La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 14169 del 05 giugno 2013 intervenendo in tema di cessione di azienda ha affermato che l’equiparazione del trasferimento di ramo d’azienda o del conferimento di ramo d’azienda alla cessione d’azienda individua la responsabilità del cessionario per il pagamento dei debiti preesistenti alla cessione, a nulla rilevando l’accertamento giudiziale del soggetto passivo d’imposta.
Nei trasferimenti di aziende e rami di azienda particolare attenzione va posta alla situazione tributaria del cedente per la responsabilità tributaria contemplata e regolata dall’articolo 14 del D.lgs. 472/1997 (decreto legislativo emanato per attuare la delega sulle sanzioni amministrative tributarie non penali), il cui primo comma dispone che il cessionario è responsabile in solido ( salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda) per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
Inoltre, la responsabilità solidale, viene confermata anche l’articolo 2560 c.c. al primo comma stabilisce che l’alienante l’azienda non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito, mentre al successivo capoverso si statuisce che nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
La vicenda giudiziaria oggetto della sentenza in rassegna ha riguardato la società conferitaria che aveva opposto alla pretesa dell’Amministrazione che il debito per il pagamento della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, sorto in capo alla società conferente il ramo d’azienda, non poteva essere richiesto giudizialmente alla società conferitaria in quanto il relativo debito non emergeva dalle scritture contabili obbligatorie.
Gli Ermellini hanno ricordato la propria giurisprudenza in merito alla qualificazione del trasferimento di ramo d’azienda, anche mediante conferimento, in termini di successione a titolo particolare, riconducibile al genus della cessione d’azienda, come affermato nella sentenza 19 novembre 2007, n. 23936, citata da questa in commento, per la quale il trasferimento dell’azienda o di un ramo d’azienda configura una successione a titolo particolare nei rapporti preesistenti; il che, sul piano processuale, determina, ai sensi dell’articolo 111 cpc, la prosecuzione del processo in corso tra le parti originarie, salvo il diritto del successore a titolo particolare di intervenire nel processo o la possibilità di chiamata in causa dello stesso, atteso che detto trasferimento non ne determina l’estinzione.
Nella successiva sentenza 19 gennaio 2010, n. 792, fu evidenziato che, qualora la successione riguardi un appalto con la PA ricompreso in un ramo di azienda oggetto di conferimento in favore di una società, poiché la prova della avvenuta successione deve riguardare, oltre che il conferimento del ramo d’azienda e l’inclusione in questo del suddetto contratto, anche l’avvenuta effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 35, comma 1, della legge n. 109/1994, secondo le modalità previste dal Dpcm 11 maggio 1991, n. 187 (applicabili ratione temporis), attesa l’indefettibilità di tale adempimento per l’efficacia della cessione nei confronti dell’Amministrazione.
Nell’ambito tributario, invece, la pronuncia della Suprema corte 29 settembre 2006, n. 21229, aveva evidenziato che, in caso di conferimento di un’azienda individuale in una società, sia essa di persone o di capitali, si verifica un fenomeno traslativo soggetto alla disciplina dell’articolo 2558 e seguenti del codice civile, consistente nella cessione dell’azienda del conferente in favore del soggetto cui viene ceduta. Pertanto, per effetto di tale trasferimento, l’alienante acquista la posizione di socio della società, ma, salvo che non risulti il consenso dei creditori, egli non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, con l’effetto di essere legittimato a contestarne l’esistenza, mentre la corresponsabilità del cessionario nei confronti dei creditori aziendali pretende, quale elemento costitutivo essenziale, l’intervenuta annotazione dei debiti nei libri contabili obbligatori, ai sensi dell’articolo 2560, secondo comma, cc. Occorre rilevare, però, come in tale controversia risultava applicabile ancora l’articolo 19 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, il quale individua(va) la responsabilità dell’autore della violazione di norma tributaria per tributo, tassa e soprattassa, mentre condiziona(va) la corresponsabilità in solido del successore in un’azienda commerciale o industriale, per i tributi relativi alla medesima, alla presunzione legale di frode nel trasferimento.
L’accertamento giudiziale della Commissione tributaria in base non soltanto alla perizia allegata all’atto di conferimento dell’esistenza del debito tributario in capo alla società conferente, ma anche “alla documentazione contabile di supporto”, ha attestato l’applicabilità della disciplina codicistica, non avendo potuto riscontrare, per carenza di richiesta giudiziale del contribuente, l’applicabilità di quella tributaria dettata dall’articolo 14 del Dlgs n. 472, il cui secondo comma prevede – come noto – che l’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.
A sua volta il, terzo comma dispone che gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti, avendo cura di aggiungere che “Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta”.
In ordine al profilo processuale tributario, si rammenta che la Corte regolatrice del diritto ha già affermato nella sentenza 12 gennaio 2012, n. 255, che l’articolo 14, comma 6, del Dlgs n. 546/1992, prevede che possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso. Ne consegue che è stato ritenuto, dai giudici di Cassazione, legittimo – anche in appello – l’intervento del cessionario dell’azienda responsabile ai sensi dell’articolo 14 del Dlgs n. 472/1997 per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse dal cedente nei limiti temporali ivi indicati.
Non si riscontrano precedenti giurisprudenziali negli esatti termini.
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