AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 05 ottobre 2021, n. 657
Trattamento fiscale applicabile all’assegno di mantenimento corrisposto all’ex convivente – Articolo 10, comma 1, lettera c), del TUIR
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Istante dichiara di avere avuto una relazione affettiva senza mai contrarre matrimonio, a seguito della quale è nato un figlio.
Nel 2017, essendosi deteriorati i rapporti tra i conviventi, di comune accordo gli stessi hanno deciso di ricorrere congiuntamente al Tribunale per disciplinare i rapporti tra i genitori e il figlio.
Il Contribuente evidenzia che il Tribunale ha disposto l’assegnazione della sua abitazione a favore della ex convivente e il versamento del contributo ordinario per il mantenimento del figlio di euro 400 mensili, che diverranno euro 300 se la madre raggiungerà un reddito di 8.000 euro annui.
L’Istante rappresenta che nel 2019 il Tribunale ha disposto la revoca dell’assegnazione della sua abitazione alla ex convivente e ha disposto a suo carico l’erogazione di un contributo per il pagamento del canone di locazione (c.d. contributo casa) con un assegno mensile di 350 euro, oltre al contributo per l’ordinario mantenimento del figlio.
Il Contribuente evidenzia che la circolare n. 17/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate al paragrafo 4.1 chiarisce che sono deducibili «le spese di alloggio erogate all’ex coniuge (…) nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria (…) nel caso in cui dette somme riguardino l’immobile a disposizione della moglie e dei figli, la deducibilità è limitata alla metà delle spese sostenute (…) si evidenzia che la deduzione di tali somme da parte del coniuge erogante comporta necessariamente la tassazione in capo all’altro coniuge separato».
Ciò posto, l’Istante chiede se, ferma restando l’indeducibilità dell’importo corrisposto per il mantenimento ordinario del figlio, possa dedurre dal proprio reddito la metà della spesa inerente il contributo casa percepito dalla ex convivente.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene di poter dedurre dal proprio reddito la metà della spesa inerente il contributo casa percepito dalla ex convivente, anche se la stessa non è ex coniuge.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 10, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR) dispone che dal reddito complessivo sono deducibili «gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria».
La circolare 19/E dell’8 luglio 2020, in linea con le indicazioni fornite con la circolare 24 aprile 2015 n. 17 (risposta 4.1), ha chiarito che è deducibile ai sensi della citata disposizione «anche il cd “contributo casa”, ovvero le somme corrisposte per il pagamento del canone di locazione e delle spese condominiali dell’alloggio del coniuge separato che siano disposti dal giudice, quantificabili e corrisposti periodicamente» e che «Nel caso in cui dette somme riguardino l’immobile a disposizione della moglie e dei figli, la deducibilità è limitata alla metà delle spese sostenute».
Tale disciplina è prevista espressamente per i casi di separazione o divorzio, ma nulla è disciplinato per l’ex convivente more uxorio.
Al riguardo, si evidenzia che la legge 20 maggio 2016, n. 76, recante la « Regolamentazione delle unioni civili tra le persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze» (c.d. legge Cirinnà), pur non avendo equiparato le convivenze di fatto alle unioni basate sul matrimonio, ha attribuito una specifica rilevanza giuridica a tale formazione sociale, stabilendo, in particolare, all’articolo 1, comma 65, che «In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente (..) gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento».
La medesima legge, all’articolo 1, comma 20, equipara al vincolo giuridico derivante dal matrimonio quello prodotto dalle unioni civili, stabilendo che – fatte salve le previsioni del codice civile non richiamate espressamente e quelle della legge sull’adozione (L. n. 184 del 1983) – «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
Analoga equiparazione non è, invece, disposta per le convivenze di fatto, costituite, ai sensi dell’articolo 1, commi 36 e 37, della citata legge n. 76 del 2016, tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso
Comune. Ai fini dell’accertamento della “stabile convivenza” viene richiamato il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico (d.P.R. n. 223 del 1989).
Ciò posto, si evidenzia che la disciplina contenuta nell’articolo 10, comma 1, lettera c), del TUIR, avendo natura agevolativa, e quindi eccezionale, non può applicarsi in via analogica a casi diversi da quelli espressamente contemplati dalla norma.
Ne consegue, che nel caso prospettato l’Istante non può dedurre dal proprio reddito complessivo l’importo del contributo erogato alla ex convivente per il pagamento del canone di locazione.
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