Tribunale Amministrativo Regionale di Roma, sezione I-quater, sentenza n. 8369 depositata il 27 giugno 2019
Lavoro – Sicurezza sul lavoro – Infortunio sul lavoro – Rapporto di lavoro – Causa di servizio – Comitato per la Verifica per le Cause di Servizio
FATTO
Con ricorso notificato il 13 giugno 2009 al Ministero dell’Interno, l’interessato, ispettore della polizia di Stato, chiede l’annullamento del decreto del Direttore didivisione della Direzione centrale per le risorse umane in data 25 febbraio 2009, notificato il 15 aprile 2009, con cui non è stata riconosciuta la dipendenza da causa di servizio della seguente infermità: -OMISSIS- con impegno d’organo.
Il ricorrente impugna anche il presupposto parere del Comitato di verifica per le cause di servizio, rilasciato il 20 giugno 2006.
Il Ministero dell’Interno non si costituisce in giudizio.
Il ricorso è trattato all’udienza pubblica del 18 giugno 2019, per essere deciso.
DIRITTO
Con il provvedimento impugnato, adottato il 13 giugno 2009 dal Direttore della divisione 3ª della Direzione centrale per le risorse umane del Dipartimento della pubblica sicurezza, in base al parere del Comitato di verifica per le cause di servizio del 20 giugno 2006, non è stata riconosciuta la dipendenza da causadi servizio della infermità indicata nella istanza presentata dal ricorrente il 28 aprile 1999 per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e il 9 novembre 2004 per la concessione dell’equo indennizzo per la menomazione dell’integrità fisica conseguente alla infermità suddetta.
Il rigetto della domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e di concessione dell’equo indennizzo è motivato in relazione al parere precedentemente citato.
Il parere del Comitato di verifica delle cause di servizio è risultato negativo per le seguenti considerazioni: la infermità, ipertensione con impegno di organo, non sarebbe dipendente da fatti di servizio, trattandosi di affezione frequentemente di natura primitiva, insorgente sovente in individui con familiarità ipertensiva, per probabile errore genetico, favorita da fattori individuali spesso legati ad abitudini di vita del soggetto; nel determinismo e nel successivo decorso della affezione, di natura prevalentemente endogena, nessun ruolo avrebbe potuto essere svolto dal servizio prestato, tenuto conto delle modalità disvolgimento e dei disagi descritti, i quali, considerati nel loro insieme, non risulterebbero tali da assurgere al ruolo di causa ovvero di concausa efficiente edeterminante.
Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente censura il provvedimento negativo per eccesso di potere, sotto il profilo della insufficienza e della contraddittorietà della motivazione, per travisamento dei fatti e ingiustizia manifesta.
A sostegno dell’impugnazione il ricorrente allega certificazione medica di parte che dimostrerebbe come l’-OMISSIS- sofferta dal ricorrente non sia riconducibile a una situazione di familiarità.
Nel decidere il ricorso proposto, il Collegio deve premettere che (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 01/10/2018, n. 9651) gli accertamenti sulla dipendenza da causa di servizio delle infermità dei pubblici dipendenti da parte delle C.M.O. e del Comitato per la Verifica per le Cause di Servizio, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 461 del 2001, anche in relazione all’equo indennizzo, rientrano nella discrezionalità tecnica di tali organi che pervengono alle relative conclusioni assumendo a base le cognizioni della scienza medica e specialistica.
Conseguentemente il sindacato giurisdizionale su tali decisioni è ammesso solo nelle ipotesi di vizi logici, desumibili in maniera evidente dalla motivazione degli atti impugnati ovvero nelle ipotesi di manifesta irragionevolezza, palese travisamento dei fatti, omessa considerazione di circostanze di fatto, nonché di non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito (T.A.R. Lazio, sez. I, 01/10/2018, n. 9652).
Alla luce di tali principi, la censura deve essere ritenuta fondata.
La motivazione del diniego di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, contenuta nel parere del Comitato di verifica, risulta carente.
Si deve rilevare che, nell’escludere il nesso eziologico tra i fatti di servizio e la sofferta patologia, il parere del Comitato si limita ad affermare che, nel determinismo e nel successivo decorso della affezione, di natura prevalentemente endogena, nessun ruolo avrebbe potuto essere svolto dal servizio prestato, tenuto conto delle modalità di svolgimento e dei disagi descritti, i quali, considerati nel loro insieme, non risulterebbero tali da assurgere al ruolo di causaovvero di concausa efficiente e determinante.
Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio e tutti i precedenti diservizio risultanti dagli atti.
L’affermazione del Comitato risulta incoerente con i fatti allegati dal ricorrente, laddove si fa riferimento ad un procedimento disciplinare per la destituzione dal servizio, conclusosi favorevolmente per l’interessato, ma che non risulta essere stato preso in considerazione, pur trattandosi di un rilevante fattore di stress, potenzialmente idoneo a peggiorare lo stato di salute del ricorrente.
La contraddizione tra la motivazione del diniego, nella parte in cui si esclude che le modalità di svolgimento del servizio siano riconoscibili come concause della patologia e la concreta vicenda lavorativa del ricorrente, con riferimento al richiamato procedimento disciplinare, vizia i provvedimenti impugnati per motivazione incoerente e difetto di istruttoria, nella parte in cui non è stato preso in considerazione il suddetto fatto di servizio.
In conclusione, assorbito il secondo motivo di impugnazione dedotto, i provvedimenti impugnati devono essere annullati, non essendo sorretti da una adeguata istruttoria e da una congrua motivazione.
Dall’annullamento dei provvedimenti non deriva il riconoscimento della dipendenza della causa di servizio, non potendo sostituirsi il giudice amministrativo alla competente pubblica amministrazione, tenuta ad esercitare legittimamente la propria discrezionalità tecnico-amministrativa al riguardo.
L’amministrazione resistente, pertanto, dovrà rinnovare il procedimento, pronunciandosi nuovamente sull’istanza del ricorrente.
Il ricorso, dunque, deve essere accolto e le spese processuali, in applicazione del criterio della soccombenza, devono essere poste a carico dell’amministrazione dell’Interno resistente, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Ministero resistente a rimborsare al ricorrente le spese processuali, liquidate in euro 2000,00 (duemila) oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità del ricorrente.
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