mero diritto di credito vantato nei confronti di una Società italiana e non di un asset patrimoniale e/o finanziario di natura estera e che le cripto- valute dallo stesso possedute non sono soggette all’Imposta sul Valore delle Attività detenute all’Estero (IVAFE).
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Con riferimento al trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti dalla detenzione di valute virtuali (o cripto-valute) in capo a persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di arte, professione o impresa, sono stati forniti chiarimenti con la risoluzione 2 settembre 2016, n. 72/E e nella risposta n. 788 del 24 novembre 2021, i cui contenuti sono applicabili anche nel caso in esame.
In particolare, in merito alle modalità di determinazione dei redditi diversi e agli adempimenti dichiarativi da parte della persona fisica (compilazione dei quadri RT e RW) si rinvia a quanto già chiarito nella citata risposta n. 788 del 2021.
Per quanto concerne, la remunerazione derivante dalla attività di “staking”, ovvero del compenso in cripto-valute corrisposto all’Istante a fronte del “vincolo di disponibilità” delle stesse, cioè di un vincolo di non utilizzo per un certo periodo di tempo, si ritiene applicabile quanto previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera h), del Tuir.
Tale norma, in particolare, dispone che costituiscono redditi di capitale «gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto».
Si tratta di una disposizione che ha una funzione di chiusura della categoria dei redditi di capitale, introdotta dal decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 al fine di ricondurre a tale categoria reddituale tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale.
Pertanto, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.
Come chiarito nella circolare 24 giugno 1998, n. 165/E per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.
Conseguentemente, possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione non soltanto quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’articolo 820 del codice civile e cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale, ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
Alla luce di quanto precede, si ritiene, che le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking siano soggette ad imposizione ai sensi della citata lettera h) del comma 1 dell’articolo 44 del Tuir e, pertanto, se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26 per cento ai sensi dell’articolo 26, comma 5, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Conseguentemente, tali remunerazioni non dovranno essere indicate nel Modello Redditi della persona fisica in quanto la ritenuta è applicata a titolo d’imposta.
Con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale, l’articolo 4 del decreto legge 28 giugno 1990, n. 167 prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi.
Nella circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E (paragrafo 1.3.1.) è stato precisato che il medesimo obbligo sussiste anche per le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.
Nel caso in esame, tenuto conto che il contribuente detiene il wallet presso una Società italiana non è tenuto agli obblighi di monitoraggio fiscale, né tanto meno al pagamento dell’IVAFE.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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