Agenzia delle Entrate – Risposta n. 231 del 28 aprile 2022
Trattamento IVA – Servizio di mensa aziendale e servizio sostitutivo di mensa aziendale reso a mezzo dei buoni pasto
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
La società ALFA (d’ora in poi anche solo la “Società” o l'”Istante”) opera nel settore della ristorazione collettiva che gestisce, fra l’altro, mense aziendali e interaziendali.
La Società fa presente che, di regola, per il servizio di gestione della mensa aziendale e/o interaziendale, i datori di lavoro stipulano un contratto o una convenzione direttamente con la società Istante. Il servizio di mensa viene erogato nei locali messi a disposizione dallo stesso datore di lavoro o, in caso di mensa interaziendale, dalla Società medesima, ed è strettamente riservato al personale dipendente del datore di lavoro committente, ovvero di eventuali suoi ospiti.
Nel contratto, le parti disciplinano dettagliatamente le modalità di erogazione del servizio di mensa stabilendo, di comune accordo, i menù dei pasti nonché i prezzi dei medesimi. Viene, inoltre, previsto che la Società istante si obblighi ad accettare in pagamento, oltre al denaro contante, anche i buoni pasto per i quali il datore di lavoro ha concluso, con la società emettitrice un’apposita convenzione. In particolare, la Società si obbliga ad accettare i buoni pasto emessi dalle società emettitrici con le quali il datore di lavoro ha concluso una separata convenzione.
Più precisamente, la prestazione del servizio di mensa aziendale sopra descritto si articola in una serie di rapporti, che di seguito si descrivono.
- Il primo rapporto, come sopra accennato, coinvolge il datore di lavoro e la società ALFA, gestrice del servizio di mensa aziendale e/o interaziendale. Tali soggetti concludono un contratto per la gestione del servizio di mensa con il quale concordano dettagliatamente i menù dei pasti che verranno erogati ai lavoratori dipendenti, nonché i prezzi dei medesimi. Con tale contratto, inoltre, la Società si obbliga ad accettare in pagamento anche i buoni pasto per i quali il datore di lavoro ha concluso apposite convenzioni con le società emettitrici dei buoni pasto.
- Il secondo rapporto è quello che si instaura, parallelamente al primo, fra il datore di lavoro e le società emittente i buoni pasto. Il contratto sottoscritto tra il datore di lavoro e la società emettitrice, riguarda l’emissione a favore dei dipendenti (ovvero a categorie specificamente individuate di dipendenti) di buoni pasto spendibili presso una rete di locali convenzionati, fra cui anche la mensa aziendale gestita dalla Società Istante, in virtù del “terzo rapporto” di seguito rappresentato.
- Il terzo rapporto vede coinvolte le società emittenti i buoni pasto, e la società ALFA, gestrice delle mense aziendali. In ossequio agli obblighi contrattuali assunti nei confronti del datore di lavoro (in virtù del “primo rapporto” analizzato subito sopra), la Società sottoscrive una convenzione con la società emittente per il ritiro dei buoni pasto presso la propria mensa La Società, periodicamente, consuntiva, rendicontando analiticamente i singoli buoni utilizzati, provvede a fatturare la somministrazione di alimenti e bevande effettuata in favore dei dipendenti nei locali della mensa aziendale, direttamente alla società emittente i buoni pasto.
- Il quarto rapporto, fra mensa aziendale e lavoratore dipendente, il quale ultimo può scegliere se pagare il pranzo tanto in contanti (ovvero con altri mezzi di pagamento elettronici), quanto mediante l’utilizzo dei buoni pasto ovvero con una combinazione delle due modalità.
In particolare, il suddetto quarto rapporto, ad avviso dell’Istante, non è ancora stato compiutamente analizzato nei vari documenti di prassi che nel tempo si sono susseguiti. Tale rapporto pone, ad avviso dell’Istante, delle difficoltà applicative dal punto di vista dei profili fiscali del servizio anche sostitutivo di mensa aziendale, reso a mezzo di buoni pasto, rispetto al quale si chiedono chiarimenti anche alla luce delle precisazioni rese nell’ultima risoluzione sull’argomento, la n. 75/E/2020.
Più precisamente, infatti, l’Istante evidenzia che è facoltà del lavoratore utilizzare il buono pasto ovvero altre modalità di pagamento (denaro contante, moneta elettronica, etc.) per saldare le proprie consumazioni all’interno dei locali della mensa aziendale.
Possono, quindi, verificarsi una molteplicità di ipotesi, quali:
- il lavoratore dipendente paga l’intero pasto (selezionando uno dei menù offerti dalla mensa aziendale) in denaro contante ovvero con altri mezzi di pagamento equivalenti (moneta elettronica, );
- il lavoratore dipendente paga l’intero pasto (come sopra identificato) mediante buoni pasto;
- il lavoratore dipendente paga il pasto (come sopra identificato,) per parte in contanti e per parte in buoni In questo specifico caso possono aversi due ulteriori sub-ipotesi:
c1. la parte preponderante del pasto viene pagata in contanti e la restante parte in buoni pasto;
c2. la parte preponderante del pasto viene pagata in buoni pasto e la restante parte in contanti.
Posto quanto sopra, l’Istante lamenta che per gestire le ipotesi sub a) e b), seguendo quanto precisato dalla risoluzione n. 75/E/2020, la società che gestisce la mensa aziendale dovrà necessariamente introdurre ed applicare nei confronti dei lavoratori, due differenti listini prezzi, uno nel quale vengono riepilogati i prezzi che includono l’IVA al 10%, determinati per i pasti dei lavoratori che pagheranno in buoni pasto; un altro nel quale vengono riepilogati i prezzi che includono l’IVA al 4% per i pasti dei lavoratori che pagheranno in contati (o altri strumenti equivalenti come la moneta elettronica). Solo applicando due differenti listini di prezzi, infatti, la società di ristorazione che gestisce la mensa aziendale può vedersi riconosciuti gli imponibili delle prestazioni concordati con il datore di lavoro.
La Società Istante chiede, pertanto, chiarimenti sulle corrette modalità applicative dei principi di diritto espressi nella risoluzione n. 75/E/2020 con particolare riferimento alla fattispecie di cui alla lettera c.
Più precisamente, chiede di sapere come applicare correttamente l’imposta sul valore aggiunto nei casi in cui i lavoratori dipendenti paghino il pasto della mensa in parte in contanti ed in parte con i buoni pasto.
L’Istante chiede altresì se, posto che il servizio viene in ogni caso reso a lavoratori dipendenti in locali specificamente adibiti a mensa aziendale, permanga anche in questi casi l’esenzione dalla memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi ai sensi dei decreti MEF del 10 maggio 2019 e del 24 dicembre 2019.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
La Società ritiene, in prima battuta, che la soluzione interpretativa sarebbe quella di applicare all’intera somministrazione di alimenti e bevande all’interno della mensa, pagata per parte in denaro e per parte in buoni pasto (a prescindere dall’importo regolato con i due differenti mezzi di pagamento) l’aliquota IVA del 10%, con il meccanismo dello scorporo. Ritiene, inoltre, che permanga anche in questi casi la sopra citata esenzione dalla memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi ai sensi dei decreti MEF del 10 maggio 2019 e del 24 dicembre 2019.
Una seconda soluzione interpretativa, alternativa alla prima, che potrebbe maggiormente tutelare i diritti del lavoratore/consumatore poggia sul concetto di “accessorietà delle prestazioni ai fini IVA”, di cui all’art. 12 DPR n. 633/1972, come più volte interpretato dalla Corte di Giustizia UE e recepito da codesta spettabile Agenzia, facendo prevalere, per la singola somministrazione considerata nel suo complesso (quindi per ogni singolo pasto consumato dal dipendente), la disciplina IVA (e quindi l’aliquota applicabile) della prestazione principale. In ragione di ciò, la soluzione prospettata comporterebbe l’applicazione dell’aliquota IVA del 4%, tipica delle somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali (o interaziendali), nel caso in cui la parte preponderante della somministrazione venga regolata in denaro. Nel caso opposto, in cui la prestazione venga regolata per la maggior parte con buoni pasto, la disciplina iva applicabile sarà, invece, quella dei “servizi sostitutivi di mensa” con applicazione dell’aliquota IVA al 10%, secondo i criteri indicati da codesta spettabile amministrazione, nella citata risoluzione 75/E/2020.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Con l’istanza di interpello in esame, la Società chiede chiarimenti in merito al trattamento ai fini IVA relativo al rapporto fra mensa aziendale e lavoratore dipendente (punto n. 4 delle premesse), anche alla luce dei principi dettati nella risoluzione 75/E del 1 dicembre 2020, con particolare riferimento al caso in cui il pasto della mensa sia pagato dal lavoratore in parte in contanti ed in parte con i buoni pasto.
Preliminarmente, si segnala che il trattamento IVA del servizio di mensa aziendale ovvero del servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto è stato oggetto di approfondimenti e chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria in numerosi documenti di prassi (cfr. ex multis: circolare del 16 aprile 1992 n. 30, circolare del 10 agosto 1994, n. 150, paragrafo 3.2; risoluzione del 17 maggio 2005 n. 63/E; risoluzione del 1 dicembre 2020, n. 75/E).
Ai fini della soluzione del quesito prospettato, giova richiamare la risoluzione n. 63/E del 17 maggio 2005, in cui, con riferimento al trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA dei servizi sostitutivi di mense aziendali, è stato precisato che “Nel quadro della disciplina del reddito di lavoro dipendente, la somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti, da parte dei datori di lavoro, ovvero l’erogazione agli stessi di somme finalizzate all’acquisto di pasti, è regolata dall’articolo 51 (già 48), comma 2, lett. c), del TUIR, che prende in considerazione distinte ipotesi, e precisamente:
- gestione diretta di una mensa da parte del datore di lavoro;
- prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (Ticket restaurant);
- corresponsione di una somma a titolo di indennità sostitutiva di mensa.
Prescindendo dalla ipotesi sub c) che non interessa il caso di specie, occorre sottolineare come la collocazione di una fattispecie di somministrazione in una delle due residue categorie – a) o b) – sia di estrema importanza in considerazione del fatto che a ciascuna di esse corrisponde un differente trattamento tributario.”
Va, inoltre, precisato che il legislatore non ha dettato regole particolari in merito alle diverse opzioni disponibili sull’organizzazione dell’erogazione dei pasti ai dipendenti. Come evidenziato dalla circolare del 23 dicembre 1997 n. 326 “si ritiene, pertanto, che il datore di lavoro sia libero di scegliere la modalità che ritiene più facilmente adottabile in funzione delle proprie esigenze organizzative e dell’attività svolta e che possa anche prevedere più sistemi contemporaneamente. Ad esempio, può istituire il servizio di mensa per una categoria di dipendenti, il sistema dei ticket restaurant per un’altra categoria e provvedere all’erogazione di una indennità sostitutiva per un’altra ancora, oppure può istituire il servizio di mensa e nello stesso tempo corrispondere un’indennità sostitutiva o i ticket restaurant ai dipendenti che per esigenze di servizio non possono usufruire del servizio mensa”.
Ad ogni modo, a seconda della specifica tipologia di servizio prescelta dal datore di lavoro da erogare ai dipendenti, discende il relativo trattamento fiscale da applicare.
Nello specifico, il n. 37) della Tabella A, parte II, del DPR n. 633 del 1972 prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 4 per cento per le “somministrazioni di alimenti e bevande effettuate nelle mense aziendali ed interaziendali, nelle mense delle scuole di ogni ordine e grado, nonché nelle mense per indigenti anche se le somministrazioni sono eseguite sulla base di contratti di appalto o di apposite convenzioni”.
L’articolo 75, comma 3, della Legge del 30 dicembre 1991, n. 413, ha stabilito che “L’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto del 4 per cento di cui al n. 37 della parte II della tabella A, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, prevista per le somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali deve ritenersi applicabile anche se le somministrazioni stesse sono rese in dipendenza di contratti, anche di appalto, aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mensa aziendale, sempreché siano commesse da datori di lavoro. Non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alla somministrazione di alimenti e bevande da chiunque effettuata nei confronti di datori di lavoro, tranne quella effettuata nei locali dell’impresa o in locali adibiti a mensa aziendale o interaziendale”.
Con il disposto normativo contenuto nell’articolo 75, comma 3, sopra citato – di interpretazione autentica delle disposizioni di cui al n. 37 della Tabella A, allegata al DPR n. 633 del 1972 – il legislatore ha inteso, dunque, chiarire l’ambito applicativo dell’aliquota del 4 per cento prevista per le somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali, con l’intenzione di estenderlo espressamente anche alle somministrazioni effettuate in dipendenza di contratti aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mense aziendali, sempreché siano commesse da datori di lavoro.
Come chiarito con risoluzione n. 35 del 28 marzo 2001, la norma sopra citata consente l’applicazione dell’aliquota ridotta del 4 per cento a tutte le prestazioni aventi ad oggetto somministrazioni fornite al personale dipendente nei locali ivi indicati. In particolare, con il documento di prassi sopra citato si è ritenuto che il legislatore fiscale abbia voluto oggettivamente agevolare in senso ampio l’attività di somministrazione ai dipendenti, purché realizzata nel locale “mensa aziendale”. La risoluzione n. 202 del 20 giugno 2002, con riferimento ad una questione correlata a quella in disamina – in tema di esonero dall’emissione dello scontrino – ha precisato il significato da attribuire alla locuzione “mense aziendali”, intendendosi per tali quelle la cui gestione è data in appalto ad un’impresa specializzata ovvero effettuata direttamente dall’azienda, indipendentemente dal luogo in cui è situata la mensa; inoltre l’appaltatore deve assumere l’obbligo di fornire la prestazione esclusivamente ai dipendenti del soggetto appaltante.
La disciplina del servizio sostitutivo di mensa aziendale mediante l’utilizzo dei buoni pasto è contenuta, invece, nel Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 7 giugno 2017, n. 122.
Nello specifico, l’articolo 3 del citato Decreto prevede testualmente che “Il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), è erogato dai soggetti legittimati ad esercitare: (…) b) l’attività di mensa aziendale ed interaziendale“. L’articolo 4 del Decreto prevede che “(…) i buoni pasto: consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto; b) consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione (…)“. L’articolo 6, comma 1, del Decreto specifica che “Il valore facciale del buono pasto è comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto prevista per le somministrazioni al pubblico di alimenti e bevande e le cessioni di prodotti alimentari pronti per il consumo“.
Dalla disciplina sopra richiamata emerge che il buono pasto (o ticket restaurant) è un documento di legittimazione (con specifiche caratteristiche) che attribuisce al titolare il diritto di ricevere la somministrazione di alimenti e bevande per un importo pari al valore facciale del buono stesso, il cui valore nominale è comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto. Tra gli esercizi legittimati a ricevere i buoni pasto sono ricomprese, tra l’altro, le attività di somministrazioni di alimenti e bevande e le mense aziendali e interaziendali.
In tale caso, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant in favore del lavoratore. Tale prestazione di servizi consiste nell’impegno ad effettuare la somministrazione (articolo 4 del Decreto) all’atto della presentazione del buono pasto da parte del lavoratore.
Nel rapporto tra la società emittente i buoni pasto e la società che gestisce il servizio di mensa aziendale, che accetta i buoni pasto, la misura dell’aliquota applicabile sarà del 10 per cento, ai sensi del disposto di cui al n. 121) della tabella A, Parte III, del DPR n. 633 del 1972 riguardante le “somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande” (cfr. risoluzione 75/E/2020).
Considerato quanto sopra esposto, con riferimento al punto n. 4 lett. a) delle premesse, riferito al caso in cui “il lavoratore dipendente paga l’intero pasto (selezionando uno dei menù offerti dalla mensa aziendale) in denaro contante ovvero con altri mezzi di pagamento equivalenti (moneta elettronica, etc.)”, alla somministrazione di alimenti e bevande presso la mensa aziendale si applica l’aliquota agevolata del 4 per cento, ricorrendo i presupposti previsti dal n. 37 della Tabella A, parte II, del DPR n. 633 del 1972.
Nel caso di specie, infatti:
- Ricorre, come presupposto, il contratto di appalto tra la Società Istante che eroga il servizio di mensa ed il soggetto committente (datore di lavoro)
e
- sussiste l’obbligo, assunto dall’appaltatore, di fornire la prestazione ai dipendenti del soggetto
Con riferimento al caso rappresentato nella lett. b) sempre del punto n. 4 delle premesse, laddove “il lavoratore dipendente paga l’intero pasto mediante buoni pasto”, non si realizza l’esigibilità dell’IVA al momento della somministrazione del pasto, poiché, come già anticipato, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant in favore del lavoratore, soggetta all’aliquota IVA del 10 per cento.
In tale evenienza, l’imposta diventa esigibile nel momento in cui la società che gestisce la mensa emette fattura nei confronti della società emittente i buoni pasto, mentre la base imponibile va determinata applicando la percentuale di sconto convenuta al valore facciale del buono pasto, scorporando, quindi, dall’importo così ottenuto, l’imposta del 10 per cento in esso compresa, mediante l’applicazione delle percentuali di scorporo dell’IVA indicate nel comma 4 dell’art. 27 del DPR n. 633 del 1972 (cfr. risoluzione n. 49 del 3 aprile 1996 e risoluzione 75/E/2020).
Va da sé che lo scorporo delle due diverse aliquote (4 per cento o 10 per cento) va fatto sempre facendo riferimento al prezzo convenuto, sicché non è corretto, come prospettato dall’istante, ipotizzare due listini prezzi differenziati sulla base del metodo di pagamento prescelto.
Con riguardo, infine, all’ipotesi di cui al punto c), secondo cui il lavoratore dipendente paga il pasto (come sopra identificato,) “per parte in contanti e per parte in buoni pasto”, visto quanto già chiarito, ne deriva che:
- sulla quota parte del prezzo pagato in contanti o con mezzi elettronici, per cui si realizza il momento impositivo, l’aliquota IVA da scorporare sarà quella del 4 per cento;
- Sulla restante parte “pagata” mediante il buono pasto, il cui momento impositivo si realizzerà all’atto della fatturazione dei corrispettivi alla società emittente il buono pasto – perché, come detto, l’operazione che rileva ai fini IVA è la prestazione di servizi che la mensa aziendale rende nei confronti della società emittente i ticket restaurant (ossia l’impegno ad effettuare la somministrazione in favore del lavoratore) – l’aliquota IVA da scorporare sarà quella del 10%.
Posto quanto sopra, riguardo alla gestione dell’ipotesi sub c), del punto n. 4 delle premesse, relativa al caso in cui il pasto della mensa sia pagato dal lavoratore in parte in contanti ed in parte con i buoni pasto (qualora il prezzo del servizio sia superiore al valore del buono pasto), si fa presente che le soluzioni operative prospettate dall’istante si pongono in contrasto con il quadro normativo di riferimento sopra delineato, nonché con i chiarimenti forniti in materia dall’Amministrazione Finanziaria nei vari documenti di prassi.
Con riguardo, infine, agli obblighi documentali nei confronti del lavoratore, i corrispettivi percepiti per la somministrazione di alimenti e bevande rese in mense aziendali – già esentati dagli obblighi di certificazione fiscale, in base all’articolo 2, comma 1, lett. i), del d.P.R. n. 696 del 1996 – sono altresì esonerati, in base a quanto previsto dal DM del 10 maggio 2019, dall’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi, nonché dall’emissione del documento commerciale (cfr l’articolo 2 del dlgs n. 127 del 2015), qualunque sia il mezzo di pagamento. Resta, invece, l’obbligo di emissione della fattura per documentare le somme percepite dalla società emittente i buoni pasto.
Stante l’esenzione dagli obblighi certificativi, anche al fine di determinare l’IVA relativa ai corrispettivi già riscossi che deve partecipare alla liquidazione periodica, è necessario indicare separatamente nel registro dei corrispettivi di cui all’articolo 24 del dPR n. 633 del 1972:
- le somme effettivamente riscosse, in quanto pagate dal lavoratore in contanti (ovvero con altri mezzi di pagamento elettronici) – la cui imposta, calcolata applicando l’aliquota del 4 per cento, è divenuta esigibile;
- le somme non ancora riscosse, corrispondenti al valore dei buoni pasto – la cui imposta diverrà esigibile all’atto dell’emissione della fattura con aliquota al 10 per cento.
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