AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 29 dicembre 2021, n. 868

Trasformazione di DTA in crediti d’imposta, ex art. 44-bis del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, come sostituito dall’articolo 55, comma 1, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. Conferimento di crediti deteriorati e irrilevanza degli interessi nel computo del valore nominale

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

Quesito

In data …, l’Istituto di credito Alfa ha conferito un portafoglio di crediti pecuniari deteriorati vantati nei confronti di imprese in “temporanea” difficoltà economica (c.d. “Crediti UTP”) a tre Fondi comuni di investimento alternativi italiani riservati (c.d. “FIA italiani riservati”), istituiti in forma chiusa, attivi nella gestione e valorizzazione di Crediti UTP, per un valore nominale complessivo, comprensivo anche degli interessi maturati e non pagati, di euro ….

Come precisato nell’istanza, in esito all’operazione di conferimento dei Crediti UTP ai Fondi di Credito, la società ha realizzato perdite su crediti d’importo complessivo pari a …, calcolato come differenza tra il valore nominale (per tale intendendosi la somma di capitale ed interessi maturati e non pagati) dei Crediti UTP, pari a Euro …, ed il relativo valore di realizzo, pari a Euro ….

Attraverso la descritta operazione di conferimento dei Crediti UTP, la società istante, oltre a realizzare un “deconsolidamento” dei crediti deteriorati che le consentirebbe di ridurre il capitale richiesto ai fini di vigilanza per fronteggiare i rischi – attesi e inattesi – di perdite su crediti, ha inteso perseguire anche l’obiettivo di massimizzare i recuperi attesi sulle esposizioni nei confronti di debitori in “temporanea” difficoltà economica. In virtù delle quote di partecipazione acquisite a fronte dell’apporto dei crediti, la società percepirà, infatti, i profitti generati dai Fondi di Credito in esito all’adozione delle misure atte a favorire il ritorno in bonis dei debitori.

Ciò premesso, l’Istituto di credito istante chiede chiarimenti in merito alla corretta applicazione, alla fattispecie descritta, della disciplina agevolativa di cui all’articolo 44- bis, del D.L. 34/2019. In particolare, la società pone due quesiti riguardanti rispettivamente:

– la possibilità di far rientrare anche le ipotesi di “conferimento” dei Crediti deteriorati nell’ambito di applicazione dell’articolo 44- bis, del D.L. 34/2019, vale a dire la possibilità che il conferimento dei Crediti deteriorati possa rientrare nelle operazioni di “cessione a titolo oneroso” dei crediti cui rinvia la norma ai fini della conversione in crediti di imposta delle imposte anticipate relative alle perdite fiscali ed alle eccedenze ACE riportate a nuovo (Quesito n. 1);

– la computabilità degli interessi maturati sui crediti ceduti nel “valore nominale”, rilevante ai fini del calcolo del credito d’imposta (Quesito n. 2).

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

Con riferimento al quesito n. 1, la società istante ritiene che i conferimenti dei “Crediti UTP” nei Fondi di Credito sopra descritti siano legittimamente qualificabili come “cessioni a titolo oneroso di crediti deteriorati”, e siano quindi rilevanti ai fini dell’applicazione dell’agevolazione di cui all’articolo 44- bis del D.L. n. 34/2019.

A sostegno della propria tesi interpretativa, la società fa presente che la soluzione prospettata risulta giuridicamente corretta in quanto coerente sia con il tenore letterale che con la ratio della disposizione sopra citata.

L’articolo 44- bis del D.L. 34 del 2019, infatti, fa riferimento alle “cessioni dei crediti” operate a titolo oneroso, senza vincolare il trasferimento della titolarità del credito ad uno specifico atto o schema negoziale. Ciò porterebbe, secondo la tesi dell’istante, a ricomprendere nell’ambito oggettivo della norma qualsiasi negozio che concretizzi un trasferimento a titolo oneroso del credito, comprese le ipotesi di conferimento dei crediti.

Inoltre, la suddetta interpretazione sarebbe coerente con la ratio della norma, da individuare nell’obiettivo di sostenere le imprese riducendone gli “oneri” (ossia, le perdite su crediti) derivanti dalle cessioni dei Crediti Deteriorati compiute per reperire direttamente o indirettamente liquidità nel contesto della crisi economica e finanziaria causata della pandemia. Infatti, come precisato dalla società, l’operazione di conferimento dei Crediti UTP nei Fondi di Credito genera indirettamente un incremento della liquidità a disposizione dell’Istituto di credito, nella misura in cui riduce l’ammontare delle coperture che, in ottemperanza alla normativa in materia di vigilanza prudenziale, è tenuta a operare con riferimento ai crediti deteriorati. Il deconsolidamento dei Crediti UTP che consegue al relativo conferimento nei Fondi di Credito riduce, infatti, il capitale richiesto ai fini di vigilanza per fronteggiare i rischi – attesi e inattesi – di perdite su crediti (oltre a ridurre il costo della raccolta), consentendo alla società istante di reperire liquidità “recuperando” risorse patrimoniali per la gestione corrente.

Diversamente opinando, il conferimento dei Crediti UTP ai Fondi di Credito verrebbe ad essere discriminato sotto il profilo fiscale, sebbene risulti una forma di “cessione a titolo oneroso” dei Crediti Deteriorati più “virtuosa” rispetto alle opzioni ad esse alternative, quali la cessione diretta dei crediti a intermediari finanziari specializzati e la cessione indiretta ad investitori professionali per il tramite di operazioni di cartolarizzazione, non solo sotto il profilo della vigilanza – consentendo alle banche di massimizzare i recuperi attesi sulle esposizioni nei confronti di imprese in “temporanea” difficoltà recuperando liquidità – ma anche sotto il profilo economico e fiscale – permettendo alle banche di minimizzare gli “oneri” (i.e., le perdite su crediti) derivanti dalla dismissione dei Crediti Deteriorati. A tali benefici si sommano, altresì, quelli attesi dalla parziale monetizzazione immediata delle attività per imposte anticipate (che prescinde dalla relativa iscrizione in bilancio) e dalla partecipazione ai Fondi di Credito (distribuzioni di proventi, rimborsi e eventuale dismissione delle quote).

Per quanto riguarda il quesito 2, secondo l’interpretazione proposta dall’istante, la locuzione “valore nominale” dei crediti pecuniari ceduti comprende l’ammontare che il cessionario ha contrattualmente diritto di esigere dal debitore e, quindi, nella fattispecie, anche gli interessi scaduti.

In base alla disciplina civilistica della cessione dei crediti e, più in particolare, in base al principio dell'”accessorietà” di cui all’art. 1263 c.c., il credito è trasferito al cessionario esattamente come era nel patrimonio del cedente. In base al suddetto principio, il credito è infatti trasferito insieme con i privilegi, le garanzie personali e reali, e gli altri accessori, inclusi i “frutti scaduti” dopo la cessione, ove così convenuto tra le parti. Pertanto, ai fini della determinazione dell’ammontare del credito d’imposta spettante ai sensi del citato articolo 44- bis, è legittimo includere nel valore nominale dei Crediti UTP conferiti nei Fondi di Credito anche gli interessi scaduti.

Parere dell’Agenzia delle entrate

L’articolo 44- bis del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58 (successivamente sostituito dall’articolo 55, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come integrato dall’articolo 72, comma 1-ter, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126) ha previsto la possibilità di trasformare in crediti d’imposta le “attività per imposte anticipate” (DTA) – relative a perdite fiscali ed eccedenze ACE – a seguito della cessione di crediti pecuniari verso “debitori inadempienti”.

Il comma 1 (come da ultimo modificato dall’articolo 19, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106) prevede, in particolare, che “Qualora una società ceda a titolo oneroso, entro il 31 dicembre 2021, crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori inadempienti a norma del comma 5, può trasformare in credito d’imposta le attività per imposte anticipate riferite ai seguenti componenti”:

(i) perdite fiscali non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 84 del TUIR, alla data della cessione;

(ii) importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, (le c.d. eccedenze ACE), non ancora dedotto né fruito tramite credito d’imposta alla data della cessione.

Ai fini dell’identificazione dei crediti deteriorati, il comma 5 stabilisce che il debitore debba considerarsi “inadempiente” – e che quindi la cessione del credito sia rilevante ai fini della disciplina in esame – quando il mancato pagamento si protrae per oltre 90 giorni dalla scadenza convenuta.

Ai fini della predetta trasformazione, la norma prevede i seguenti limiti:

– i componenti descritti possono essere considerati per un ammontare massimo non eccedente il 20 per cento del valore nominale dei crediti ceduti;

– i crediti ceduti possono essere considerati per un “valore nominale” massimo pari a 2 miliardi di euro (per ciascuno degli anni 2020 e 2021), determinato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate (rispettivamente, entro il 31 dicembre 2020 e il 31 dicembre 2021) dalle società tra loro legate da rapporti di controllo, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, e dalle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto. In caso di crediti acquistati da società con le quali non sussiste un rapporto di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o che non sono controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto, per valore nominale si intende il valore di acquisto del credito.

Il comma 6 specifica, inoltre, che la disposizione agevolativa non si applica alle cessioni di crediti tra società che sono tra loro legate da rapporti di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile e alle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto. In sostanza, ai fini dell’applicazione della disciplina agevolativa, rilevano le sole cessioni in favore di soggetti terzi rispetto a quelli appartenenti al medesimo gruppo della società cedente.

Ciò premesso, con riferimento al primo quesito posto dall’istante, occorre osservare che il presupposto principale per accedere alla trasformazione è la “cessione a titolo oneroso” di crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori inadempienti.

La formulazione della norma fa generico riferimento alle ipotesi di cessione “a titolo oneroso” di crediti deteriorati (“Qualora una società ceda a titolo oneroso … crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori inadempienti”), senza ulteriori precisazioni, né relative alla natura dei crediti deteriorati (ad esempio, commerciale o finanziaria); né all’origine degli stessi (interna o acquisiti da terzi), né a specifici schemi negoziali da utilizzare per il trasferimento della titolarità del credito.

Di conseguenza, nel considerare condivisibile la soluzione proposta dalla società, si ritiene che, ai fini dell’applicazione dell’agevolazione, non assumano rilevanza esclusivamente le cessioni che contemplano un corrispettivo di natura monetaria, ma, in linea generale, qualsiasi “negozio giuridico” che concretizzi un “trasferimento a titolo oneroso” del credito, comprese le ipotesi, come quella in esame, di “conferimento” dei crediti, in cui la società conferente diviene titolare di una partecipazione sociale, di quote o azioni (normalmente proporzionale al valore dello stesso) del cessionario.

Tale apertura, riguardante l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina trova, peraltro, conferma nella ratio della norma, rilevabile dalla relazione illustrativa al D.L. n. 18 del 2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”, il cui articolo 55 ha emendato l’articolo 44- bis del D.L. n. 34 del 2019), laddove viene precisato che “La disposizione è volta a incentivare la cessione dei crediti deteriorati che le imprese hanno accumulato negli ultimi anni, anche per effetto della crisi finanziaria, con l’obiettivo di sostenerle sotto il profilo della liquidità nel fronteggiare l’attuale contesto di incertezza economica. […] L’intervento consente alle imprese di anticipare l’utilizzo come crediti d’imposta, di tali importi, di cui altrimenti avrebbero usufruito in anni successivi, determinando nell’immediato una riduzione del carico fiscale. Ciò consente di ridurre il fabbisogno di liquidità connesso con il versamento di imposte e contributi, aumentando la disponibilità di cassa in un periodo di crisi economica e finanziaria connessa con l’emergenza sanitaria posto che, a fronte di tale anticipazione, viene meno il meccanismo ordinario di riporto in avanti dei componenti oggetto di trasformazione”.

Per quanto attiene al secondo quesito, riguardante la nozione di “valore nominale” cui rinvia la disposizione agevolativa, occorre premettere che alla nozione di “valore nominale” dei crediti pecuniari ceduti a titolo oneroso è collegato il doppio limite quantitativo entro il quale è consentita la trasformazione delle attività per imposte anticipate (corrispondenti alle perdite fiscali ed alle eccedenze ACE riportate a nuovo) in crediti d’imposta, in quanto la relativa “conversione” è ammessa in misura non superiore al 20% del “valore nominale” dei crediti pecuniari ceduti, tenuto conto anche del limite assoluto di cessioni fissato a 2 miliardi di euro, relativo alle cessioni aggregate a livello di gruppo.

Al riguardo, si ritiene che la soluzione proposta – secondo cui la locuzione “valore nominale” dei crediti pecuniari ceduti comprenderebbe l’ammontare che il cessionario ha contrattualmente diritto di esigere dal debitore e, quindi, nella fattispecie, anche gli interessi scaduti – non sia condivisibile, per i seguenti motivi.

Considerato il mero rinvio della norma alla nozione di “valore nominale” del credito, e in assenza di ulteriori precisazioni, si ritiene opportuno fare riferimento alla definizione di “valore nominale” generalmente assunta in ambito contabile e fiscale, richiamando, ad esempio, il principio contabile OIC 15, che nel paragrafo relativo alle definizioni, precisa, al punto 7, che “Il valore nominale di un credito è l’ammontare, definito contrattualmente, che si ha diritto di esigere”, e al punto 8, che “Il tasso di interesse nominale di un credito è il tasso di interesse contrattuale che, applicato al suo valore nominale, consente di determinare i flussi finanziari costituiti da interessi attivi nominali lungo la durata del credito”. Come risulta evidente dal combinato disposto delle due definizioni, il “valore nominale” di un credito individua esclusivamente l’ammontare che il creditore ha diritto di esigere in base al contratto, mentre gli interessi attivi, che maturano lungo la durata del credito, essendo calcolati applicando il tasso di interesse al “valore nominale” del credito, non sono naturalmente ricompresi nel valore nominale stesso. Inoltre, il fatto che l’ammontare delle DTA convertibili in credito di imposta sia parametrato al “valore nominale” e non al valore contabile o al valore fiscale del credito implica che il beneficio fiscale prescinde totalmente dall’entità del corrispettivo derivante dalla cessione dei crediti deteriorati e da quello astrattamente ricavabile dalla cessione, così come risulta irrilevante la circostanza che in precedenza i medesimi crediti siano stati in tutto o in parte svalutati con rilevanza fiscale. Di conseguenza, l’eventuale computo, nel “valore nominale” dei crediti deteriorati, anche degli interessi scaduti che il cessionario ha contrattualmente diritto di esigere dal debitore, sarebbe incoerente con la scelta di assumere, in astratto, come riferimento del valore dei crediti deteriorati il loro “valore nominale”.