Gara pubblica – Azienda italiana – Produzione all’estero
Fatto e diritto
Con il ricorso originario l’interessata ha impugnato gli atti indicati in epigrafe : la nota 13352/2016 e la comunicazione di aggiudicazione a Soc I.I.A. SPA, di seguito I., trasmessa via raccomandata ar con spedizione dell’11.8.2016.
Con i successivi motivi aggiunti l’interessata ha impugnato: la richiesta di offerta a I. quale impresa qualificata al sistema pubblicato sulla GUCE S72 del 14.4.2015, per tutti i lotti di gara; e i verbali di gara nn. 1, 2, 3 per i lotti 3 e 4.
Il ricorso originario è affidato ai seguenti motivi di diritto :
1) Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dei principi in tema di sub procedimento di verifica della anomalia della offerta e in specie degli artt. 86 e seguenti DLGS 163/2006; violazione di legge per violazione e falsa applicazione art. 3 L. 241/90; eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, per violazione e falsa applicazione dei principi di buon andamento e ragionevolezza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.; eccesso di potere per sviamento;
2) Violazione di legge per violazione e falsa applicazione artt. 47 e 234 DLGS 163/2006; per violazione del principio di par condicio; per violazione e falsa applicazione dei principi di buon andamento ed economicità della azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. e art. 2 DLGS 163/2006; eccesso di potere per sviamento.
Il ricorso per motivi aggiunti è affidato ai seguenti motivi di diritto :
1). Violazione di legge per violazione e falsa applicazione art. 232 DLGS 163/2006; violazione di legge ed eccesso di potere per violazione e falsa applicazione della lex specialis; eccesso di potere per travisamento dei fatti e contraddittorietà con precedenti manifestazioni di volontà; violazione di legge ed eccesso di potere per violazione dei principi di buon andamento, efficienza ed efficacia della azione amministrativa ex art. 97 Cost. della Costituzione, ex art. 2 DLGS 163/2006 ed ex art. 1 L. 241/90;
2). Violazione di legge ed eccesso di potere per violazione e falsa applicazione dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, par condicio e tutela della concorrenza, di cui all’art. 2 DLGS 163/2006, nonché per illogicità ed irragionevolezza della azione amministrativa; violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria.
Si sono costituite le controparti con deposito di memorie e documenti.
S.B. & C.S. ha depositato memorie e documenti in relazione alla parte di suo interesse e cioè solamente alle risultanze di cui al lotto 3.
Giova richiamare gli eventi in fatto :
a). T. Spa – con avviso pubblicato in GUCE in data 14.4.2005 – ha istituito ex art. 232 DLGS 163/2006 un sistema di qualificazione per la formazione di un elenco di imprese costruttrici di autobus a fini di successive gare di fornitura;
b). con comunicazione n. 5768 del 29.3.2016 T., in proprio e quale mandataria di altre società gestori del servizio di pubblico trasporto di persone, ha inviato lettera di invito alle imprese qualificate per partecipare a una gara suddivisa in 9 lotti, per fornitura di autobus di diverse tipologie. La scelta doveva avvenire con procedura negoziata secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
c). la ricorrente presentava domanda per la partecipazione ai lotti 2, 3, 4, 5, 6;
d). per i lotti 3 e 4 la gara veniva aggiudicata a I. SPA quanto a entrambi.
Tanto premesso il ricorso è infondato.
In via preliminare, il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esaminare le eccezioni preliminari (sollevate in relazione alla ammissibilità di un ricorso cumulativo, relativo a lotti diversi) in ragione della infondatezza del gravame.
1). Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che – sia I. (aggiudicataria ) che S.B. & C. (seconda classificata nel lotto 3) hanno presentato offerte anormalmente basse.
L’interessata richiama l’art. 86 del Codice appalti.
A pagina 6 del ricorso l’interessata prospetta una tabella e spiega che entrambe superano sempre i 4/5 dei punteggi massimi previsti. Nella predetta tabella si legge per il lotto 3 : I. punteggio prezzo 40,30; Solaris punteggio prezzo 41,79; E. punteggio prezzo 32,31; per il lotto 4 : I. punteggio prezzo 42,70; E. punteggio prezzo 32,65.
La ricorrente sostiene – dunque – in ricorso che la stazione appaltante avrebbe dovuto dar corso al necessario sub procedimento di verifica della congruità della offerta della aggiudicataria.
Anche nell’ultima memoria difensiva, depositata in data 13.1.2017, la ricorrente insiste nel sostenere che l’obbligo di procedere alla verifica di congruità delle offerte (art. 86) grava sulle stazioni appaltanti anche nei settori speciali; l’art. 206 non esclude tale obbligo ma attribuisce all’ente appaltante la sola facoltà di predeterminare un criterio di verifica diverso da quello di cui all’art. 86, indicandolo nella lex specialis di gara; a suo avviso, se nella lex specialis non è previsto un diverso criterio o non è previsto nulla (come nel caso di specie), si deve necessariamente applicare il criterio di cui all’art. 86.
La stazione appaltante T. Spa – con le memorie depositate in data 11 e 24.11.2016 – replica nel merito e precisa che la stessa T. rientra nei settori speciali di cui all’art. 210 DLGS 163/2006; in tale ambito rileva l’art. 206 dello stesso Codice che, al comma 1, ultima parte, limita l’applicazione dell’art. 86 precisando che “gli enti aggiudicatori hanno facoltà di utilizzare i criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse, indicandolo nell’avviso con cui si indice la gara o nell’invito a presentare offerte”.
In altre parole, l’art. 86 è rimesso – nei settori speciali – alla scelta della stazione appaltante, espressa nella lex specialis.
Nella specie, la stazione appaltante non si è autovincolata e dunque nessun obbligo incombeva sulla commissione di gara.
Anche I. , con memoria di replica depositata in data 11.11.2016, chiarisce che i punteggi ai quali fa riferimento la ricorrente sono stati riparametrati; i punteggi attribuiti alla aggiudicataria, ante riparametrazione, non sono entrambi superiori ai 4/5 del massimo; l’offerta pertanto non è anomala.
Infine, anche S.B. & C.S. replica precisando che, nell’invito a presentare offerta, non figura alcun richiamo alle soglie individuate all’art. 86 e che l’obbligo invocato dalla ricorrente non figura nemmeno in virtù del principio di autovincolo, non essendosi determinata in tal senso la stazione appaltante.
Il Collegio, alla luce degli atti depositati in giudizio e di tutte le argomentazioni condivisibili svolte in replica, ritiene di dover dissentire dalla prospettazione della ricorrente.
Per i contratti nei settori speciali, l’art. 206 del codice richiama, espressamente ed integralmente, gli artt. 87 e 88; non viene, invece, richiamato l’art. 89; quanto all’art. 86 (qui di interesse) la sua applicazione è facoltativa, dovendo gli enti aggiudicatori indicarlo nell’avviso con cui si indice la gara o nell’invito a presentare le offerte.
Il Collegio ritiene di non poter aderire alle conclusioni a cui è giunta parte della giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (Tar Puglia, Bari, n. 1210/2016).
In proposito, possono utilizzarsi, in una sorta di applicazione analogica, altre argomentazioni svolte in relazione all’art. 30 Codice appalti.
La giurisprudenza ha precisato che “l’applicazione di norme, non direttamente richiamate dall’art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, non può che rientrare nella discrezionalità della stazione appaltante, la quale può decidere di autovincolarsi ed assoggettarsi al sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta: laddove la legge di gara non abbia fatto nessun richiamo alla procedura di valutazione dell’anomalia dell’offerta, gli art. 86-88 del codice dei contratti non possono trovare diretta applicazione” (Cons. Stato, sez. V, sentenza 22 marzo 2011, n. 1784; T.A.R. Perugia, sez. I, sentenza 21 gennaio 2010, n. 26; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, sentenza 11 gennaio 2010, n. 232).
In ogni caso, nella vicenda, appare elemento dirimente il fatto che, come chiarito, i punteggi siano stati< riparametrati> e dunque non sussiste – in punto di fatto – alcuna anomalia dell’offerta.
Questo è stato anche – chiaramente – precisato e confermato dalle controparti, ivi compresa la memoria a difesa di S.B. & C.S..
2). Con il secondo motivo l’interessata E. sostiene che l’art. 47, comma 1, Codice appalti sancisce il divieto di partecipare a gare di appalto agli operatori economici stabiliti in Paesi diversi dall’Italia che non rientrino tra gli Stati aderenti all’Unione Europea, tra i paesi firmatari dell’accordo sugli appalti pubblici che figura nell’allegato 4 dell’Accordo che istituisce l’OCSE, o tra i paesi che, in base ad altre norme di diritto internazionale, consentano la partecipazione ad appalti pubblici a condizioni di reciprocità.
Nella specie la aggiudicataria non avrebbe potuto legittimamente partecipare alla gara non potendo dare dimostrazione di produrre gli autobus oggetto della commessa in stabilimenti posti sul suolo italiano o comunque di uno Stato tra quelli ricompresi nella normativa sopra citata.
Dal sito internet ufficiale della società risulta che essa possiede due siti produttivi : lo stabilimento bolognese e quello di Flumeri, in provincia di Avellino; questo è chiuso da tempo; anche quello di Bologna è in mobilità e cassa integrazione. Il resto degli ordini verrebbe evaso tramite esternalizzazione della attività produttiva presso stabilimenti in Turchia.
Il Collegio non ritiene condivisibile il motivo.
In via preliminare, deve essere richiamata la normativa in materia.
Come noto, l’art. 47 del Cod. Appalti prevede che “Agli operatori economici stabiliti negli altri Stati aderenti all’Unione Europea, nonché a quelli stabilite nei Paesi firmatari dell’accordo sugli appalti pubblici che figura nell’allegato 4 dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, o in Paesi che, in base ad altre norme di diritto internazionale, o in base ad accordi bilaterali siglati con l’Unione Europea o con l’Italia che consentano la partecipazione ad appalti pubblici a condizioni di reciprocità, la qualificazione è consentita alle medesime condizioni richieste alle imprese italiane.”
La giurisprudenza ha interpretato la norma nel senso che essa esclude “che un’impresa comunitaria possa avvalersi dei requisiti tecnico-operativi messi a disposizione da parte di un’impresa extracomunitaria non appartenente ad alcuno dei Paesi di cui al comma 1 dell’art. 47 del d.lgs. 163 del 2006, ovvero che non abbiano stipulato particolari accordi di reciprocità con l’Unione Europea o con l’Italia” (così CdS IV 969/2012).
L’art. 47 costituisce recepimento nell’ordinamento interno delle disposizioni dell’Agreement on Government Procurement (GPA o Accordo sugli appalti pubblici), incluso nell’allegato IV dell’Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization – WTO), sottoscritto a Marrakesh il 15 aprile 1994, che incorpora i risultati dei negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay Round.
Tale Accordo è vincolante per tutti gli Stati che lo hanno sottoscritto, fra cui rientrano l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America.
L’Unione Europea ha aderito al GPA con decisione del Consiglio n. 94/800/CE del 22 dicembre 1994, il cui art. 2 recita: “sono approvati a nome della Comunità europea, relativamente alla parte di sua competenza, gli accordi plurilaterali che figurano nell’allegato 4 dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio”.
L’Unione Europea ha dato poi attuazione a tale obbligo di fonte internazionale emanando le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, relative agli appalti pubblici nei settori ordinari e speciali.
Per quanto riguarda la direttiva 2004/18/CE, si ricorda che:
– il settimo considerando stabilisce che “…il regime applicabile agli offerenti e ai prodotti dei paesi terzi firmatari è quello definito dall’Accordo”, e che le “le amministrazioni aggiudicatrici contemplate dall’Accordo che si conformano alla presente direttiva ed applicano le stesse disposizioni agli operatori economici dei paesi terzi firmatari dell’accordo, rispettano così l’Accordo”;
– l’art. 5 dispone che “gli Stati membri applicano nelle loro relazioni condizioni favorevoli quanto quelle che concedono agli operatori economici dei paesi terzi in applicazione dell’Accordo sugli appalti pubblici”.
Con l’art. 47 le disposizioni del GPA recepite nelle direttive europee sono state nuovamente recepite dal Legislatore nazionale, per cui nell’ordinamento italiano – in base all’impegno assunto dall’Europa – vige il principio di apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza internazionale, subordinatamente al rispetto del principio di qualificata reciprocità.
La ratio del più volte citato art. 47 è stata individuata nella garanzia della parità sostanziale di trattamento tra i concorrenti nei procedimenti ad evidenza pubblica, in modo da evitare l’ingresso nei procedimenti medesimi di imprese i cui costi di gestione ambientale, operativi e tecnici sono o possono essere imparagonabili a quelli delle imprese comunitarie (così, CdS, IV, n. 969/2012), nonché della par condicio sostanziale compromessa dalla partecipazione di imprese che fruiscano di costi di gestione ambientale, operativi e tecnici più vantaggiosi rispetto a quelli sostenuti dalle imprese comunitarie (v. Tar Lazio, sez. I bis, n. 5896/2007).
La giurisprudenza amministrativa si è posta il problema dell’ambito oggettivo della applicazione dell’art. 47, posto che dal tenore della disposizione (che menziona le procedure di “qualificazione” delle imprese), alla luce del quadro normativo previgente, pareva che la stessa potesse essere letteralmente riferita ai soli appalti di lavori pubblici.
I giudici amministrativi hanno, tuttavia, ritenuto che la norma debba essere riferita anche agli appalti di forniture e di servizi (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. I bis, 16.12.2008, n. 11405; sez. I bis, 17.12.2010, n. 37093; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 6.12.2010, n. 26798; parere dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di data 26.10.2006).
Il successivo art. 234 del Codice appalti dispone poi quanto segue :
a) “Le offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi con cui la Comunità non ha concluso, in un contesto multilaterale o bilaterale, un accordo che garantisca un accesso comparabile ed effettivo delle imprese della Comunità agli appalti di tali Paesi terzi, sono disciplinate dalle disposizioni seguenti, salvi gli obblighi della Comunità o degli Stati membri nei confronti dei Paesi terzi” (comma 1).
b) “Qualsiasi offerta presentata per l’aggiudicazione di un appalto di forniture può essere respinta se la parte dei prodotti originari di Paesi terzi, ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, supera il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l’offerta” (comma 2).
La norma, che recepisce l’art. 58 della direttiva 2004/17, relativo agli appalti nei settori speciali, definisce prioritariamente il concetto di Paese terzo, quale paese estraneo alla Comunità europea, con il quale i paesi aderenti alla Comunità non abbiano concluso convenzioni e accordi, multilaterali o bilaterali, che assicurino un accesso comparabile ed effettivo delle imprese della Comunità alle gare indette da questi Paesi. La nozione di Paese terzo impiegata dalla disposizione non coincide, dunque, con quella di Paese non aderente all’U.E. in quanto accanto a tale requisito occorre verificare l’assenza di accordi o di convenzioni tra tale Paese e la CE, finalizzati all’applicazione di tale direttiva – salva la possibilità che il Consiglio della Comunità adotti decisioni al riguardo, estendendo il beneficio dell’applicazione della disciplina comunitaria.
Ciò posto, con riferimento alle offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi, i principi di libera concorrenza nell’ambito di un unico mercato non operano automaticamente: la “ratio” della previsione di una disciplina speciale, circoscritta ai soli appalti di forniture, siano esse di merci o prodotti (con esclusione, quindi, delle sole attività di servizi e lavori), risiede nell’esigenza di garantire che l’apertura del mercato degli appalti comunitari a tali Paesi terzi avvenga nel rispetto della condizione di reciprocità. L’obiettivo di garantire a tutti gli operatori economici un trattamento uniforme e discriminatorio, favorendo l’ingresso di nuovi soggetti alle commesse pubbliche, viene, pertanto contemperato con l’esigenza di assicurare condizioni minime di tutela della “par condicio” per le imprese comunitarie che partecipano alle procedure di gara. Ciò spiega l’introduzione, su impulso comunitario, di una disciplina speciale che si fonda sulla stipulazione o meno tra CE e i suddetti Paesi terzi di accordi che garantiscano un accesso comparabile ed effettivo delle imprese comunitarie agli appalti indetti anche in tali Paesi.
La giurisprudenza (Tar Campania, Napoli, V, n. 4695/2014) ha altresì affermato i seguenti principi:
a). Concorre a delineare la natura di “Paese terzo” anche l’elemento di natura quantitativa: le offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi sono ammissibili se il valore dei prodotti ivi realizzati non superi il 50% del valore totale dei prodotti offerti.
b). Quanto alla natura della produzione, e, nello specifico all’origine dei prodotti, è indubbio che l’esegesi della norma prospettata dalla ricorrente sposta indebitamente l’attenzione dal profilo oggettivo dei prodotti, positivamente determinato -in quanto preso in testuale considerazione dalla norma imperativa in esame- a quello soggettivo del produttore.
c). In realtà, ciò che rileva è il riferimento testuale dell’articolo 234, comma 2, ai prodotti “originari di Paesi terzi, ai sensi del Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario”. La valutazione dell’origine dei prodotti che compongono l’offerta deve, dunque, essere accertata ai sensi del suddetto regolamento che istituisce il codice doganale dell’U.E..
d). Il predetto Regolamento, in particolare, stabilisce, all’articolo 23, che “sono originarie di un paese le merci interamente ottenute in tale paese” e, ancora, all’art. 24, che “una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.
e). Nello stesso senso dispongono i successivi regolamenti CE integrativi, contenenti il Codice doganale dell’Unione aggiornato, n. 450/2008 (art. 36), e, da ultimo, n. 952/2013, che, all’art. 60, disciplina, parimenti e in analogo modo, l’”Acquisizione dell’origine” dei prodotti e delle merci (applicabile, in virtù del rinvio dinamico, contenuto nel citato art. 234).
f). In conclusione, quindi, il presupposto per l’applicazione della disciplina speciale non è costituito dalla nazionalità delle imprese offerenti, determinata dal luogo ove è ubicata la sede legale e amministrativa quanto, piuttosto, dall’origine dei prodotti provenienti da Paesi Terzi. In tale prospettiva, al fine di determinare il campo di applicazione della norma, acquista rilievo il luogo di produzione del bene e quindi la sede dello stabilimento in cui esso viene realizzato la quale, di per sé, non coincide con il luogo in cui è ubicata la sede legale o amministrativa dell’impresa (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 27.03.2014, n. 1848/2014; Cass. Pen., sez. III, 27.01.2012, n. 19650; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 15.02.2010, n. 131).
g). La norma, in altri termini, ha istituito un sistema di preferenza comunitario basato non sulla nazionalità degli offerenti ma sull’origine dei prodotti: la natura italiana dell’impresa non rende italiano il prodotto realizzato altrove, sebbene la produzione sia effettuata in proprio, dovendosi scindere il profilo soggettivo, del produttore, da quello oggettivo, dell’origine del prodotto cui fa riferimento l’art. 234 del d.lgs. n. 163 (con espresso rinvio al regolamento 2913/1992 e successive modifiche).
Tanto premesso il Collegio, alla luce della normativa in materia e degli atti depositati in giudizio, condivide le repliche svolte dalle controparti.
Le affermazioni della ricorrente non risultano adeguatamente dimostrate.
Peraltro, la stessa “casa madre” E. GmbH, con sede legale in Germania, ha allegato una brochure informativa nella quale a pagina 5 sono elencati i siti produttivi di tutto il mondo e fra essi uno è ubicato proprio in Turchia.
Anche I. , con memoria di replica depositata in data 11.11.2016, chiarisce che l’art. 47 citato è riferito agli operatori economici stabiliti nei cd. Stati terzi; I. invece è operatore italiano.
Inoltre, tutti gli operatori europei nel particolare mercato della produzione di autobus dispongono di stabilimenti di produzione sia all’interno della UE che in Paesi terzi.
Infine, l’art. 234 citato (intitolato e riferito a prodotti originari di paesi terzi) non comporta un obbligo di esclusione dell’offerta; al comma 2 prevede una facoltà di esclusione (che va esplicitata nella lex specialis); e al comma 3 prevede un criterio di preferenza esercitabile limitatamente ai casi in cui la differenza di prezzo tra le due offerte non sia superiore al 3%.
Nel caso di specie, la lex specialis non contiene la previsione di esclusione delle offerte aventi ad oggetto i prodotti originari di paesi terzi e la differenza di prezzo tra l’offerta risultata aggiudicataria e quella presentata dalla ricorrente è di gran lunga superiore al 3%.
Può ora passarsi all’esame dei motivi aggiunti.
1). Con il primo motivo aggiunto la ricorrente richiama il punto VI.2) dell’Avviso relativo alla procedura in questione; questo prevede che : “saranno invitate le imprese la cui produzione effettiva di autobus/filobus negli ultimi 3 esercizi precedenti la pubblicazione dell’avviso sia pari ad almeno 1.5 volte il numero di mezzi oggetto della richiesta di offerta di volta in volta inviata da T.”.
A suo avviso, I. poteva essere legittimamente invitata ad una gara che prevedesse la fornitura del numero massimo di 260 autobus; invece la stessa è stata richiesta di offerta per tutti e 9 i lotti di gara (che prevedevano complessivamente la fornitura di 410 autobus/filobus).
Sarebbe, dunque, palese la violazione dell’art. 232 Codice appalti e del predetto Avviso.
Anche questa prospettazione non è condivisibile.
Come chiarito in replica da T. la ricorrente non tiene conto che – trattandosi di una gara suddivisa in lotti – la capacità produttiva deve essere rapportata al numero massimo di autobus da fornire previsto per ogni singolo lotto.
A tal proposito, la lettera di invito, al paragrafo 1, recita espressamente : “I capitolati di gara vengono trasmessi unicamente su supporto informativo, si consideri che il CD allegato alla presente lettera di invito contiene tutti e 9 i capitolati di gara, ma resta inteso che ciascun concorrente dovrà tenere conto solamente dei documenti riferiti ai lotti per i quali è stata invitata a presentare offerta”.
Anche I., con memoria di replica depositata in data 25.11.2016, chiarisce che ciascun lotto singolarmente era tale da poter formare oggetto di offerta da parte di I. stessa; in particolare, ciascun lotto richiede una offerta specifica, e viene aggiudicato in esito ad un distinto ed autonomo procedimento di scelta del contraente; ciascun lotto, insomma, rappresenta una gara autonoma, sia con riferimento alla procedura di scelta del contraente che ai fini della quantificazione del valore oggetto della gara.
In ogni caso, I. ha presentato offerta solo nei lotti 3, 4, 5, e 8 per un numero di autobus complessivo massimo pari a 178 autobus e dunque ampiamente entro i limiti della propria capacità produttiva.
Dunque, la censura trova una smentita puntuale ed espressa in punto di fatto.
2). Con il secondo motivo aggiunto la ricorrente sostiene che, dalla lettura del verbale di gara del 30.6.2016, si evince che l’ente appaltante ha richiesto ai concorrenti di redigere e consegnare la propria offerta in miglioramento in sede di negoziazione senza avere prima comunicato loro i punteggi assegnati alla offerta economica e di conseguenza la graduatoria provvisoria della gara per ogni singolo lotto.
In altre parola, li avrebbe costretti a fare offerta migliorativa alla cieca, senza poter disporre degli elementi necessari per ponderare tale offerta.
Anche questa prospettazione non è condivisibile.
T. eccepisce la tardività del motivo e l’infondatezza.
In relazione al primo aspetto, alla seduta del 30.6.2016 erano presenti due rappresentanti di E. (uno dei quali era il Direttore commerciale M.M., legale rappresentante della ricorrente).
Anche a prescindere dal rilievo di tardività, il motivo è infondato nel merito in quanto nella seduta la Commissione ha dato lettura delle offerte economiche e non aveva l’obbligo di stilare alcuna graduatoria (dato che nella lex specialis era previsto che sarebbe immediatamente seguita una fase di negoziazione vertente anche sugli aspetti economici); e i concorrenti peraltro erano a conoscenza dei punteggi tecnici e dell’offerta economica.
In conclusione, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere respinti.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Condanna il soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida nella misura di € 10.000,00 -oltre IVA e CPA come per legge- per ciascuna delle tre parti costituite in giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.