TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA LOMBARDIA – Ordinanza 12 febbraio 2018
Assistenza e solidarietà sociale – Disabile – Congedo straordinario per l’assistenza a genitore con handicap in situazione di gravità accertata – Requisito della convivenza del figlio istante con il genitore da assistere. – Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), art. 42, comma 5.
1) Il ricorrente, agente penitenziario scelto in servizio presso la Casa circondariale di V. e già fruitore di permesso retribuito di tre giorni mensili ai sensi della legge n. 104/1992 per assistere il padre malato, ha fatto istanza in data 13 aprile 2016 per ottenere il congedo straordinario retribuito di cui all’art. 42, comma 5, decreto legislativo n. 151/2001.
La richiesta è stata rigettata dall’Amministrazione con il provvedimento prot. 30213/cong del 20 aprile 2016 sul presupposto che l’assenza di convivenza tra l’istante e il genitore siano causa di discontinuità assistenziale, in quanto il padre del ricorrente risiede a P. e il dipendente vive, invece, a V. per ragioni di servizio, anche se formalmente la sua residenza anagrafica risulta a P.
2) L’interessato ha impugnato il provvedimento di rigetto, chiedendone l’annullamento, previa tutela cautelare.
Si è costituito in giudizio il Ministero della giustizia, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.
Questo Tribunale, con ordinanza n. 901 del 13 luglio 2016, ha accolto la domanda cautelare.
Il Consiglio di Stato sez. IV, con ordinanza n. 4750 del 21 ottobre 2016, ha accolto l’appello cautelare proposto dal Ministero «Rilevato che l’appello cautelare all’esame appare sorretto da sufficienti elementi di fondatezza, con riferimento, in particolare, alla contestata sussistenza del requisito della convivenza con la persona disabile secondo la previsione legislativa recante il beneficio per cui è causa».
In vista della trattazione della causa nel merito il Ministero ha depositato una memoria difensiva insistendo nelle proprie conclusioni.
3) Il ricorso proposto è affidato ai motivi di gravame di seguito sintetizzati:
I) violazione dell’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n. 151/2001, dell’art. 80, legge n. 388/2000 e dell’art. 3 della legge n. 104/1992; eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, motivazione errata, ingiustizia manifesta: l’Amministrazione avrebbe assunto il diniego a seguito di un’istruttoria insufficiente. Invero lo stato di famiglia prodotto attesterebbe la coincidenza della residenza anagrafica del ricorrente e di quella del genitore da assistere. Inoltre nessun altro fratello beneficerebbe del congedo di cui all’istanza;
II) violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990: il diniego non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione di preavviso di rigetto.
4) Il Collegio ritiene che il secondo motivo di gravame attinente al vizio procedimentale (omessa comunicazione del preavviso di rigetto) non sia meritevole di accoglimento, tenuto conto del concreto supporto motivazionale del provvedimento impugnato e del disposto di legge applicato nel caso di specie.
L’Amministrazione infatti ha rigettato l’istanza considerando che l’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n. 151/2001 richiede la preesistente convivenza del soggetto che presta assistenza quale presupposto per la concessione del congedo, non potendo l’assistenza al disabile essere frammentaria. Ora, stante il contenuto motivazionale del rigetto, non si vede quale apporto sostanziale avrebbe potuto fornire l’interessato tale da mutare il contenuto del provvedimento.
5) In relazione al primo motivo di gravame il Collegio ritiene non condivisibili le deduzioni del ricorrente, sotto un duplice e concorrente profilo.
Da un punto di vista di fatto, il ricorrente presta servizio come agente di polizia penitenziaria presso la Casa circondariale di V. In ossequio al disposto di cui all’art. 18 della legge n. 395/1990, ha la sua dimora abituale nel Comune di V.
Risulta pertanto evidente come non possa ritenersi coabitare, ovvero convivere con il padre, residente a P.
Da un punto di vista giuridico il ricorrente fornisce del concetto di «convivenza» un’interpretazione non condivisibile, in quanto centrata sul riferimento formale della residenza anagrafica, che, nel caso di specie, non corrisponde alla reale situazione di fatto.
D’altro canto, osserva il Collegio, la norma è chiara nel richiedere quale (unico) requisito per la fruizione del congedo in questione la convivenza tra il figlio istante e il genitore da assistere.
L’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n. 151/2001 dispone infatti che «Il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi».
Trattandosi di un beneficio, che, seppure strettamente funzionale alla tutela della salute e della famiglia, determina una deroga rispetto alla disciplina generale del rapporto di lavoro, le ipotesi contemplate dalla legge (incluse quelle riconosciute con pronunce additive dalla Corte costituzionale) devono considerarsi tassative (cfr. Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria 7 novembre 2012 n. 656), con la conseguenza che non si può sic et simpliciter, attraverso una mera interpretazione estensiva, ammettere detto beneficio in assenza di una condizione tassativa prevista dalla norma, ovvero, nel caso di specie, il requisito della convivenza.
6) Tuttavia, ad avviso del Collegio, sussistono i presupposti per dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame.
6.1) Sulla rilevanza della questione di costituzionalità.
Come sopra osservato, la pretesa azionata dal ricorrente non può che essere esaminata in riferimento alla disposizione censurata che, così come è formulata e stante l’impossibilità di attribuirle un significato diverso e più lato, non gli consentirebbe di conseguire il congedo parentale retribuito, non possedendo il requisito della convivenza e fondandosi il provvedimento esclusivamente su tale profilo.
L’Amministrazione infatti si è limitata a fare applicazione della norma in vigore che non si presta ad un’interpretazione del concetto di convivenza come coincidente con la mera residenza anagrafica.
Pertanto si rende necessario sollevare la questione di legittimità costituzionale il cui accoglimento soltanto consentirebbe al Collegio di annullare il provvedimento impugnato.
6.2) Sulla non manifesta infondatezza della questione.
Il Collegio ritiene di sottoporre al vaglio della Corte costituzionale l’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n. 151/2001 nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo ivi previsto, la preesistente convivenza del figlio richiedente il beneficio con il genitore da assistere, e non consente invece che la convivenza costituisca una condizione richiesta durante la fruizione del congedo.
Ad avviso di questo giudice la questione di legittimità costituzionale va posta in relazione agli articoli 2, 3, 4, 29, 32 e 35 Cost.
6.2.1) Come già riconosciuto dalla Corte costituzionale nella prima sentenza additiva sull’art. 42 decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, «la tutela della salute psico-fisica del disabile, costituente la finalità perseguita dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che la norma in esame concorre ad attuare, postula anche l’adozione di interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie, il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap. Tra tali interventi si inscrive il diritto al congedo straordinario in questione, il quale tuttavia rimane privo di concreta attuazione proprio in situazioni che necessitano di un più incisivo e adeguato sostegno» (Corte cost. 16 giugno 2005, n. 233), come quella in cui il disabile non può contare sull’assistenza dei parenti più prossimi, perché non conviventi.
Ancora più incisiva la lettura fornita nel 2007 dalla Corte che, riprendendo il precedente intervento correttivo, ha sottolineato che «il congedo straordinario retribuito si iscrive negli interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie che si fanno carico dell’assistenza della persona diversamente abile, evidenziando il rapporto di stretta e diretta correlazione di detto istituto con le finalità perseguite dalla legge n. 104 del 1992, ed in particolare con quelle di tutela della salute psico-fisica della persona handicappata e di promozione della sua integrazione nella famiglia. Risulta, pertanto, evidente che l’interesse primario cui è preposta la norma in questione – ancorché sistematicamente collocata nell’ambito di un corpo normativo in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità – è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito» (Corte cost. 8 maggio 2007, n. 158).
Ancora la Corte, nel correggere ulteriormente il contenuto della disposizione, ha ribadito che la ratio dell’istituto «consiste essenzialmente nel favorire l’assistenza al disabile grave in ambito familiare e nell’assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza, al fine di evitare lacune nella tutela della salute psico-fisica dello stesso, e ciò a prescindere dall’età e dalla condizione di figlio di quest’ultimo» (Corte cost. 30 gennaio 2009, n. 19).
Con l’ultimo intervento (Corte cost. 18 luglio 2013, n. 203) la Consulta ha compreso nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo di cui all’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n. 151/2001, e alle condizioni ivi stabilite, anche il parente o l’affine entro il terzo grado convivente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave.
In tale occasione la Corte ha avuto modo di affermare che «il congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, decreto legislativo n. 151 del 2001, fruibile per l’assistenza delle persone portatrici di handicap grave, costituisce uno strumento di politica socio-assistenziale, basato sia sul riconoscimento della cura prestata dai congiunti sia sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale e intergenerazionale, di cui la famiglia costituisce esperienza primaria, in attuazione degli articoli 2, 3, 29, 32 e 118, comma 4, Cost.» e dunque la limitazione dell’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto può pregiudicare l’assistenza del disabile grave in ambito familiare.
6.2.3) Posti tali principi, la norma censurata, che pure ha sempre riconosciuto e valorizzato il ruolo sociale della famiglia, quale momento di collegamento fra la comunità più ampia e l’individuo, che così può mantenere e sviluppare la propria personalità (cfr. Tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria n. 656/2012 cit.) nel prevedere quale prerequisito la convivenza tra il figlio istante e il genitore da assistere limita ingiustificatamente, sotto un profilo oggettivo, i legittimati ad ottenere il congedo, violando in tal modo gli articoli 2, 3, 29 e 32 Cost.
In particolare il combinato disposto di cui agli articoli 2, 29 e 32 Cost. fa emergere una legittimazione della famiglia nel suo insieme – come insieme di rapporti affettivi – a divenire strumento di assistenza del disabile; legittimazione che deriva sia dal dovere di solidarietà, che vincola comunitariamente ogni congiunto, sia dal corrispondente diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità.
Assegnare alla preesistente convivenza il valore di condicio sine qua non per il riconoscimento di taluni specifici diritti postula una lettura restrittiva dell’assistenza familiare, limitata al nucleo convivente, e rispecchia una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile, nonché non coerente con il moderno dispiegarsi dell’esistenza umana. Le situazioni di necessità che portano i figli ad allontanarsi dal nucleo familiare di origine – e dunque a non convivere con i genitori – non possono costituire ostacolo alla concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.
Attuazione che ben può essere realizzata prevedendo l’obbligo di convivenza non già ex ante (ovvero al momento della presentazione dell’istanza di congedo) ma durante la fruizione del congedo.
La contrarietà alla funzione solidaristica della famiglia rinvenibile dal combinato disposto delle norme richiamate emerge chiaramente laddove si pensi che proprio l’assenza di convivenza determina la necessità per un figlio di richiedere il congedo straordinario, non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno.
6.2.4) Sussiste inoltre ad avviso del Collegio la violazione dell’art. 3 Cost.
Ritenere infatti che la «convivenza» costituisca un requisito che deve sussistere al momento della presentazione della domanda, una sorta di precondizione, determina un’evidente disparità di trattamento, e dunque una violazione dell’art. 3 Cost., tra coloro che liberamente possono scegliere il luogo in cui risiedere (e dunque convivere con il genitore) e quanti, invece, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non possono compiere tale scelta, come avviene nel caso di specie.
La violazione dell’art. 3 Cost. si combina poi con la violazione degli articoli 4 e 35 Cost. laddove di fatto la norma censurata discrimina i soggetti legittimati ad ottenere il beneficio in questione in ragione del tipo di lavoro svolto.
6.2.5) Sotto altro concorrente profilo l’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n. 151/2001 si pone in contrasto con il combinato disposto di cui agli articoli 2 e 3 Cost., laddove richiede un requisito ulteriore rispetto a quanto previsto dalla disciplina di altri istituti aventi la medesima finalità assistenziale.
Ci si riferisce in particolare ai permessi di cui all’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992.
Posto che vi è una «stretta e diretta correlazione di detto istituto con le finalità perseguite dalla legge n. 104 del 1992, ed in particolare con quelle di tutela della salute psico-fisica della persona handicappata e di promozione della sua integrazione nella famiglia» (Corte cost. 8 maggio 2007, n. 158), va rilevato che il legislatore, con l’art. 24, comma 1, lettera a), della legge n. 183 del 2010, ha modificato l’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, escludendo espressamente la convivenza quale presupposto per la concessione del beneficio (tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa), subordinando la fruizione dello stesso alla sola esistenza di un vincolo di matrimonio, parentela, affinità (entro il secondo grado e, in casi particolari, entro il terzo grado) tra il lavoratore dipendente che domanda il permesso retribuito e la persona disabile necessitante di assistenza.
Risulta del tutto irragionevole una disciplina differenziata di istituti preordinati alla tutela dei medesimi valori costituzionali, attuati attraverso il medesimo strumento solidaristico della famiglia, quale insieme dei rapporti di vincolo affettivo.
Nel caso di specie tale irragionevolezza emerge in concreto, dato che il ricorrente fruisce dei permessi mensili ai sensi della legge n. 104/1992.
7) In conclusione questo Tribunale ritiene che l’art. 42, comma 5 del decreto legislativo n. 151/2001 sia costituzionalmente illegittimo laddove pone quale prerequisito per ottenere il congedo ivi disciplinato la preesistente convivenza con il soggetto disabile, in luogo di prevedere la convivenza quale condizione necessaria durante la fruizione del congedo.
Ciò premesso, questo Tribunale solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151, per violazione degli articoli 2, 3, 29, 32, 35 Cost. nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere, secondo i profili e per le ragioni sopra indicate, con sospensione del giudizio fino alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana della decisione della Corte costituzionale sulle questioni indicate, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 79 ed 80 del codice procedimento amministrativo e art. 295 c.p.c.
Riserva al definitivo ogni ulteriore decisione, nel merito e sulle spese.
P.Q.M.
Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per violazione degli articoli 2, 3, 29, 32, e 35 della Costituzione, dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Rinvia ogni definitiva statuizione nel merito e sulle spese di lite all’esito del giudizio incidentale ai sensi degli articoli 79 ed 80 del codice procedimento amministrativo.
Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
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