La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 2587 depositata il 5 febbraio 2014 intervenendo in materia dei termini di emissione dell’atto impositivo ha affermato che qualora il contribuente si è reso autore di ripetute violazioni penali tributarie costituisce valido motivo per emettere l’avviso di accertamento prima dello scadere del termine di sessanta giorni previsto dalla Statuto del contribuente.
La vicenda ha visto protagonista una società di capitale che in seguito ad una verifica fiscale e al conseguente PVC veniva emesso e notificato un avviso di accertamento ai fini IVA. La società impugnava tale atto impositivo inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale eccependo la nullità dell’avviso per violazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000, oltre che per la mancata autorizzazione all’accesso, e deduceva l’infondatezza della pretesa tributaria nel merito. I giudici di primo grado accoglievano il ricorso ritenendo che l’amministrazione non avesse fornito la prova delle ragioni di urgenza che avrebbero ad essa impedito il rispetto del termine di 60 giorni imposto dall’art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000.
Il Fisco avverso la decisione del giudice di prime cure ricorre alla Commissione Tributaria Regionale i cui giudici confermavano la sentenza appellata.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure l’Amministrazione finanziaria propone ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate cassando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della CTR.
I giudici di legittimità hanno rammentato l’interpretazione dell’articolo 12 comma 7 L. 212 del 2000 fatto dalle Sezioni Unite con la sentenza 18184 del 2013, la quale ha statuito il principio di diritto secondo cui: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’articolo 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.
Per cui secondo i giudici del Palazzaccio la CTR non si è attenuta a tale principio di diritto precisando che “il pericolo derivante da reiterate condotte penali tributarie è, in astratto, una indubitabile e valida ragione d’urgenza atta a giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo in deroga al termine imposto dal comma 7 dell’articolo 12 della legge n. 212 del 2000, tanto più nel quadro della situazione emersa dal verbale di verifica, della supposta partecipazione della società contribuente ad un’organizzata frode ai danni dell’Erario che è accuratamente descritta nella narrativa della stessa sentenza impugnata: il giudice d’appello avrebbe dovuto, piuttosto, verificare se tale ragione d’urgenza potesse, come si esprimono le Sezioni Unite, essere, ‘specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione’. Ma di tanto non v’è traccia nel ragionamento che ha portato alla decisione oggetto di impugnazione in questa sede di legittimità”.
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