AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 02 novembre 2018, n. 60
Articoli 3 e 13 del Dpr n. 633/1972 – Trattamento ai fini Iva degli aggiustamenti da transfer pricing
Quesito
La società Alfa rappresenta di far parte di un Gruppo multinazionale (di seguito, il “Gruppo”). Il Gruppo sta implementando un nuovo piano di sviluppo integrato, volto alla realizzazione congiunta di prodotti e di piattaforme necessarie alla produzione e alla commercializzazione di beni con marchio X.
La titolarità legale ed economica del marchio X e del relativo know-how appartiene alla società extracomunitaria Beta, la quale opera in qualità di “Principal” ed assume su di sé tutti i rischi connessi alla produzione e alla commercializzazione dei beni, concedendo il marchio ed il know-how stessi in uso gratuito alle consociate impegnate nella produzione e nella commercializzazione dei beni X.
La società interpellante ha stipulato, con la società Beta, un contratto infragruppo (di seguito, l'”Accordo”), in base al quale la stessa si obbliga ad operare come contract assembler ai fini della realizzazione dei prodotti X, mettendo le attrezzature di sua proprietà a disposizione della consociata Gamma (società di diritto italiano che opera, invece, come contract manufacturer). In particolare, la società Alfa ha assunto contrattualmente il compito di coordinare tutti i fattori produttivi relativi alla produzione dei beni, nonché quelli relativi alla commercializzazione degli stessi, mediante la rete distributiva del Gruppo, nonché il compito di gestire le attività di logistica e di controllo della qualità, nell’interesse della società Beta.
I beni X, prodotti dalla società Gamma, dunque, sono acquistati dalla società Alfa ad un prezzo in linea con la policy adottata dal Gruppo in tema di prezzi di trasferimento, in coerenza con il criterio di libera concorrenza (il c.d. “Arm’s length”). Successivamente gli stessi sono commercializzati, per il tramite della società Beta, nel mercato Nordamericano e del Resto del Mondo nonché, per il tramite della società Delta, nei mercati europeo, mediorientale ed africano (c.d. mercato EMEA). Al riguardo, la Società interpellante evidenzia che anche le cessioni da essa effettuate nei confronti delle società Beta e Delta avvengono ad un prezzo in linea con la policy del Gruppo in tema di prezzi di trasferimento, coerentemente con il criterio di libera concorrenza.
In ossequio al modello di transfer pricing seguito dal Gruppo, l’Accordo prevede che, qualora la marginalità consuntivata dalla Società interpellante in un determinato anno ricada al di fuori dell’intervallo interquartile di riferimento, debbano essere effettuati specifici “aggiustamenti” (“adjustments”), che permettano comunque di rispettare il citato criterio di libera concorrenza. Per effetto di ciò, la società Beta s’impegna a riconoscere, ove necessario, l’erogazione di un contributo a favore della società Alfa ogni qualvolta quest’ultima incorra in perdite operative, come quelle scaturenti dalle attività svolte e dagli ingenti costi sostenuti per l’acquisto di attrezzature impiegate nel ciclo produttivo.
Tutto ciò premesso, la Società interpellante chiede di sapere se il contributo eventualmente riconosciuto dalla società Beta a favore della stessa, in caso di scostamento tra il profitto da quest’ultima realizzato e quello determinato secondo il criterio di libera concorrenza, possa considerarsi o meno rilevante ai fini Iva ai sensi dell’art. 3 del Dpr n. 633 del 1972.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
La Società interpellante evidenzia come, nel sistema dell’Iva, l’onerosità costituisca un elemento essenziale affinché una determinata operazione sia assoggettata ad imposizione. L’onerosità, peraltro, va valutata in funzione qualitativa, non quantitativa, verificando cioè se esista una controprestazione a fronte del bene o del servizio ricevuto dal soggetto passivo Iva. A supporto di questa tesi, essa richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue (sentenze: 27 ottobre 2011, C-93/10, GFKL; 18 luglio 2007, C-277/05, Société thermale d’Eugénie-Les-Bains; 14 novembre 2000, C-142/99, Floridienne e Berginvest). Ad avviso della Società, nel caso di specie non sarebbe ravvisabile alcun vincolo di corrispettività tra i contributi eventualmente erogati dalla società Beta a favore della società Alfa ed alcuna obbligazione di fare, non fare o permettere da parte di quest’ultima. I contributi in esame, infatti, avrebbero la sola finalità di ripianare eventuali perdite operative realizzate dalla società Alfa e di permettere, dunque, a quest’ultima di raggiungere il livello minimo di marginalità e di profittabilità stabilito dalla policy di transfer pricing del Gruppo.
L’Accordo stipulato con la società Beta, infatti, prevede una regolazione finanziaria annuale da effettuarsi alla fine di ciascun anno finanziario, per consentire alla società Alfa di raggiungere un profitto di libera concorrenza. Se la remunerazione della società Alfa per le attività da essa eseguite è inferiore al profitto di libera concorrenza, la società Beta è tenuta a versare ad Alfa un importo pari a tale differenza, in modo da consentire a quest’ultima di ottenere un adeguato profitto di libera concorrenza. Se, invece, la remunerazione della società Alfa per le attività da essa eseguite è superiore al profitto di libera concorrenza, quest’ultima è tenuta a versare alla società Beta l’importo di tale differenza, in modo che risulti comunque garantito ad Alfa un adeguato profitto di libera concorrenza.
Per la Società interpellante, dunque, i contributi di cui trattasi non rientrerebbero nel campo di applicazione dell’Iva, in quanto non ricollegabili sinallagmaticamente ad alcuna specifica prestazione resa a favore del “Principal” Beta, con conseguente mancanza del requisito oggettivo previsto dall’art. 3 del Dpr n. 633 del 1972.
Peraltro, la società Alfa ritiene che, anche nel caso in cui si dovesse ravvisare un nesso diretto tra i contributi ed una qualsivoglia obbligazione di fare, non fare o permettere verso Beta, il contributo medesimo dovrebbe ritenersi comunque irrilevante, ai fini Iva in Italia, ai sensi dell’art. 7-ter del Dpr n. 633 del 1972, qualificandosi come corrispettivo di un servizio reso ad un soggetto passivo stabilito al di fuori dell’Unione europea (la società Beta). La società Alfa è del parere, inoltre, che i contributi in questione non presentino comunque alcun legame con i corrispettivi percepiti dalla stessa a fronte della cessione dei beni X alla società Beta, ai fini della successiva distribuzione nel mercato nordamericano e del resto del mondo.
Parere dell’agenzia delle entrate
Ai sensi dell’articolo 3, primo comma, del Dpr n. 633 del 1972, “costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
La predetta disposizione nazionale trova fondamento nell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva n. 2006/112/CE, in forza del quale “sono soggette all’Iva (…) c) le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”, e nell’articolo 24 della predetta direttiva, secondo cui si considera prestazione di servizi “ogni operazione che non costituisce una cessione di beni”.
Secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, “nell’ambito del sistema dell’Iva, le operazioni imponibili presuppongono l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti implicante la stipulazione di un prezzo o di un controvalore. Conseguentemente, qualora l’attività di un prestatore consista nel fornire esclusivamente prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono, quindi, soggette all’Iva”.
Per la Corte, dunque, “una prestazione di servizi è effettuata “a titolo oneroso” ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva, e configura pertanto un’operazione imponibile, soltanto quando tra il prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, in cui il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente”; inoltre, “la nozione di “prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso”, ai sensi di tale articolo 2, punto 1, presuppone l’esistenza di un nesso diretto tra il servizio prestato e il controvalore ricevuto” (sentenza 22 giugno 2016, C-11/15, Ceský rozhlas e giurisprudenza ivi citata).
Con riferimento al caso in esame, occorre dunque verificare se la corresponsione di contributi/aggiustamenti, da parte della società Beta in favore di Alfa, integri un corrispettivo versato per un’obbligazione di fare, non fare o permettere, rilevante ai fini Iva.
Sul punto, la scrivente osserva che, secondo l’Accordo, la società Beta si obbliga ad acquistare da Alfa beni X prodotti o fatti produrre da quest’ultima, la quale si impegna ad eseguire una serie di attività, tra le quali la produzione o l’acquisto delle specifiche attrezzature per la produzione dei beni X e la produzione degli stessi, in conformità alle specifiche tecniche impartite da Beta e secondo i volumi di produzione concordati tra le parti.
A fronte delle suddette obbligazioni, la società Beta, che opera in qualità di “Principal”, assumendosi il rischio finanziario delle operazioni in questione, si impegna, in forza del successivo articolo 3 dell’Accordo, a remunerare la Società interpellante con un prezzo di acquisto dei beni X coerente con il criterio di libera concorrenza, come disciplinato dalle normative fiscali dello Stato di residenza di Beta e dell’Italia.
In caso di scostamento tra la remunerazione spettante ad Alfa e il suddetto valore di libera concorrenza è, quindi, prevista la corresponsione tra le parti contraenti di un importo pari a tale differenza (a titolo di contributo/aggiustamento), in modo da garantire in ogni modo ad Alfa di raggiungere un profitto pari al suddetto valore.
Alla luce di tali clausole contrattuali, la scrivente ritiene che il pagamento del contributo/aggiustamento da parte di Beta ad Alfa non costituisca una remunerazione per una specifica prestazione, da assoggettare autonomamente ad Iva, ex articolo 3 del Dpr n. 633 del 1972, non ravvisandosi in capo ad Alfa altra obbligazione al di fuori di quelle elencate nell’articolo 2 dell’Accordo, già remunerate con il prezzo relativo alla compravendita dei beni X tra le medesime società.
Esclusa la configurabilità di un’autonoma prestazione di servizi imponibile, occorre verificare se le somme in questione possano essere considerate come variazioni (in aumento o in diminuzione) dei corrispettivi relativi alle cessioni di beni X e, quindi, della base imponibile Iva delle transazioni effettuate tra le società Alfa e Beta.
Giova ricordare, al riguardo, che la base imponibile dell’Iva è disciplinata dall’articolo 73 della direttiva n. 2006/112/CE, secondo il quale “per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli da 74 a 77, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni”.
L’articolo 73 citato – come chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue – esprime il principio secondo cui “la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo.
Tale corrispettivo rappresenta il valore soggettivo, ossia il valore realmente percepito e non un valore stimato secondo criteri oggettivi” (cfr. Corte di Giustizia, sentenze del 7 novembre 2013, nelle cause riunite C-249/12 e C- 250/12; del 19 dicembre 2012, in causa C-549/11; del 26 aprile 2012, nelle cause riunite C-621/10 e C-129/11).
La citata norma trova attuazione nell’articolo 13 del DPR n. 633 del 1972, secondo cui “la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali (…)”.
Ciò posto, per verificare se i contributi/aggiustamenti in esame configurino una variazione in aumento o in diminuzione della base imponibile delle cessioni di beni X previamente effettuate tra le parti, occorre appurare l’esistenza di un collegamento diretto tra le medesime somme e le predette cessioni.
Ciò trova conferma nel documento di lavoro della Commissione europea del 28 febbraio 2017 (Working paper n. 923, taxud.c.1(2016)1280928), citato anche dalla Società interpellante, secondo cui “per quanto concerne l’interazione tra transfer pricing e Iva, le rettifiche da transfer pricing (in aumento o in diminuzione) possono avere implicazioni ai fini Iva, per esempio, laddove una tale rettifica possa considerarsi più o meno come un corrispettivo versato a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile già effettuata. Se si ritiene che una rettifica costituisca più o meno il corrispettivo per una cessione o prestazione, ciò potrebbe discutibilmente portare ad un aumento o ad una diminuzione della base imponibile Iva di siffatta transazione, laddove l’Iva da pagare sia stata calcolata a norma dell’articolo 73 della Direttiva Iva.
Affinché sussistano implicazioni Iva, comunque, è necessario non soltanto che ci sia una cessione o prestazione resa verso un corrispettivo, a norma dell’art. 2, par. 1, della Direttiva Iva, ma altresì che il corrispettivo sia direttamente collegato a tale cessione o prestazione. E questo dovrebbe essere valutato caso per caso”.
Affinché gli adjustments da transfer pricing incidano sulla determinazione della base imponibile dell’Iva, aumentando o diminuendo il corrispettivo di vendita del bene o di prestazione del servizio, occorre, pertanto, che:
a) vi sia un corrispettivo, ossia una regolazione monetaria o in natura per tale aggiustamento;
b) siano individuate le cessioni di beni o forniture di servizi cui il corrispettivo si riferisce;
c) sia presente un legame diretto tra le cessioni di beni o forniture di servizi e il corrispettivo.
Come evidenziato dalla stessa Commissione europea nel summenzionato documento n. 923, “mentre il principio di libera concorrenza deve essere generalmente osservato in tutte le transazioni infragruppo, in base alle regole di transfer pricing applicate ai fini dell’imposizione diretta, l’ambito del principio di libera concorrenza tracciato dalla Direttiva Iva sembra molto più circoscritto. Infatti, tale regola è suscettibile di applicazione facoltativa da parte degli Stati membri e può essere applicata soltanto al fine di prevenire evasioni ed elusioni fiscali in presenza di ben definite circostanze” (cfr. paragrafo 3.1.1).
Tali circostanze sono specificamente individuate dall’articolo 80 della direttiva n. 2006/112/CE – recepito in Italia dall’art. 13, terzo comma, del Dpr n. 633 del 1972 – in deroga ai criteri generali di determinazione della base imponibile Iva fissati dall’art. 73 della direttiva medesima. In proposito, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, “le condizioni di applicazione di quest’ultimo articolo [l’art. 80 della direttiva n. 2006/112/CE] sono tassative e una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base imponibile sia pari al valore normale in casi diversi da quelli elencati nella citata disposizione” (cfr. la sentenza del 8 maggio 2013, in causa C-142/12, e la sentenza del 26 aprile 2012, in causa C-621/10 e C-129/11). Tale orientamento trova, peraltro, conferma nella più recente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione secondo la quale “il transfer pricing si basa sul concetto di valore normale di mercato di cui al Dpr 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9 e art. 76, comma 5 (ora 110, comma 7) (…) e risponde ad esigenze di equa suddivisione dei profitti nei vari Stati in cui operano i gruppi multinazionali. Per l’Iva, invece, il corrispettivo effettivamente ricevuto è un elemento cardine del meccanismo di applicazione dell’imposta, fondato sul principio di neutralità dell’imposta (che sarebbe violato ove la base imponibile fosse calcolata come un importo per ipotesi superiore al corrispettivo ricevuto: principio da sempre ricavato dalle direttive comunitarie (da ultimo esplicitato nell’art. 73 della direttiva 112/2006/Cee) e recepito in Italia dal Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, art. 13” (sentenza n. 2240 del 2018).
In forza di questi principi, con riferimento al caso di specie, dall’Accordo tra Alfa e Beta non sembra ricavarsi un legame diretto tra i predetti contributi/aggiustamenti corrisposti tra le parti e le singole cessioni di beni X effettuate tra le medesime. Conseguentemente, gli importi di cui trattasi devono intendersi, in linea di principio, non rilevanti ai fini Iva e, pertanto, non possono essere considerati come variazioni in aumento o in diminuzione della base imponibile delle medesime transazioni.
Infine, si evidenzia che il presente parere, di tipo interpretativo, esula da qualsiasi considerazione in merito alla presenza di profili di abuso del diritto – ai sensi dell’art. 10bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212 – che potrebbero essere valutati in sede di eventuali attività di controllo.
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