TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LAZIO – Sentenza 06 giugno 2018, n. 6337
Somme dovute a titolo di risarcimento danno – Inadempienza contrattuale – Mancata assunzione di vincitori di concorso – Sentenza di condanna del Ministero al pagamento – Effettuazione ritenute a titolo di IRPEF e riversamento all’Erario – Illegittimità – Restituzione da parte del Ministero delle somme illegittimamente trattenute
Fatto e diritto
1. Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti agiscono per l’ottemperanza alla sentenza della Corte di Appello di Roma Sezione Lavoro n. 1819/2014, di cui danno prova del passaggio in giudicato.
In particolare chiedono che le somme loro dovute, in forza della citata sentenza, a titolo di risarcimento del danno, vengano corrisposte esenti da imposizione fiscale e, dunque, chiedono che l’amministrazione venga condannata al pagamento, in loro favore, anche delle somme illegittimamente trattenute a titolo di aliquota IRPEF sugli importi corrisposti.
Con ordinanza n. 2622 dell’8 marzo 2018 la Sezione ha disposto di acquisire dall’amministrazione una dettagliata relazione, accompagnata da documentazione, in ordine alle modalità e alle ragioni giuridiche in base alle quali sono stati calcolati gli importi risarcitori dovuti a ciascuno dei ricorrenti, che essi affermano corrisposti in modo parziale e decurtati di un’imposta non dovuta.
Espletato l’incombente istruttorio e costituitosi in giudizio il Ministero della Giustizia, alla camera di consiglio del 29 maggio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Con la sentenza n. 1819/2014 la Corte di Appello di Roma – Sezione Lavoro, ha condannato il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno in favore dei attuali ricorrenti, ritenendolo inadempiente in relazione alla loro mancata assunzione a seguito del concorso di cui sono risultati vincitori, pertanto ha dichiarato il diritto dei ricorrenti stessi al risarcimento del danno quantificato in misura pari “alla retribuzione globale” dalla data di notifica del ricorso di primo grado (18 giugno 2009).
Ciò posto e dando atto che il Ministero ha effettuato pagamenti di importi diversi in favore di ciascuno dei ricorrenti, essi lamentano di non essere in grado di comprendere come siano state quantificate le suddette somme, non avendo il Ministero reso noti i calcoli effettuati, e dubitano che le predette somme siano state calcolate in misura pari alla retribuzione globale (che sarebbe spettata a partire dal 18 giugno 2009 data di notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e, continuativamente, fino al passaggio in giudicato della sentenza, perfezionatosi il 2 settembre 2015), ossia comprensiva di tutte le maggiorazioni intervenute in base al contratto di lavoro e dunque di tutte le modifiche retributive migliorative maturate ed applicate da tale data.
Inoltre denunciano che il Ministero, come risulta dai prospetti riferiti a due dei ricorrenti, ha detratto dalle somme versate un ammontare pari al 23% a titolo di aliquota IRPEF, sull’erroneo presupposto che tale detrazione fosse dovuta laddove, invece, trattandosi di somme pagate a titolo di risarcimento del danno, non sarebbe possibile assoggettarle a trattenute fiscali.
Richiamano, in proposito, precedenti specifici rappresentati dalle sentenze di questo T.A.R. n. 6990/17, n. 12792/17 e n. 1120/18 che definiscono il danno sofferto dai ricorrenti, in vicende analoghe, come danno da inadempimento del Ministero.
Pertanto chiedono che il Ministero restituisca le somme trattenute a titolo di aliquota fiscale.
3. Il Ministero della Giustizia, in adempimento dell’ordinanza istruttoria n. 2622/18, ha depositato i prospetti di liquidazione delle somme dovute a ciascuno dei ricorrenti e una breve relazione in cui la direttrice dell’Ufficio affari legali del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria riferisce che l’Ufficio ha provveduto ad effettuare la trattenuta IRPEF in ossequio al combinato disposto di cui all’art. 6 e all’art. 17 del TUIR secondo cui “l’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi: a) …. le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro”.
Difende, pertanto, la correttezza del proprio operato sulla considerazione che, per legge, sono assoggettabili ad imposizione IRPEF, tutte le indennità percepite in sostituzione di una perdita di reddito, mentre non sono tassabili le indennità percepite a titolo di risarcimento del danno emergente, ovvero quelle indennità il cui ammontare viene svincolato dalla durata del rapporto di lavoro.
Richiama in proposito giurisprudenza della Cassazione che ritiene assoggettabile a tassazione, in base all’art. 6, comma 2, TUIR., integrato dalle prescrizioni di cui all’art. 485, comma primo, del TUIR, l’indennità supplementare per licenziamento ingiustificato, corrisposta sulla base della contrattazione collettiva ai dirigenti di azienda incorsi in licenziamento illegittimo, a condizione “che risulti accertata la relativa fattuale destinazione a coprire un danno consistito nella perdita di redditi (delle retribuzioni che sarebbero state percepite nell’ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro), e non un pregiudizio diverso” (sentenza n. 11687 del 5 agosto 2002), nonché la risposta in termini del Ministero delle Finanze ad apposito quesito inviato dall’Ufficio.
Ha anche evidenziato che l’eventuale rimborso della ritenuta IRPEF trattenuta e già riversata all’erario potrebbe avvenire solo con richiesta all’Agenzia delle Entrate o con ricorso alla commissione tributaria.
4. Con sentenza n. 1819/2014 la Corte di Appello di Roma – Sezione Lavoro, confermando, per quanto di interesse, la sentenza del Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, n. 15600/2010, ha ritenuto il Ministero della Giustizia inadempiente, per mancata assunzione dei ricorrenti in quanto vincitori di concorso e lo ha condannato al risarcimento in loro favore del danno, quantificato in misura pari “alla retribuzione globale” dalla data di notifica del ricorso di primo grado (18 giugno 2009).
I ricorrenti, tutti regolarmente assunti in esecuzione della sentenza azionata, chiedono l’esatta esecuzione della stessa nella restante parte, ovvero quella riguardante il risarcimento.
Lamentano due profili di non corretta esecuzione, entrambi riguardanti il quantum.
Il primo profilo investe l’ammontare delle somme dovute, del quale dichiarano di non conoscere la metodologia di calcolo e che, a loro dire, dovrebbe essere uguale per tutti gli aventi diritto e dovrebbe essere commisurato al periodo che va dal 18 giugno 2009, data di notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, al 2 settembre 2015, data del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello, mentre di fatto a ciascun ricorrente sarebbe stata corrisposta una somma diversa: somma che, tuttavia, omettono di specificare.
Il secondo riguarda la detrazione che il Ministero ha operato, dalle somme versate a ciascuno di essi, di un ammontare pari al 23% a titolo di aliquota IRPEF, sull’erroneo presupposto che si tratti di redditi e non di risarcimento.
Pertanto chiedono che il Ministero restituisca le somme trattenute a titolo di imposte.
5. Il Ministero ha depositato i prospetti di liquidazione per ciascuno dei ricorrenti.
Dagli stessi risulta che a ciascuno dei ricorrenti è stato corrisposto dapprima un acconto, uguale per tutti, pari a € 30.520,72 oltre interessi per il periodo che va dal 18 giugno 2009, data fissata nella sentenza di primo grado (erroneamente indicato come 16 giugno 2009) all’8 ottobre 2010 (data della sentenza in discorso); successivamente è stato loro corrisposto il saldo, per il periodo che va dal 9 ottobre 2010 fino alla data di immissione in servizio di ciascuno.
5.1. Dalle evidenze documentali risulta che tali ultime somme ammontano a € 96.713,04 oltre interessi per tutti i ricorrenti assunti in servizio dal 1 dicembre 2014, tranne che per Di Sante Giulia, assunta in servizio il 27 marzo 2015, cui è stata corrisposta la somma di € 104.232,28 oltre interessi e Capacchione Giuliana, assunta il 19 gennaio 2015, cui è stata corrisposta la somma di € 99.824,45 oltre interessi.
Quanto precede spiega le fin troppo evidenti ragioni del diverso ammontare, correlato alla diversa data di assunzione in servizio di alcuni di essi (circostanza di cui i ricorrenti non hanno fatto parola in ricorso) e smentisce la tesi secondo cui il risarcimento sarebbe dovuto essere computato fino alla data del passaggio in giudicato della sentenza, ossia il 2 settembre 2015.
Ciò per l’evidente ragione che, alla predetta data, i ricorrenti erano già tutti in servizio e percepivano regolare stipendio per il rapporto di impiego ormai costituitosi, non potendo dunque essi pretendere di percepire, per lo stesso periodo, anche un risarcimento che trovava la sua fonte, invece, proprio nella mancata costituzione del rapporto di lavoro.
Una simile pretesa è ontologicamente contraddittoria.
Quanto, poi, alla doglianza, espressa in forma dubitativa, secondo cui essi non sarebbero sicuri che le predette somme siano state calcolate in misura pari alla retribuzione globale, ossia comprensiva di tutte le maggiorazioni intervenute in base al contratto di lavoro e dunque di tutte le modifiche retributive migliorative maturate ed applicate da tale data, il Collegio rileva che il Ministero ha depositato in giudizio i prospetti di calcolo, da cui risulta che gli emolumenti corrisposti risultano comprensivi di stipendio base più indennità integrativa speciale, di indennità penitenziaria e del rateo 13° mensilità.
Tali prospetti non sono stati contestati dai ricorrenti.
In base al principio di non contestazione, di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c. e all’art. 64, comma 4, c.p.a., il Collegio deve porre a fondamento della decisione i suddetti prospetti depositati dal Ministero, anche tenuto conto che, nel caso di specie, si verte in materia di diritti soggettivi patrimoniali, la cui prova (contratti collettivi di categoria e regole sulla progressione stipendiale) era nella piena disponibilità della parte ricorrente (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. IQuater, 8 maggio 2018, n. 5074).
La prima delle due doglianze è, pertanto, infondata.
5.2. In ordine alla dedotta illegittimità della ritenuta fiscale operata dall’amministrazione sulle somme corrisposte, il ricorso è, invece, fondato nei limiti di seguito esplicitati.
Invero la sentenza azionata ha confermato la statuizione del giudice di primo grado che aveva qualificato la natura della pretesa di parte ricorrente come “risarcitoria”, usando il valore delle retribuzioni solo come parametro cui conformare il danno patito.
Il debito per cui è causa trova la sua fonte nell’inadempimento contrattuale, segnatamente nel mancato adempimento dell’obbligo di costituire un rapporto di lavoro.
Ne discende che, all’atto della erogazione, le somme da corrispondere non potevano essere assimilate ad un corrispettivo per attività lavorativa, con la conseguenza che al Ministero obbligato non competeva l’onere di operare la ritenuta alla fonte, dovendo al contrario versare all’avente diritto per intero l’importo spettantegli a titolo di risarcimento, tale qualificato dal giudice ordinario, salvo l’obbligo successivo del percettore di dichiarare al fisco tale introito e di vederselo eventualmente assoggettato ad imposta secondo legge, non essendo eludibile il principio per cui le somme percepite dal contribuente a titolo di risarcimento costituiscono reddito imponibile nei limiti in cui siano destinate a reintegrare il danno subito dalla mancata percezione di redditi, non essendo sufficiente allegare il carattere risarcitorio dell’erogazione e costituendo risarcimento anche il ristoro di emolumenti non percepiti, tassabili ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986 (cfr. da ultimo: Comm. trib. reg. Lazio, Roma, sez. VII, 28 febbraio 2018, n. 1351).
In altri termini, la questione che viene in rilievo nel caso di specie non è se le somme erogate siano tassabili e con quale aliquota, atteso che di norma qualunque entrata confluisce nel reddito imponibile ed è tassabile, salvi i casi espressamente esclusi dalla legge, bensì se, nell’erogare le suddette somme, giudizialmente dovute a titolo risarcitorio, il Ministero potesse agire quale sostituto di imposta e, dunque, operare la ritenuta alla fonte.
La risposta a tale quesito non può che essere negativa data la natura delle somme da versare, espressamente qualificata risarcitoria con sentenza del giudice ordinario, passata in giudicato.
L’ulteriore questione dell’eventuale recupero delle somme, già riversate dal Ministero della Giustizia al Ministero delle Finanze, è questione da regolare fra le due amministrazioni che, dunque, resta estranea al presente giudizio.
In conclusione deve dichiararsi la mancata integrale ottemperanza alla sentenza in epigrafe, relativamente alle somme dovute a ciascuno dei ricorrenti a titolo di risarcimento del danno per inadempimento e, in parziale accoglimento del ricorso, deve ordinarsi al Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, di versare a ciascuno dei ricorrenti le somme erroneamente trattenute a titolo di aliquota IRPEF oltre interessi, entro trenta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza, riservandosi la nomina di un Commissario ad acta, ad istanza dei ricorrenti, in caso di ulteriore inadempimento.
6. Le spese del giudizio, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso, possono essere compensate.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, ordina al Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, di versare a ciascuno dei ricorrenti le somme trattenute a titolo di aliquota IRPEF oltre interessi, entro trenta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza, riservando la nomina di un Commissarioad acta, ad istanza dei ricorrenti, in caso di ulteriore inadempimento.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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