AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 425 del 8 settembre 2023
Trattamento fiscale delle indennità aggiuntive di fine servizio erogate da un Fondo di previdenza alimentato in gran parte da premi di produttività o incentivi all’attività d’istituto
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
Il Fondo di previdenza istante (di seguito anche ”Istante” o ”Ente”) è un ente di diritto pubblico, istituito con decreto del Presidente della Repubblica 17 marzo 1981, n. 211, a seguito della fusione di più fondi preesistenti, al quale vengono iscritti di diritto i dipendenti civili di ruolo e non di ruolo dell’Amministrazione.
L’Ente, sulla base di quanto previsto dagli articoli 4 e 6 del proprio regolamento, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1984, n. 1034, corrisponde, tra l’altro, agli iscritti un’indennità correlata alla cessazione del rapporto di lavoro con l’Amministrazione.
Con riferimento al trattamento fiscale applicabile in sede di liquidazione delle suddette indennità aggiuntive di fine servizio, in qualità di sostituto d’imposta, l’Istante ha finora osservato i criteri di tassazione individuati per tale tipologia di indennità nella circolare del Ministero delle Finanze Imposte Dirette 5 febbraio 1986, n. 2, successivamente alla stessa confermati nella risposta resa all’interpello n. 954383/2008 (prot. n.131413 del 18 settembre 2008).
In tali documenti è stato evidenziato che, nell’ambito del settore pubblico, i trattamenti collegati alla cessazione del rapporto di lavoro possono essere costituiti da indennità equipollenti al TFR (indennità di buonuscita, indennità di fine servizio), assoggettabili al trattamento fiscale di cui al combinato disposto dell’articolo 17 e dell’articolo 19, comma 2bis, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) e da ”altre indennità e somme”, alle quali va invece riservato il trattamento di cui agli articoli 17 e 19, comma 2.
L’Istante sottolinea che la citata circolare n. 2 del 1986 ha ricondotto gli emolumenti erogati da Fondi o Casse di previdenza a titolo di trattamento aggiuntivo di fine rapporto (ragguagliato agli anni di effettivo servizio prestato presso l’Amministrazione che eroga il trattamento) alle ”altre indennità e somme”, di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), del Tuir. Per tale motivo nella richiamata risposta all’interpello del 2008 è stato evidenziato che anche l’indennità di fine servizio erogata dall’Ente rientrava nell’ambito delle ”altre indennità e somme”, costituendo un’indennità integrativa di quella principale (indennità di buonuscita), che invece viene corrisposta dall’INPDAP (ora INPS) e conseguentemente si applicava il criterio di tassazione dettato dall’attuale formulazione dell’articolo 19, comma 2, del Tuir.
L’Ente sottolinea che con riferimento a tale criterio di tassazione si è tuttavia registrato nel corso del tempo il contrario avviso della Corte di Cassazione, che in numerose pronunce ha ricondotto tali erogazioni alle ”indennità equipollenti” determinate ai sensi dell’articolo 19, comma 2bis, del Tuir, riconoscendo agli iscritti cessati dal servizio il diritto al rimborso delle ritenute IRPEF operate in eccesso.
L’Istante evidenzia che, a fronte della delineata evoluzione giurisprudenziale, si è pertanto registrato un progressivo incremento delle istanze di rimborso delle ritenute IRPEF subite in sede di liquidazione dell’indennità di buonuscita aggiuntiva.
In un primo momento dette istanze erano dirette ad ottenere l’integrale rimborso delle ritenute, a motivo della pretesa formazione delle indennità di cui trattasi esclusivamente con le contribuzioni dei dipendenti. In un secondo momento, preso atto del più recente orientamento della Suprema Corte ed essendo ormai incontestato che le suddette indennità debbano assoggettarsi a tassazione, sia pure separata e non integrale, sono state presentate istanze di rimborso solo parziale delle ritenute subite, dell’importo corrispondente alla differenza tra l’importo liquidato ai sensi dell’articolo 19, comma 2, del Tuir (a titolo di ”altre indennità”) e quello applicabile ai sensi del successivo comma 2bis (a titolo di ”indennità equipollenti”).
Sulla base di tali premesse, anche al fine di contenere il rilevante contenzioso che si è generato in materia, l’Istante chiede di conoscere quale sia il corretto criterio di tassazione da applicare in sede di liquidazione dell’indennità aggiuntiva di fine servizio e di chiarire, in particolare, se alla luce della richiamata evoluzione giurisprudenziale possano intendersi superate le indicazioni a suo tempo fornite dall’Amministrazione finanziaria.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Tenuto conto del consolidato orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, l’Istante ritiene opportuno applicare, all’atto della liquidazione delle indennità aggiuntive ai dipendenti cessati dal servizio, il criterio di tassazione di cui all’articolo 19, comma 2bis del Tuir, determinando la base imponibile dell’indennità previa decurtazione solo dell’importo di euro 309,87 per ciascun anno preso a base di commisurazione.
L’Ente ritiene inapplicabile, invece, l’ultimo periodo della citata disposizione, stante l’assenza di contribuzione da parte degli iscritti. Pertanto, ritiene di non dover detrarre dalla base imponibile «una somma pari alla percentuale di tali indennità corrispondente al rapporto, alla data del collocamento a riposo o alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, fra l’aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati e l’aliquota complessiva del contributo stesso versato all’ente, cassa o fondo di previdenza».
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Il comma 1 dell’articolo 17 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) individua i redditi che, in considerazione della loro tendenziale formazione pluriennale, non concorrono alla formazione del reddito complessivo cui si applica la tassazione ordinaria e che sono invece assoggettati al regime di tassazione separata.
In particolare, il comma 1 del citato articolo, come modificato dal decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, dispone che «L’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi:
a) trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente, compresi quelli contemplati alle lettere a), d) e g) del comma 1 dell’art. 50, anche nelle ipotesi di cui all’art. 2122 del codice civile; altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l’indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell’obbligo di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 del codice civile nonché le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro».
Per quanto concerne i criteri di determinazione dell’imposta per il trattamento di fine rapporto, il successivo articolo 19 specifica che:
«1. Il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. L’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici. Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti.
1bis. Omissis
1ter. Omissis
2. Le altre indennità e somme indicate alla lettera a) del comma 1 dell’art. 17, anche se commisurate alla durata del rapporto di lavoro e anche se corrisposte da soggetti diversi dal datore di lavoro, sono imponibili per il loro ammontare complessivo, al netto dei contributi obbligatori dovuti per legge, con l’aliquota determinata agli effetti del comma 1. Tali indennità e somme, se corrisposte a titolo definitivo e in relazione ad un presupposto non connesso alla cessazione del rapporto di lavoro che ha generato il trattamento di fine rapporto, sono imponibili per il loro ammontare netto con l’aliquota determinata con i criteri di cui al comma 1.
2bis. Le indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente di cui alla lettera a), del comma 1, dell’articolo 17, sono imponibili per un importo che si determina riducendo il loro ammontare netto di una somma pari a L. 600.000 [ndr. euro 309,87] per ciascun anno preso a base di commisurazione, con esclusione dei periodi di anzianità convenzionale; per i periodi inferiori all’anno la riduzione è rapportata a mese. Se il rapporto si svolge per un numero di ore inferiore a quello ordinario previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro, la somma è proporzionalmente ridotta. L’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare netto, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici. L’ammontare netto delle indennità, alla cui formazione concorrono contributi previdenziali posti a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati, è computato previa detrazione di una somma pari alla percentuale di tali indennità corrispondente al rapporto, alla data del collocamento a riposo o alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, fra l’aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati e l’aliquota complessiva del contributo stesso versato all’ente, cassa o fondo di previdenza.».
Al riguardo, si evidenzia che, con diversi documenti di prassi, l’Amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti in merito alle prestazioni erogate al momento della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, la citata circolare n. 2 del 1986 (parte prima) ha chiarito che le «indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente» sono quelle spettanti ai pubblici dipendenti e, in specie, stante la codificata equipollenza, ovvero equivalenza con il TFR, quelle corrisposte in ogni caso in cui venga a cessare il rapporto di pubblico impiego o l’appartenenza ad una generale categoria di detto settore (ad es. l’indennità di buonuscita).
Il documento di prassi ha specificato che, ove il dipendente abbia diritto a più indennità, il carattere di indennità ”equipollente” non potrà che essere assegnato a quella ”principale”, spettante per il rapporto di pubblico impiego che lega il beneficiario all’ente o organismo di appartenenza.
Più precisamente, la circolare ha precisato che «Non è, infatti, ipotizzabile che, in presenza di una pluralità di indennità, tutte siano qualificabili come ”equipollenti” al T.F.R.. Poiché, infatti, questo è unico per tutti i lavoratori subordinati diversi dai pubblici dipendenti, analoga valutazione va fatta anche con riguardo ai pubblici dipendenti, privilegiando l’indennità che presenta i caratteri sopra descritti, ai fini della sua assimilazione al T.F.R.».
Per quanto attiene alle «altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti», la medesima circolare n. 2 del 1986 (parte terza) ha chiarito come, in linea di principio, si tratti di emolumenti sia del comparto privato che di quello pubblico erogati in connessione al verificarsi della cessazione del rapporto di lavoro, comprese le indennità commisurate alla durata del rapporto stesso e che sono corrisposte anche da soggetti diversi dal datore di lavoro vero e proprio.
Il citato documento di prassi ha affermato che «per il settore pubblico, ove normalmente non sono previste indennità, premi ed erogazioni aggiuntive dell’indennità di fine rapporto spettante in via principale, le ”altre indennità e somme” si compendiano essenzialmente negli emolumenti erogati da Fondi o Casse di Previdenza che, per ciascuna categoria di pubblici dipendenti, di solito corrispondono un trattamento aggiuntivo di fine rapporto, ragguagliato per lo più agli anni di effettivo servizio prestato presso l’Amministrazione che eroga il trattamento. È, al riguardo, irrilevante che gli emolumenti siano erogati da un Ente o Cassa dotati o meno di personalità giuridica propria, e che l’adesione del pubblico dipendente all’Ente o alla Cassa derivi da iscrizione automatica (ope legis) ovvero volontaria».
Ciò posto, come evidenziato dall’Istante, in linea con la suddetta interpretazione, nella risposta all’istanza di interpello presentata nel 2008 dall’Istante, si è ritenuto che la ”indennità” di cui trattasi rientrasse nell’ambito di dette ”altre indennità somme”, costituendo un’indennità integrativa di quella principale (indennità di buonuscita) corrisposta dall’Inps.
Deve essere rilevato, tuttavia, che nel corso degli anni è stata fatta valere in giudizio da numerosi contribuenti una tesi contraria a tale orientamento, sulla base della quale le somme erogate dall’Ente sarebbero, invece, assimilabili alle ”indennità equipollenti” al trattamento di fine rapporto ed assoggettate a tassazione separata in base al combinato disposto di cui agli articoli 17, comma 1, lettera a), e 19, comma 2bis, del Tuir.
La Corte di cassazione è intervenuta, con numerose pronunce, affermando che l’indennità in parola è qualificabile come ”equipollente” al TFR.
Tenuto conto che l’indirizzo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, si pone in contrasto con la prassi dell’Amministrazione finanziaria, la Scrivente ha formulato sulla questione una richiesta di parere all’Avvocatura Generale dello Stato che, con nota prot. n. 168969/2023, ha in primo luogo ricordato che l’Ente, oltre a corrispondere in favore dei propri iscritti prestazioni assistenziali (sovvenzioni per malattia, anticipazioni, ecc.), eroga in favore dei medesimi quando cessano di far parte dell’Amministrazione per qualsiasi causa (ovvero in favore degli aventi diritto, se gli iscritti sono deceduti durante il servizio), un’indennità, ragguagliata agli anni di servizio civile di ruolo e non di ruolo prestato, ivi compresi i periodi di assenza valutabili ai fini della pensione, in base a quanto previsto dagli articoli 4 e 6 del regolamento.
L’Organo legale sottolinea, quindi, che per espressa previsione normativa, la natura giuridica dell’Ente in questione è di ”fondo di previdenza”, alimentato in massima parte da premi di produttività o incentivi all’attività d’istituto (l’articolo 2 del citato d.P.R. n. 1034 del 1984 fa riferimento ai proventi dei beni confiscati, delle sanzioni pecuniarie, alle percentuali delle vincite del gioco del lotto, oltre ad altre indennità perequative pensionabili, utili anche ai fini dell’indennità di buonuscita).
L’Avvocatura rileva che sulla base delle ultime pronunce della Suprema Corte (ordinanze 10/09/2020, n. 18715, 15/11/2021, n. 34231, 10/09/2020, n. 18715, 17/01/2020, n. 917) la posizione consolidata della Corte di cassazione può sintetizzarsi nelle seguenti affermazioni:
«l’indennità erogata al dipendente, all’atto della cessazione dal servizio, dal Fondo di previdenza (…) ha funzione previdenziale ed è assimilabile all’indennità equipollente di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, rappresentando una forma di retribuzione differita con applicazione di tassazione separata e non integrale, essendo la composizione del fondo costituito in massima parte da premi di produttività o da incentivi da parte dell’istituto (cfr. sez. V, n. 19859 del 2016 e n. 25396 del 2017, richiamate da n. 5330 del 2019);
va applicata la tassazione (separata) prevista dal T.U.I.R. art. 17 escludendosi che trattasi di contributi diretti a carico del dipendente e da questi interamente versati al fondo previdenziale, ed esclusi, tout court, dalla tassazione».
Ai fini della determinazione della base imponibile, l’Avvocatura Generale dello Stato conclude che «il fondo ha natura composita, ma non riviene direttamente da contributi versati dai lavoratori, e dunque non va applicato il criterio di riduzione del calcolo dell’imponibile previsto dall’art. 19, comma 2bis, ultimo periodo, del T.U.I.R., (stante, per l’appunto, l’assenza di quote contributive a carico del dipendente) mentre va riconosciuta la deduzione forfettaria di cui al primo periodo del citato art. 19, comma 2bis del T.U.I.R.».
Pertanto, sulla base di quanto sopra rappresentato, si ritiene che l’indennità erogata dall’Ente ai dipendenti al momento della cessazione dal servizio debba essere assoggettata a tassazione separata, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a), del Tuir, e sia imponibile, ai sensi dell’articolo 19, comma 2bis, del Tuir, per un importo che si determina riducendo l’ammontare netto di una somma pari a euro 309,87 per ciascun anno di servizio, senza tener conto dell’ulteriore riduzione prevista dall’ultimo periodo della citata disposizione in quanto non è previsto il versamento di contributi a carico dei dipendenti.
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