AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 11 dicembre 2019, n. 512
Trattamento fiscale, ai fini delle imposte sul reddito, dei compensi per attività di lavoro autonomo professionale fatturati in un periodo di imposta precedente a quello di effettiva percezione, in cui il percipiente non è più fiscalmente residente in Italia
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’istante riferisce di aver svolto in Italia attività di consulenza nel campo delle tecnologie informatiche, come lavoratore autonomo, e che per lo svolgimento di tale attività, nel 2016, ha richiesto l’attribuzione di un numero di partita IVA.
L’istante dichiara che, nel mese di febbraio 2019, si è trasferito in Spagna, dove è stato assunto come lavoratore dipendente e ha ivi stabilito la propria dimora abituale, il domicilio e il centro vitale dei propri interessi, presentando domanda di iscrizione all’AIRE. Nel 2019, pertanto, l’istante dichiara di essere fiscalmente residente all’estero(Spagna).
L’interpellante precisa che alcune prestazioni professionali fatturate a un committente italiano durante gli ultimi mesi del 2018 saranno incassate nel 2019. Per tale motivo, intende mantenere la propria partita IVA in Italia sino al momento dell’integrale riscossione di tutti i crediti, nonostante il trasferimento all’estero della residenza fiscale.
Ciò posto, l’istante chiede di conoscere il trattamento fiscale dei compensi professionali che incassa nel 2019, periodo di imposta in cui non può essere considerato fiscalmente residente in Italia, per le prestazioni rese nel 2018, periodo in cui era fiscalmente residente in Italia.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene che i compensi fatturati nel 2018 ed incassati nel 2019, debbano essere assoggetti alla ritenuta alla fonte a titolo d’acconto nella misura del 20 per cento,in base a quanto previsto dall’articolo 25, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, nonostante l’assenza, nell’anno di percezione degli stessi, di una “base fissa” nel territorio italiano.
A tal fine, il contribuente evidenzia che ai redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da un soggetto non residente, si applicano le medesime regole previste nei confronti dei soggetti residenti (compilazione del Quadro RE- Redditi PF), se il professionista dispone nel territorio dello Stato di un autonomo centro di imputazione di interessi giuridico-tributari per lo svolgimento dell’attività di lavoro autonomo.
Il secondo periodo dell’articolo 25, comma 2, del citato d.P.R. n. 600 del 1973esclude, infatti, dall’applicazione della ritenuta a titolo definitivo “i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti”.
Nella fattispecie, secondo l’istante, mancherebbe la sussistenza di una “base fissa” nel territorio dello Stato nell’anno in cui i compensi sono riscossi (2019), ma è altrettanto vero che detti compensi sono relativi a prestazioni rese e ultimate nel periodo di imposta precedente, nel quale l’istante era fiscalmente residente in Italia e svolgeva in modo abituale la suddetta attività di lavoro autonomo.
L’istante ritiene, dunque, che ai compensi riscossi nel 2019 si applichi la ritenuta d’acconto nella misura del 20 per cento e che gli stessi compensi debbano essere dichiarati nel quadro RE del Modello Redditi PF, nel quale potranno essere portati in deduzione i componenti negativi inerenti all’attività professionale, sempre in base al “principio di cassa”.
Conseguentemente, non ritiene applicabile la ritenuta a titolo di imposta nella misura del 30 per cento disciplinata dal comma 2, primo periodo, del citato articolo 25,in quanto, come precisato nella risoluzione 11 giugno 2009, n. 154/E, la ratio della ritenuta a titolo definitivo è quella di “evitare che i soggetti non residenti possano sottrarsi alla potestà impositiva nazionale”.
Parere dell’agenzia delle entrate
Le modalità di determinazione del reddito di lavoro autonomo sono governate dal principio di cassa.
L’applicazione di tale principio implica, in linea generale e fatte salve espresse eccezioni, che la tassazione dei relativi compensi deve essere effettuata nel periodo di imposta in cui gli stessi sono effettivamente percepiti (o incassati) e la deduzione delle spese in quello in cui le medesime sono state effettivamente sostenute (o pagate).
A tale proposito, secondo un orientamento costante della giurisprudenza (cfr., tra l’altro, Corte di Cassazione, civ., Sez. V, con la sentenza 30 luglio 2014, n. 17306), ai fini delle imposte sul reddito, in caso di prestazioni fatturate dal professionista in un periodo di imposta precedente rispetto a quello dell’incasso, l’importo delle fatture emesse non concorre alla determinazione del reddito da lavoro autonomo nel periodo di imposta della fatturazione, bensì in quello dell’effettivo incasso.
Secondo l’ordinamento domestico, i redditi di lavoro autonomo rientrano fra quelli soggetti a ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600, ove corrisposti da soggetti che rivestono la qualifica di sostituti di imposta in base all’articolo 23 del medesimo d.P.R.. In particolare, il citato articolo 25, al comma 1, prevede che “I soggetti indicati nel primo comma dell’articolo 23, che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati, (…) per prestazioni di lavoro autonomo,ancorché non esercitate abitualmente (…), devono operare all’atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a titolo di acconto dell’Irpef dovuta dai percipienti, con l’obbligo di rivalsa.”.
Il comma 2 del medesimo articolo 25 stabilisce che “se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo di imposta del trenta per cento (…). Ne sono esclusi i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti”.
Ai fini di differenziare il relativo trattamento tributario – ritenuta a titolo di acconto del 20 per cento o ritenuta a titolo definitivo del 30 per cento – le riportate disposizioni attribuiscono, in primo luogo, rilevanza alla circostanza che il soggetto che riceve i compensi sia o meno residente nel territorio dello Stato.
Nel primo caso, infatti, la ritenuta del 20 per cento è effettuata a titolo di acconto e la tassazione definitiva del compenso sarà effettuata dal percettore in sede di dichiarazione dei redditi.
In caso di soggetto non residente, invece, la ritenuta a titolo di imposta del 30 percento esaurisce la pretesa tributaria. Detta ritenuta, inoltre, per effetto del secondo periodo del comma 2 dell’articolo 25 non si applica sui compensi per prestazioni di lavoro autonomo corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Nel caso in esame, l’istante dichiara di aver fatturato prestazioni professionali negli ultimi mesi del 2018, anno in cui era fiscalmente residente in Italia e svolgeva in modo abituale attività di lavoro autonomo e che i relativi compensi sono incassati nel2019, anno in cui ha residenza fiscale all’estero e non svolge più alcuna attività professionale nel nostro Paese. In tale fattispecie, dunque, i compensi relativi alle prestazioni di lavoro autonomo rese nel 2018, diventano rilevanti, ai fini delle imposte
sui redditi, solo nel momento in cui gli stessi sono effettivamente percepiti, vale a dire nel 2019. Pertanto, è in tale ultimo periodo d’imposta che devono essere verificate le condizioni per la corretta tassazione dei compensi in oggetto.
Ne consegue che le somme in oggetto percepite nel 2019 rientrano nel regime fiscale previsto dall’articolo 25, comma 2, primo periodo, del citato d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui i compensi per prestazioni di lavoro autonomo, anche non abituale, corrisposti a soggetti non residenti devono essere assoggettati alla ritenuta a titolo di imposta nella misura del 30 per cento.
E’ solo il caso di precisare che, trattandosi di un reddito derivante dall’esercizio di un’attività indipendente svolta nel 2018 nel territorio italiano, il nostro Paese conserva la potestà impositiva sugli emolumenti in esame, sebbene percepiti dall’istante nell’anno successivo, ai sensi delle disposizioni contenute nell’articolo 14,paragrafo 1, della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Spagna,stipulata a Roma l’8 settembre 1977 e ratificata con legge 29 settembre 1980, n. 663.
Resta fermo che la verifica della sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale di un soggetto riguarda elementi di fatto che, come precisato con circolare n. 9/E del 1 aprile 2016, non possono essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Il presente parere è reso sulla base degli elementi e dei documenti forniti, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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