Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione I della sede distaccata di Salerno, sentenza n. 1911 depositata il 6 novembre 2019

N. 01911/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01240/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1240 del 2018, proposto da:
IS S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Roberto Prozzo, con domicilio digitale eletto in Giustizia, Pec Registri;

contro

Centrale Unica di Committenza non costituito in giudizio;
Comune di Montecalvo Irpino, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Perifano, con domicilio digitale eletto in Giustizia, Pec Registri;

nei confronti

N. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Ennio De Vita, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, via Piave 1;

per l’annullamento

quanto al ricorso introduttivo:

– del provvedimento di aggiudicazione in favore della N. s.r.l. (determina n. 31 del 30 giugno 2018 e n. 225 reg. gen. del 30 giugno 2018) dalla procedura di gara per l’affidamento dei lavori di costruzione di loculi ed ossari nel cimitero comunale di Montecalvo Irpino, di cui è stata data comunicazione alla ricorrente con p.e.c. del 6 luglio 2018;

– del relativo provvedimento di ammissione e/o di mancata esclusione della N. s.r.l.;

– del subprocedimento di verifica dell’offerta presentata dalla N. s.r.l., ed in particolare del giudizio di congruità dell’offerta;

– di ogni altro atto e/o provvedimento a cui siano riferibili le censure contenute nei motivi di ricorso;

nonché per l’adozione

ove necessario, in relazione agli sviluppi della controversia, dei provvedimenti di cui agli artt. 121 e ss. del codice dei contratti, e segnatamente per: (i) l’annullamento dell’eventuale contratto stipulato con la controinteressata; (ii) l’aggiudicazione o il subentro della ricorrente nella esecuzione;

quanto al ricorso incidentale:

– della determina n. 7/CCU del 30 maggio 2018 del Responsabile della Centrale di Committenza di Ariano Irpino – Montecalvo Irpino – Casalbore, nella parte cui non ha disposto l’esclusione dalla procedura di gara dell’offerta della società ricorrente;

– della citata determina del Responsabile del Servizio LL.PP. – Attività manutentive del Comune di Montecalvo Irpino n. 225 reg. gen. del 30 giugno 2018, nella parte cui non ha disposto l’esclusione dell’offerta della IS s.r.l. dalla medesima procedura;

– se ed in quanto lesivi, dei relativi verbali di gara ed, in particolare, dei verbali n. 10 del 2 maggio 2018 e n. 12 del 25 maggio 2018, nella parte in cui non hanno rilevato, nell’ambito del subprocedimento di verifica delle offerte indiziate di anomalia, la palese incongruità dell’offerta della IS s.r.l. e non ne hanno sancito l’esclusione dalla procedura di gara;

– di tutti gli altri atti presupposti consequenziali e connessi, anche non conosciuti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Montecalvo Irpino e di N. S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2019 il dott. Fabio Maffei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di Montecalvo Irpino, avvalendosi della Centrale Unica di Committenza costituita tra i Comuni di Ariano Irpino, Montecalvo Irpino e Casalbore, ha esperito la procedura selettiva per cui è causa, da aggiudicare con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, richiedendosi ai fini della partecipazione il possesso dell’attestato di qualificazione per la cat. OG1, classifica II.

La gara era stata aggiudicata alla N. Srl., essendosi quest’ultima classificata al primo posto in ragione del conseguito punteggio di 87,536, laddove l’odierna ricorrente, IS Srl, si era classificata al secondo posto.

Avverso il predetto provvedimento insorge la IS Srl articolando i seguenti motivi di gravame.

In primo luogo, ha censurato l’impugnato provvedimento poiché, raffrontando il regolamento pattizio recepito dal contratto di avvalimento, – utilizzato dalla N. Srl ai fini di dimostrare il richiesto requisito tecnico di partecipazione -, con la documentazione dalla medesima presentata nell’ambito del subprocedimento di verifica dell’offerta, emergeva il carattere fittizio del contratto dell’avvalimento. Quest’ultimo, infatti, costituiva, a suo avviso, un “mero espediente cartaceo” impiegato ai soli fini partecipativi senza effettivamente assicurare all’impresa ausiliata la possibilità di usufruire delle risorse che l’impresa ausiliaria aveva dichiarato di mettere a disposizione della prima.

L’asserita fittizietà del contratto di avvalimento, invero, era desumibile sia dalla esiguità dell’importo stabilito come corrispettivo dovuto all’impresa ausiliaria, sia dalla dichiarazione della N. Srl di voler eseguire i lavori avvalendosi della propria organizzazione aziendale con mezzi già completamente ammortizzati.

Pertanto, la disamina documentale come prospettata dalla ricorrente avrebbe dovuto indurre la commissione di giudicatrice ad adottare la sanzione espulsiva nei confronti dell’aggiudicataria stante la palese violazione dell’art. 89 d.lgs. 50/2016.

Con il secondo motivo di gravame, IS Srl ha sostenuto l’errata valutazione delle giustificazioni addotte dalla N. Srl in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta. In particolare, la N. Srl aveva offerto un ribasso del 30,33%, oltre alle lavorazioni aggiuntive per un importo complessivo pari ad € 42.711,68, con la conseguenza che il “ribasso reale” effettivamente offerto doveva essere determinato nella misura del del 37,58%. Orbene, per giustificare la sostenibilità economica di una simile offerta e, dunque, la sua congruità, in sede di giustificazione della rilevata anomalia, non solo aveva omesso di considerare fra i costi il corrispettivo dovuto per lo stipulato contratto di avvalimento, ma aveva anche ingiustificatamente ridotto l’incidenza delle spese generali.

Inoltre, sempre per conseguire la medesima finalità, aveva sottostimato sia i costi di direzione che quelli inerenti all’installazione ed allo smobilizzo del cantiere, falsamente dichiarando peraltro di aver ammortizzato interamente i costi relativi ai macchinari da impiegare nell’esecuzione delle opere.

Infine, la ricorrente deduceva il difetto di istruttoria in cui era incorsa la commissione giudicatrice, non avendo rilevato come i preventivi esibiti, nel corso del subprocedimento di verifica della rilevata anomalia, al fine giustificare la condotta analisi dei prezzi offerti, in realtà provenissero da imprese non operanti nei settori merceologici di riferimento.

Si costituiva il Comune di Montecalvo Irpino insistendo per l’integrale reiezione del proposto gravame. In particolare, sosteneva non solo la determinatezza dell’oggetto del prodotto contratto di avvalimento, ma anche l’infondatezza delle restanti censure articolate dalla ricorrente in quanto volte a contestare l’offerta dell’aggiudicatario con esclusivo riguardo alla congruità di singole voci di costo, laddove il giudizio cui era stata chiamata la commissione giudicatrice non poteva non involgere la sostenibilità dell’offerta globalmente considerata.

La controinteressata, N. Srt, costituitasi in giudizio, contestava innanzitutto la ricevibilità del gravame principale in quanto tardivamente notificato. Al riguardo, sosteneva che l’impugnazione avrebbe dovuto essere proposta avverso la determina comunale 225 del 30.06.2018 con cui la CUC aveva disposto l’aggiudicazione in suo favore. Ad analogo giudizio, poi, si sarebbe dovuto pervenire considerando il gravame proposto oltre il termine previsto dall’ art. 120 comma 2bis C.P.A.. Nel caso di specie, infatti, l’ammissione di tutte le offerte era intervenuta in data 09.02.2018 cosicché la ricorrente avrebbe dovuto proporre eventuali censure sulla presunta illegittimità del contratto di avvalimento entro il termine perentorio del 10.03.2018, o, al più, del 13.05.2018, ovverosia 30 giorni dopo la data della seduta del Seggio di Gara del 13.04.2018, cui aveva partecipato un suo rappresentante. Pertanto, doveva ritenersi irricevibile il ricorso nella parte in cui era stato rivolto a contestare l’insussistenza del requisito tecnico di partecipazione dell’aggiudicataria con riferimento alle presunte carenze del contratto di avvalimento. Deduceva, sempre in rito, l’inammissibilità del gravame non solo perché la ricorrente principale era priva di un concreto interesse all’annullamento dell’aggiudicazione, ma anche perché la stessa aveva omesso di evocare in giudizio la centrale di committenza. Nel merito, infine, contestava la fondatezza di tutte le censure proposte poiché, da un lato, l’oggetto del contratto di avvalimento era stato specificamente determinato dal convenuto regolamento pattizio e, dall’altro, la documentazione prodotta in sede di verifica dell’anomalia aveva pienamente comprovato la sostenibilità e la congruità dell’offerta presentata.

La controinteressata, poi, con atto notificato il 29 settembre 2018 e depositato il successivo 3 ottobre, spiegava gravame incidentale onde censurare la mancata esclusione dell’offerta presentata dall’IS Srl nonostante, in sede di verifica della sua anomalia, la documentazione prodotta non si fosse rivelata idonea a giustificare tutte le forniture e lavorazioni offerte, essendo stati, per alcune lavorazioni, riportati prezzi diversi (ed inferiori) rispetto a quelli indicati nell’offerta ed essendo stata, peraltro, operata un’incongrua ed esagerata contrazione dei costi della manodopera, dei mezzi e delle attrezzature.

Espletata la verificazione disposta dal Collegio, previso scambio delle memorie di cui all’art. 73 c.p.a., la causa è stata riservata in decisione.

2.- Reputa il Collegio di dover, in limine, scrutinare le eccezioni preliminari sollevate, in rito, dalla controinteressata N. Srl., in quanto rivolte a contestare la stessa ricevibilità del proposto gravame.

2.1.- Con un primo ordine di argomentazioni, la N. Srl ha contestato la tempestività e, dunque, la ricevibilità del gravame principale poiché, a suo avviso, l’IS Srl avrebbe dovuto impugnare la determina n. 7 del 30.5.2018 con cui il Responsabile della CUC aveva testualmente disposto “di procedere all’aggiudicazione, ai sensi dell’art. 32, comma 5, del D. lgs. 50/2016” e “di approvare le risultanze del Seggio di gara ….dai quali risulta aggiudicatario dei lavori di costruzione di loculi ed ossario nel cimitero comunale di Montecalvo Irpino la Ditta contraddistinta con il N. 5 N. SRL...”, precisando, altresì, “di trasmettere tutti gli atti al Rup del Comune di Montecalvo Irpino, Arch. Isidoro Fucci, per i successivi adempimenti con particolare riferimento a quanto contenuto nel medesimo art. 32, commi 6-7 e 8 (verifica dei requisiti e aggiudicazione definitiva)”

La ricorrente principale, viceversa, aveva avversato esclusivamente la determina n. 225 del 30.06.2018, adottata dal Responsabile LL.PP. del Comune di Montecalvo Irpino, al precipuo scopo di verificare il possesso dei requisiti dell’aggiudicataria e, quindi, ad attribuire mera efficacia all’aggiudicazione. In ragione di ciò, tale provvedi costituiva un atto meramente confermativo.

Tanto premesso, il Collegio non condivide i presupposti logici ed argomentativi su cui si fonda l’esposto assunto difensivo.

Al riguardo, giova premettere che sulla scorta del parere del Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione Speciale del 21 marzo 2016, numero 00855/2016 e data 01/04/2016, numero affare 00464/2016 (avente ad oggetto lo schema del nuovo codice degli appalti e dei contratti di concessione), il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 non prevede più l’atto di aggiudicazione provvisoria (cfr., in particolare, gli artt. 11, comma 4 e 5, e 12, comma 1, del previgente decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) ed il provvedimento di aggiudicazione definitiva (cfr., in particolare, gli artt. 11, comma 5, 7 e 8 del citato decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), ma ai sensi degli art. 32, comma 5, e 33, comma 1, disciplina la proposta di aggiudicazione ed il provvedimento conclusivo di aggiudicazione. Si stabilisce, inoltre, che la stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione ai sensi dell’art. 33, comma 1, provvede all’aggiudicazione (art. 32, comma 5); l’art. 32, comma 7, del medesimo testo normativo prevede che “l’aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti” (confermando quanto già statuito dal previgente art. 11, comma 8, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).

Sul versante processuale, non appare un fuor d’opera rammentare che la giurisprudenza formatasi sui dati normativi ante-vigenti costantemente affermava che nelle gare pubbliche il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, essendo atto procedimentale non definitivo, non obbligava colui che se ne fosse ritenuto leso ad impugnarlo, ben potendo la parte avvalersi della facoltà d’insorgere avverso gli atti della procedura già a partire dall’aggiudicazione provvisoria salva, poi, a pena d’improcedibilità, la necessità di una distinta impugnativa avverso l’aggiudicazione definitiva eventualmente mediante lo strumento dei motivi aggiunti (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 29 febbraio 2016, n. 854; Cons. Stato, sez. III, 13 maggio 2015, n. 2400).

Il legislatore del 2016 ha, viceversa, stabilito al medesimo art. 120, comma 2-bis, ultimo periodo, c.p.a. l’inammissibilità dell’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività.

Orbene, alla luce delle argomentazioni sopra svolte, l’eccezione preliminare di irricevibilità del ricorso non può che essere respinta, risultando incoerente con la piana disciplina legislativa l’assunto della controinteressata secondo cui l’approvazione della proposta di aggiudicazione (determinazione dirigenziale n. 7 del 30.5.2018) costituirebbe il (vero) provvedimento di “aggiudicazione” e che, dunque, la tempestiva impugnazione della determina dirigenziale n. 225 del 30.6.2018 da parte della ricorrente sarebbe irrilevante per compiuta scadenza del termine di impugnazione: una siffatta prospettazione è fondata sull’assunto che mediante quest’ultima determinazione il responsabile del competente settore del Comune si sarebbe “limitato a prendere atto dell’aggiudicazione disposta con la citata determinazione n. 7/2018”.

Tale tesi è, tuttavia, ad avviso del Collegio infondata per almeno due ragioni.

In primo luogo, la proposta di aggiudicazione (che – a seguire il ragionamento proposto dalla resistente – sarebbe sostanziata dal verbale della commissione giudicatrice) altro non è che la (ridefinita) aggiudicazione provvisoria, la cui disciplina è oggi regolata dall’art. 33 del codice dei contratti; non si tratta affatto di un provvedimento definitivo, come si evince, del resto, dalla disciplina di cui all’120, comma 2 bis, ultima parte, c.p.a., in cui è previsto espressamente l’ inammissibilità dell’impugnazione avverso la proposta di aggiudicazione, così recependosi gli orientamenti della giustizia amministrativa formatisi sul punto.

La sostanza del discorso non cambia neppure in ragione dell’intervenuta approvazione da parte del responsabile della centrale di committenza, tanto è vero che quest’ultimo, nel dispositivo della determinazione dirigenziale n. 7/2018, ha stabilito di trasmettere la determinazione al funzionario incaricato affinché potesse tempestivamente dare seguito a tutte le attività conseguenti di verifica dei requisiti, di aggiudicazione definitiva e di stipulazione del contratto di appalto.

In altri termini, l’approvazione della proposta di aggiudicazione ha, nella specie, integrato una ratifica del corretto operato della commissione di gara.

Tale organo, come ha statuito la giurisprudenza, svolge compiti di natura prettamente tecnica in funzione “preparatoria”, finalizzati all’individuazione del miglior contraente. Spetta, viceversa, alla stazione appaltante – mediante gli organi a ciò deputati – approvarne l’operato, ovverosia verificarne la correttezza, tenuto conto che “sino al momento dell’aggiudicazione definitiva la stazione appaltante può sempre riesaminare il procedimento di gara al fine di emendarlo da eventuali errori commessi o da illegittimità verificatesi, senza che ciò costituisca manifestazione, in senso tecnico, del potere di autotutela, il quale, avendo natura di atto di secondo grado, presuppone esaurita la precedente fase procedimentale con l’intervenuta adozione del provvedimento conclusivo della stessa (Cons. Stato, V, 3 luglio 2017, n. 3248)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 11 ottobre 2018, n. 6853).

È, pertanto, abnorme la valorizzazione – al punto da profilare una preclusione processuale – di una fase (meramente) procedimentale che si è conclusa soltanto nel momento in cui il responsabile del settore, con determinazione n. 225/2018 (ritualmente impugnata), ha disposto – formalmente e sostanzialmente – l’aggiudicazione in favore della N. Srl.

Una diacronìa perfettamente coerente con la disciplina di cui all’art. 32, comma 5 del codice dei contratti, secondo cui “la stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 33, comma 1, provvede all’aggiudicazione“; quest’ultima si invera in un provvedimento “nominato” dal legislatore e presuppone, da parte del dirigente responsabile, l’assolvimento dell’obbligo di esplicitare in modo chiaro e incontrovertibile la volontà di aggiudicare l’appalto in via definitiva. Si tratta, dunque, di una manifestazione del potere dispositivo che non può ammettere equipollenti basati su interpretazioni o finzioni di diritto che avrebbero quale unico effetto quello di minare – tanto più se poste, come nel presente giudizio, a fondamento dell’eccezione preliminare di irricevibilità del ricorso – il principio della certezza delle situazioni giuridiche.

L’inaccoglibilità dell’argomentazione articolata a sostegno dell’opposta eccezione muove, dunque, dall’infondatezza di due prospettazioni semplificatorie: la prima che la “previa” attività di controllo (art. 33, comma 1) sull’operato della commissione di gara possa costituire, nel contempo, la manifestazione del potere dispositivo di aggiudicazione (che invece è un’estrinsecazione logica e provvedimentale della prima); la seconda che la definitività dell’aggiudicazione possa essere il risultato di una fictio iuris o che, addirittura, per il sol fatto che il codice dei contratti faccia riferimento alla “aggiudicazione” senza soggiungere più l’aggettivo “definitiva”, il legislatore abbia espunto tale peculiare istituto dall’ordinamento di settore. La predetta tesi è smentita dalle disposizioni del codice di rito (artt. 121; 123, con estensione implicita all’art. 121).

In conclusione, l’eccezione di irricevibilità del gravame principale, come formulata, deve essere disattesa

3.- Parimenti infondata è anche l’eccezione preliminare con cui la N. Srl ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso per non aver la ricorrente principale notificato il proposto gravame anche alla CUC, atteso che, dalla disamina del fascicolo processuale, emerge la predetta notifica (a mezzo pec) avvenuta in data 10.8.2018, in ossequio al principio sancito dalla costante giurisprudenza amministrativa secondo cui “La centrale di committenza unica è « amministrazione aggiudicatrice » e in quanto tale necessaria destinataria della notifica del ricorso avverso gli atti da essa emessi, in quanto soggetto responsabile della gara. I soggetti che aderiscono alla convenzione che istituisce la centrale unica di committenza sono meri beneficiari della procedura indetta ed espletata da quest’ultima e sono vincolati alle vicende anche giudiziarie della gara, sicchè, mentre gli effetti e i risultati di questa sono loro imputati, l’imputazione formale degli atti, rilevante ai fini della notifica del ricorso impugnatorio, non può che ricadere sulla centrale di committenza, contraddittore necessario dello stesso, in quanto competente in via esclusiva all’indizione, regolazione e gestione della gara e responsabile della stessa” (cfr.: T.A.R. Napoli, (Campania) sez. IV, 30/04/2015, n.2456).

4.- Analoga sorte, infine, compete all’ulteriore eccezione preliminare con cui la N. Srl ha sostenuto la parziale irricevibilità del proposto ricorso per violazione dell’art. 120 comma 2bis C.P.A. limitatamente alla censura, riguardante i presupposti della sua ammissione alla gara, con cui la IS Srl ha contestato la validità del contratto di avvalimento impiegato per dimostrare il requisito tecnico della richiesta categoria OG1, classifica II.

La questione della decorrenza del termine di impugnazione nel cd. rito superaccelerato disciplinato dai previgenti commi 2-bis e 6-bis dell’articolo 120 c.p.a. è stata oggetto di dibattito giurisprudenziale data la novità e particolarità del nuovo istituto.

L’articolo 29, comma 1, periodi secondo terzo e quarto, del d.lg. n. 56 stabiliscono letteralmente che “al fine di consentire l’eventuale proposizione del ricorso ai sensi dell’articolo 120, comma 2-bis, del codice del processo amministrativo, sono altresì pubblicati, nei successivi due giorni dalla data di adozione dei relativi atti, il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni all’esito della verifica della documentazione attestante l’assenza dei motivi di esclusione di cui all’articolo 80, nonché la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali. Entro il medesimo termine di due giorni è dato avviso ai candidati e ai concorrenti, con le modalità di cui all’articolo 5-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale o strumento analogo negli altri Stati membri, di detto provvedimento, indicando l’ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti. Il termine per l’impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione”.

A sua volta l’articolo 120, comma 2-bis del c.p.a. prevede che l’impugnazione di esclusioni e ammissioni vada proposta nel termine di trenta giorni “decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici”.

Le due previsioni non sono perfettamente allineate e coordinate, poiché la prima (articolo 29) è stata inserita nel codice degli appalti dal d.lg. 19 aprile 2017, n. 56, mentre la seconda, ovverosia quella contenuta nel c.p.a., è stata introdotta all’interno di quest’ultimo dal d.lg. n. 50 del 2016; in altri termini il legislatore che nel 2017 ha modificato il codice degli appalti (inserendo le previsioni in punto di comunicazione della pubblicazione nel sito web e di decorrenza dell’impugnazione dalla data di concreta disponibilità degli atti, corredati di motivazione) non ha coordinato queste nuove previsioni con quella del comma 2-bis dell’articolo 120 c.p.a. che rifletteva l’originario testo dell’articolo 29.

È chiaro tuttavia che, data anche la posteriorità delle modifiche all’articolo 29, nell’opera di coordinamento è necessariamente a quest’ultimo che occorre dare la prevalenza.

In altri termini il termine di impugnazione di esclusioni e ammissioni (il problema si pone chiaramente soprattutto per le ammissioni che di regola non sono specificamente motivate – a differenza delle esclusioni – e le cui cause di illegittimità di regola non sono conoscibili dagli altri concorrenti se non quando essi sono posti nelle condizioni di conoscere la documentazione che correda la istanza di partecipazione) non può farsi decorrere sic et simpliciter dalla pubblicazione sul profilo del committente del verbale della seduta che reca esclusioni e ammissioni (salvo che sia pubblicata anche la documentazione amministrativa presentata dai concorrenti).

Il termine deve, viceversa, farsi decorrere, come stabilito dall’articolo 29, “dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione“.

La mera pubblicazione di esclusioni e ammissioni difatti non garantisce normalmente la “concreta disponibilità dell’atto corredato da motivazione”, come richiede l’articolo 29 o, meglio, il più delle volte la pubblicazione sarà sufficiente per le esclusioni, dato che esse recano la motivazione e l’interessato ovviamente conosce la documentazione amministrativa che correda la sua istanza di partecipazione, ma non per le ammissioni, atteso che, di regola, l’ammissione si basa su una mera presa d’atto del possesso dei requisiti richiesti e colui che sarebbe legittimato alla impugnazione – che ovviamente non conosce la documentazione amministrativa presentata dagli altri concorrenti – perché possa dirsi integrata la concreta disponibilità dell’atto corredato da motivazione necessita di conoscere tale documentazione.

Come sottolineato in un recente precedente del Consiglio di Stato “la concreta disponibilità dalla quale è fatto ora decorrere il termine di impugnazione è nozione diversa dalla piena conoscenza di cui all’art. 41, comma 2, cod. proc. amm.; il legislatore, infatti, con detta formula, ha inteso riferirsi al momento in cui l’impresa è venuto in possesso dell’atto – perché comunicatole ovvero pubblicato con il suo intero contenuto o, ancora, in mancanza dell’uno e dell’altro, ottenuto mediante accesso ai documenti – e ne ha compreso l’effettiva illegittimità; la “piena conoscenza”, invece, è conseguita per acquisizione della notizia della lesione prodotta da un provvedimento amministrativo alla propria posizione soggettiva, anche a prescindere dalla conoscenza del contenuto dell’atto” (Consiglio di Stato, sez. V, 27 dicembre 2018, n. 7256).

Nella medesima direzione si è espressa ancor più di recente la Corte di Giustizia europea con la ordinanza 14 febbraio 2019 secondo cui la decadenza prevista dalla normativa italiana richiede che i termini prescritti per proporre ricorso “inizino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente abbia avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza dell’asserita violazione” che in concreto lamenta sicché le previsioni dell’articolo 120 risultano compatibili con il diritto europeo “a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata”.

Tale ricostruzione dei limiti di operatività delle barriere preclusive poste dal c.d. Rito Superaccelerato è stata recentemente confermata dal Consiglio di Stata, avendo il giudice di appello confermato che “con l’ord., 14 febbraio 2019, C- 54/18, la Corte di Giustizia UE ha rilevato che una normativa nazionale, quale il comma 2 bis dellart. 120 c.p.a. – che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati – è compatibile con la direttiva 89/665 solo a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti, tale da garantire che i suddetti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata.

L’intento del legislatore inerente la norma di cui al comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a. cit. è stato quello di definire prontamente la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte (Cons. St., comm. spec., parere n. 885 dell’1 aprile 2016), creando un “nuovo modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza, disgiunto per fasi successive del procedimento di gara, dove la raggiunta certezza preventiva circa la res controversa della prima è immaginata come presupposto di sicurezza della seconda” (Consiglio di Stato sez. III, 07/03/2019, n.1574).

4.1.- Venendo all’odierna fattispecie, il verbale del 9.2.2018 attesta la presenza alla seduta di un rappresentante della ricorrente principale. Tuttavia, a prescindere dal rilievo che della sua pubblicazione non risulti sia stata data comunicazione alla ricorrente (come prescrive il terzo periodo dell’articolo 29, comma 1, terzo periodo), non vi è dubbio che dal verbale non emergesse alcun elemento tale da indurre a cogliere le ragioni di illegittimità dell’ammissione (di fatto dal verbale risulta solo l’eseguito riscontro della presenza dei documenti richiesti dal disciplinare di gara); soltanto a seguito dell’esercizio del diritto di accesso successivamente alla comunicazione dell’aggiudicazione la ricorrente ha preso visione della documentazione amministrativa presentata dalla N. Srl ed è stata, dunque, posta in grado di comprendere le ragioni della (asserita) illegittimità di essa. Da tale momento è, dunque, iniziato a decorrere il termine di impugnazione in base al combinato disposto degli articoli 29 d.lg. n. 50 e 120 c.p.a.

5.- Disattese le sollevate questioni preliminare, avendo la N. Srl proposto un ricorso incidentale teso ad ottenere l’esclusione dell’offerta presentata dalla ricorrente principale, reputa il Collegio che, nonostante la partecipazione alla gara di imprese diverse dalle parti dell’odierno giudizio e la mancata deduzioni di vizi comuni anche ad altre offerte, ancorché presentate da imprese rimaste estranee al giudizio, sia necessario esaminare congiuntamente il ricorso principale e quello incidentale, essendo tale congiunta disamina imposta dalla più recente giurisprudenza comunitaria.

La Corte di Giustizia, invero, con la sentenza 5 settembre 2019, ha statuito che l’articolo 1, paragrafo 1, terzo comma, e paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un ricorso principale, proposto da un offerente che abbia interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un appalto ed inteso ad ottenere l’esclusione di un altro offerente, venga dichiarato irricevibile (rectius improcedibile) in applicazione delle norme o delle prassi giurisprudenziali nazionali quali che siano il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione e il numero di quelli che hanno presentato ricorsi. La conclusione viene motivata con l’esistenza di un legittimo interesse del ricorrente principale all’esclusione dell’offerta dell’aggiudicatario poiché non si può escludere che, anche se la sua offerta fosse giudicata irregolare, l’amministrazione aggiudicatrice sia indotta a constatare l’impossibilità di scegliere un’altra offerta regolare e proceda di conseguenza all’organizzazione di una nuova procedura di gara. L’ammissibilità del ricorso non può neppure essere subordinata alla condizione che il suddetto offerente fornisca la prova del fatto che l’amministrazione aggiudicatrice sarà indotta a ripetere la procedura poiché, secondo il giudice comunitario, è sufficiente l’esistenza di una probabilità in tal senso.

È irrilevante, ai fini dell’applicazione del diritto comunitario, la circostanza che non siano intervenuti in giudizio gli offerenti che si sono classificati, nella graduatoria di gara, in posizione deteriore rispetto al ricorrente principale poiché va ritenuto irrilevante il numero di partecipanti alla procedura di gara così come quello dei ricorrenti nonché la divergenza dei motivi da loro dedotti.

Il principio di autonomia processuale degli Stati membri non può giustificare disposizioni di diritto interno che rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti comunitari (sentenza dell’11 aprile 2019, PORR Építési Kft., C-691/17, EU:C:2019:327, punto 39). Il principio di effettività del diritto comunitario prevale quindi sui principi processuali interni.

La Corte ha così decretato la fine del ricorso incidentale paralizzante.

6.- Tanto premesso, alla luce dell’arresto giurisprudenziale sopra riportato, è possibile principiare dalla disamina del ricorso incidentale proposto dalla N. Srl, a tal fine muovendo dalle risultanze cui è pervenuta l’ordinata verificazione (vedi relazione depositata in data 12.9.2019), chiamata a scrutinare, in ragione delle sollevate censure, “la manifesta illogicità o erroneità nelle operazioni compiute dalla stazione appaltante nel subprocedimento di valutazione dell’anomalia dell’offerta presentata dalla IS Srl” (vedi Ordinanza Collegiale n.1273/2018).

L’espletata verificazione, attenendosi ai principi informatori del sindacato giurisdizionale esercitabile sulla discrezionalità tecnica di cui è espressione la verifica dell’anomalia dell’offerta, – in particolare al principio per cui “le valutazioni della pubblica amministrazione sono sindacabili soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi e plateali errori di valutazione abnormi o inficiati da errori di fatto, non potendo i il giudice amministrativo sostituire il proprio giudizio a quello dell’amministrazione e procedere ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci” (Consiglio di Stato, Sezione V, 05/02/2019, n. 881) -, è pervenuta alle conclusioni di seguito riportate.

La verificazione, in particolare, ha accertato che i documenti forniti dalla IS nell’ambito del sub-procedimento ex art. 97 dlgs. 50/2016 non avevano contemplato due tipologie di lavorazioni oggetto delle proposte migliorie, sebbene fossero state indicate nella “Relazione tecnico descrittiva”, corredante l’“Offerta economica” e l’allegata “Analisi dei prezzi opere offerte come miglioria”.

Si tratta sia della voce contrassegnata con la sigla NP.M13, relativa alla fornitura e posa in opera di arredi per n.ro 180 loculi, sia della voce catalogata come NP.M14, riguardante la modifica del sistema di aerazione previsto dal progetto.

I costi delle predette migliorie erano stati determinati alle rispettive voci della “Analisi dei prezzi opere offerte come miglioria”, rispettivamente in Euro 19.861,20 ed 880,89, cosìcchè la stazione appaltante non aveva rilevato un deficit giustificativo pari ad Euro 18.595,05, importo determinato scontando i costi originari dei ribassi sulle spese generali (dal 15 all’8 per cento) e sull’utile d’impresa (dal 10 al 5%).

Considerando, pertanto, anche i predetti costi non giustificati, il verificatore ha accertato:

a. l’aggravio della percentuale effettiva di ribasso dal 42,80% al 45,56% (+2,76% circa);

b. la voltura del già modesto utile d’impresa in una perdita attesa di Euro 6.979,12.

Orbene, il condotto accertamento ha acclarato che l’offerta presentata dalla ricorrente principale, computando anche le voci di costo relative alle migliorie offerte ma non considerate in sede di giustificazione della riscontrata anomalia, era stata formulata in “perdita”, atteso che il computo dei predetti costi erodeva completamente l’utile preventivato determinando una perdita d’esercizio.

Se è vero che non sia possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, – poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (cfr.: Consiglio di Stato sez. V, 17/01/2018, n.270) -, è altrettanto vero che un utile pari a zero ovvero la formulazione dell’offerta in perdita rendono ex se inattendibile l’offerta economica, essendo, in occasione della verifica in contraddittorio della congruità dell’offerta, consentito un limitato rimaneggiamento degli elementi costitutivi di quest’ultima purché l’originaria proposta contrattuale non venga modificata sostanzialmente ovvero non venga alterata la sua logica complessiva omettendo i costi di lavorazioni oggetto dell’offerta (CdS IV, 963/2015, conferma TAR Calabria, Reggio Calabria, nn. 603 del 2013 e 544 del 2014; Consiglio di Stato, sez. V, 22/01/2015 n. 289).

Il Collegio ritiene pertanto violato dalla stazione appaltante, nel caso di specie, l’art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016, in quanto l’offerta in perdita rende “ex se” inattendibile l’offerta economica “(Consiglio di Stato, sez. IV., sent. 26 febbraio 2015, n. 963), con la consequenziale illegittimità, in accoglimento del ricorso incidentale, del provvedimento con cui è stato formulato il giudizio di non anomalia dell’offerta presentata dalla IS Srl (cfr. Cfr. Cons. St., ez. IV, 26 febbraio 2015 n. 963, in De Jure ; id., sez, VI, 18 marzo 2008 n. 1139, in Foro amm. CDS, 2008, 3, 856.

7.- Passando alla disamina del ricorso principale, il Collegio, anche ai fini di tale scrutinio, reputa di dover muovere dalle risultanze cui è pervenuta la disposta verificazione.

Il verificatore, invero, pur avendo riconosciuto la possibile ragionevolezza di un’offerta implicante una redditività dell’appalto contenutissima, ha evidenziato come il processo decisionale in forza del quale la Stazione appaltante ha ritenuto giustificata la rilevata anomalia sia stato viziato dalla circostanza che l’utile dichiarato dall’aggiudicataria pari al 2% non corrispondeva a quello effettivamente, poiché era stata considerata l’esigenza di rimunerare l’impresa ausiliaria in adempimento di quanto previsto dall’art. 7 del contratto di avvalimento.

A tale ultimo riguardo, l’art. 4 dello stipulato contratto chiaramente stabiliva che all’impresa ausiliaria competeva il 2% “sull’importo dei lavori a base d’asta, al netto del ribasso offerto in gara”, a fronte della prestazione del requisito “Categoria OG1 classifica III”. Tale corrispettivo spettava a prescindere dall’effettivo utilizzo delle risorse declinate all’art. 7, costituendo così un costo fisso ineludibile per la N. Srl.

Nonostante ciò, il verificatore ha accertato l’omessa considerazione di tale costo nell’ambito delle giustificazioni offerte in sede di verifica della rilevata anomalia.

Inoltre l’inclusione, sostenuta dalla N., degli oneri dell’avvalimento fra i costi diretti dell’appalto non poteva ritenersi convincente, poiché l’avvalimento costituiva, per la N., un costo contrattuale percentuale letteralmente e chiaramente collegato all’utilizzo della Categoria OG1 classifica III, non ripartibile, in assenza di alcun criterio contrattualmente previsto, in voci di utilizzo delle risorse indicate dall’art. 7 del predetto contratto.

Infine, il collegamento tra gli “oneri diretti” ed il costo dell’avvalimento allegato dalla N. nella memoria difensiva e nelle relazioni dei suoi Tecnici non era stato affatto esplicitato in sede di subprocedimento di verifica dell’anomalia.

L’azzeramento dell’utile accertato in sede di verificazione, non rilevato dalla Stazione appaltante, vizia, stante il chiaro difetto di istruttoria determinato dal commesso errore di fatto, l’espletata verifica della rilevata anomalia, precludendo dunque di ritenerla logicamente e congruamente giustificata.

Né può ritersi che il predetto costo, affatto computato ed inizialmente ricondotto agli oneri diretti dell’appalto, possa essere compensato, come sostenuto dalla controinteressata con la memoria ex art. 73 c.p.a. depositata in data 4.10.2019, con l’asserita sovrastima del costo complessivo della manodopera.

Va osservato, in ordine ai principi che governano la valutazione di anomalia, che, per consolidata giurisprudenza: a) in sede di apprezzamento dell’offerta anomala, il concorrente sottoposto a valutazione non può fornire giustificazioni tali da integrare un’operazione di “finanza creativa”, modificando, in aumento o in diminuzione, le voci di costo e mantenendo fermo l’importo finale; nondimeno, ciò non esclude che l’offerta possa essere modificata in taluni suoi elementi, compresi, in particolare, quelli relativi all’utile atteso, che può essere ridotto (cfr. tra le tante T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 26 settembre 2016, n. 9927; T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 1° giugno 2015, n. 1287; Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5497; Tar Lombardia Milano, sez. III, 3 dicembre 2013, n. 2681; Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 636; Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3146); b) resta fermo il principio per cui in un appalto l’offerta, una volta presentata, non è suscettibile di modificazione – pena la violazione della par condicio tra i concorrenti – ma ciò non toglie che, avendo la verifica di anomalia la finalità di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso e nel suo importo originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che militano a favore, sia di quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme; c) di conseguenza, si ritiene ammissibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che, per converso, altre voci sono state inizialmente sopravvalutate e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci (cfr., al riguardo, Consiglio di Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3146); d) la giurisprudenza ritiene coerenti con lo scopo del giudizio di anomalia e con il rispetto dei principi di parità di trattamento e divieto di discriminazione una modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo (rispetto alle giustificazioni eventualmente già fornite), lasciando, però, le voci di costo invariate, ovvero un aggiustamento di singole voci di costo, che trovi il suo fondamento in sopravvenienze di fatto o normative, che comportino una riduzione dei costi, o in originari e comprovati errori di calcolo, o in altre ragioni plausibili; e) è anche pacificamente ammesso che l’impresa possa intervenire riducendo l’utile esposto, a condizione che tale voce non risulti del tutto azzerata, perché ciò che importa è che l’offerta rimanga nel complesso seria (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 636; id., 23 luglio 2012, n. 4206; Consiglio di Stato, sez. VI, 20 settembre 2013, n. 4676); f) resta fermo che la valutazione di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare che l’offerta sia attendibile e affidabile nel suo complesso (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 9 febbraio 2016, n. 520; Consiglio di Stato, sez. VI, 5 giugno 2015, n. 2770).

Applicando i menzionati principi all’odierna fattispecie, a prescindere dal rilievo che la N. Srl ha ammesso il mancato computo del corrispettivo dovuto per il contratto di avvalimento soltanto nel presente giudizio, peraltro successivamente al deposito della disposta verificazione, giustificandolo per la prima volta con la compensazione sopra esposta, il Collegio non può far ameno di osservare come la sostenuta tesi difensiva si tradurrebbe in una inammissibile variazione delle voci di costo (nella specie il costo della manodopera), ovvero in un aggiustamento di singole voci di costo, che non trova il suo fondamento in sopravvenienze di fatto o normative o in originari e comprovati errori di calcolo ovvero in altre ragioni plausibili.

L’acclarato azzeramento dell’utile di impresa, in definitiva, comporta l’accoglimento anche del ricorso principale con il consequenziale annullamento della disposta aggiudicazione.

8.- Quanto alle conseguenze derivanti dall’accoglimento sia del gravame principale che di quello incidentale, va innanzitutto precisato che l’art. 32, comma 4, d.lg. n. 50/2016 non presuppone un’ipotesi di decadenza ex lege dell’offerta, una volta decorso il termine in cui la medesima è vincolante, consentendo solo all’offerente, con atto espresso, di potersi svincolare dalla stessa prima dell’approvazione dell’aggiudicazione definitiva.

Pertanto, compete alla Stazione Appaltante la necessità di verificare se, in relazione ai vizi e ai motivi dedotti nel ricorso principale ed incidentale (entrambi oggetto di accoglimento), sia opportuno annullare l’intera gara o, viceversa, aggiudicare il contratto pubblico in questione al concorrente collocato al terzo posto della graduatoria finale della procedura.

10.- Quanto alle spese di lite, stante la reciproca soccombenza e la complessità in fatto ed in diritto delle singole questioni affrontate, reputa il Collegio di disporne l’integrale compensazione, stabilendo altresì che le spese dell’espletata verificazione, liquidate come in dispositivo, siano poste a carico, in misura eguale, di tutte le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima), definitivamente pronunciando

Accoglie il ricorso principale;

Accoglie il ricorso incidentale;

Dichiara le spese di giudizio interamente compensate tra le parti in causa;

Liquida in favore del nominato verificatore (prof . Roberto Tizzano) la somma di € 7000,00 (settemila/00) a titolo di onorario, oltre oneri di legge, ponendo la predetta somma a carico, in misura eguale, di tutte le parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Riccio, Presidente

Angela Fontana, Primo Referendario

Fabio Maffei, Referendario, Estensore

L’ESTENSOREIL PRESIDENTE
Fabio MaffeiFrancesco Riccio

IL SEGRETARIO