AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 27 settembre 2021, n. 626
Trattamento fiscale del reddito di lavoro dipendente percepito da un soggetto non residente che, a causa dell’emergenza epidemiologica, svolge l’attività lavorativa in Italia, in smart working, invece che nel Paese estero – articoli 49 e 51 del TUIR
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Istante, cittadina italiana iscritta all’AIRE e dipendente di una società lussemburghese, dichiara di aver svolto la propria attività lavorativa in Italia da marzo 2020 ad oggi, lavorando in smart working a causa della pandemia conseguente al Covid.
Ciò posto, l’Istante chiede chiarimenti in merito al regime fiscale applicabile al reddito di lavoro dipendente percepito nell’anno d’imposta 2020.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene che il reddito prodotto nell’annualità 2020 deve essere tassato in Lussemburgo, non avendo alcun rilievo il luogo nel quale la prestazione lavorativa è stata svolta.
Di conseguenza, a parere dell’Istante, se una persona fisica residente fiscalmente all’estero è stata costretta a prolungare il periodo di soggiorno in Italia a causa della circostanza straordinaria ed eccezionale della pandemia, ciò dovrebbe essere tenuto in considerazione al fine di stabilire il Paese in cui il reddito assume rilevanza fiscale.
Pertanto, l’Istante ritiene che il reddito percepito non debba essere assoggettato a tassazione in Italia.
Parere dell’Agenzia delle entrate
In via preliminare, si fa presente che l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale di un soggetto implica valutazioni di ordine fattuale non esperibili dalla Scrivente in sede di risposta alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cfr. circolare 1° aprile 2016, n. 9, paragrafo 1.1);
pertanto, la seguente risposta si basa sui fatti e sui dati così come prospettati nell’istanza di interpello, fermo restando, in capo al competente Ufficio finanziario, l’ordinario potere di verifica e di accertamento nei confronti dell’Istante.
Ciò posto, la scrivente fornisce i chiarimenti richiesti nel presupposto (qui assunto acriticamente) di una residenza fiscale in Lussemburgo dell’Istante nel 2020 poiché questa è la fattispecie rappresentata.
Ai fini dell’assoggettamento ad imposizione in Italia dei redditi in esame, l’articolo 3, comma 1, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), prevede che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.
Si rileva, inoltre, che l’articolo 23, comma 1, lettera c), del Tuir stabilisce che si considerano prodotti in Italia «i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato».
Tale disposizione non trova applicazione qualora il nostro Paese abbia stipulato, con lo Stato di residenza del lavoratore, una convenzione per evitare le doppie imposizioni che riconosca a quest’ultimo Stato la potestà impositiva esclusiva sul reddito di lavoro dipendente prestato in Italia.
Con riferimento al caso in esame, occorre far riferimento alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni tra l’Italia e il Granducato di Lussemburgo, stipulata a Lussemburgo il 3 giugno 1981 e ratificata con legge 14 agosto 1982, n. 747 (di seguito Convenzione).
In particolare, l’articolo 15 della citata Convenzione prevede, al paragrafo 1, che «i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato».
In sostanza, nella disposizione convenzionale sopra richiamata è prevista la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario, a meno che l’attività lavorativa, a fronte della quale sono corrisposti i redditi, sia svolta nell’altro Stato contraente: ipotesi in cui i predetti emolumenti sono assoggettati a imposizione concorrente in entrambi i Paesi.
Il paragrafo 2 del medesimo articolo 15, prevede, peraltro, la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche per i redditi erogati in corrispettivo di un’attività di lavoro subordinato svolta nell’altro Stato sempreché ricorrano congiuntamente le seguenti tre condizioni: «a) il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso di un qualsiasi anno fiscale; e b) le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato; e c) l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato».
Ai fini della individuazione della puntuale disposizione applicabile al caso di specie, assume un ruolo dirimente precisare che cosa si intenda per “luogo di prestazione” dell’attività lavorativa, nella particolare ipotesi di svolgimento della prestazione medesima nella modalità del telelavoro. Al riguardo, un utile riferimento interpretativo è fornito dal commentario all’articolo 15, paragrafo 1, del modello OCSE di convenzione per eliminare le doppie imposizioni, secondo il quale per individuare lo Stato contraente in cui si considera effettivamente svolta la prestazione lavorativa bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. Si aggiunge che il reddito percepito dal lavoratore dipendente non può essere assoggettato a imposizione nell’altro Stato contraente, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato.
Pertanto, in base al combinato disposto dell’articolo 15 della citata Convenzione e dell’articolo 23 del Tuir, si ritiene che il reddito percepito dall’Istante e residente in Lussemburgo (circostanza qui assunta acriticamente), per l’attività di lavoro dipendente svolta in Italia nel 2020, rilevi fiscalmente anche nel nostro Paese, ai sensi degli articoli 49 e 51, commi da 1 a 8, del Tuir.
Pe completezza si evidenzia che nella fattispecie rappresentata dall’Istante non può trovare applicazione il disposto del paragrafo 2 del citato articolo 15 non sussistendo il requisito di cui alla lettera a), in quanto l’Istante ha dichiarato di aver soggiornato in Italia per più di 183 giorni nel periodo di riferimento.
La conseguente doppia imposizione sarà risolta, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della Convenzione, attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte del Lussemburgo, Stato di residenza del lavoratore dipendente.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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