TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LAZIO – Sentenza 29 maggio 2020, n. 5735
CNEL – Confcommercio Imprese per l’Italia – Assegnazione di un posto nell’elenco dei rappresentanti
Fatto
1. C. Confcommercio Imprese per l’Italia (in avanti, “C.”) impugna, chiedendone l’annullamento, il decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 2018, recante la nomina di quarantotto rappresentanti delle categorie produttive del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (in poi, “CNEL” o “Consiglio Nazionale”), nonché di tutti gli atti connessi, conseguenti e presupposti, tra cui, in particolare, il provvedimento con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha ammesso Confprofessioni al procedimento di designazione dei rappresentanti delle categorie produttive del CNEL e il decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 2018 con il quale è stato accolto il ricorso promosso dalla medesima Confprofessioni ai sensi dell’articolo 4, comma 4, della legge 30 dicembre 1986, n. 936 avverso l’elenco dei predetti rappresentanti.
2. C., premesso di rappresentare a livello nazionale le imprese attive nel settore del trasporto, della spedizione e della logistica ad essa aderenti e di avere chiesto l’assegnazione di un posto nell’elenco dei rappresentanti del costituendo CNEL per il quinquennio 2017-2022, nella categoria delle imprese, lamenta l’illegittimità della propria esclusione dal Consiglio Nazionale. Fa presente che un proprio rappresentante era stato inserito nell’elenco dei rappresentanti selezionati ai sensi dell’art. 4, co. 3 della legge n. 936/1986 e trasmesso dalla Presidenza del Consiglio alle organizzazioni designanti. Tuttavia, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, in data 10 maggio 2018, del D.P.R. 23 marzo 2018, la ricorrente ha appreso che, a seguito dell’accoglimento del ricorso amministrativo presentato da Confprofessioni avverso l’elenco trasmesso dall’amministrazione, il soggetto designato da C. era stata escluso dai componenti del CNEL, in favore dell’assegnazione di un seggio a Confprofessioni.
Al primo motivo, parte ricorrente osserva che Confprofessioni aveva presentato, in data 6 aprile 2017, una prima designazione di un proprio rappresentante da nominare a componente del Collegio CNEL nell’ambito delle categorie dei datori del settore commercio e dei servizi e che tale designazione non era stata ritenuta ammissibile dalla Presidenza del Consiglio in quanto presentata prima della data di avvio del procedimento per l’individuazione dei componenti del Collegio CNEL. Impugnato tale provvedimento innanzi a questo Tribunale e poi al Consiglio di Stato, Confprofessioni otteneva in appello la misura cautelare richiesta. Tuttavia, anziché sottoporre nuovamente la designazione alla Presidenza del Consiglio, presentava una nuova designazione, questa volta nella categoria delle “imprese”. C. sostiene che in tal modo sarebbe stato violato il contenuto conformativo dell’ordinanza n. 4027/2017 del Consiglio di Stato, in quanto essa aveva imposto all’Amministrazione – ai fini cautelari – di esaminare e valutare soltanto la prima designazione presentata. Inoltre, la seconda designazione, oltre che essere stata presentata per una categoria diversa da quelle indicata in precedenza, sarebbe intervenuta fuori termine rispetto alle indicazioni perentorie contenute nell’avviso dell’11 aprile 2017. Nel secondo mezzo di gravame, parte ricorrente contesta l’inserimento di Confprofessioni tra i componenti del CNEL nominati in rappresentanza delle imprese, in quanto la definizione di impresa che rileverebbe ai fini della nomina prescinderebbe da quello accolta in sede comunitaria e non potrebbe essere intesa nel senso di comprendere al suo interno anche quella di lavoratore autonomo o professionista. La ricorrente contesta anche la disparità di trattamento, in quanto a Confprofessioni sarebbe stato riservato un trattamento di miglior favore rispetto a quello riservato ai professionisti, i cui rappresentanti sono stati selezionati dal Ministero della Giustizia.
Al terzo motivo la ricorrente deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto emanati senza esaminare le controdeduzioni presentate da C., con conseguente eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento di fatto e disparità di trattamento.
Nel quarto motivo, deduce il travisamento dei dati sulla rappresentatività delle confederazioni segnalanti, che per un verso non corrisponderebbero a quelli reali e, per altro verso, sarebbero stati erroneamente valutati. Sostiene, in particolare, che sarebbero inattendibili i dati sulla rappresentatività di Confetra, che nella realtà avrebbe un numero di aziende e di dipendenti notevolmente inferiore e non comparabile a quello della ricorrente.
3. A seguito della udienza pubblica del 16 ottobre 2019, è stata ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le sigle sindacali cui è stato attribuito almeno un seggio nella categoria delle imprese, nonché dei soggetti nominati nell’ambito della predetta categoria.
4. Si sono costituite in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e, quale parte controinteressata, le associazioni Casartigiani, CNA, Confprofessioni, Confitarma, Confartigianato, Confservizi, Confetra, Confagricoltura, Confindustria e ABI, nonché alcuni soggetti designati quali membri del CNEL, chiedendo la reiezione del ricorso siccome infondato. La difesa erariale ha altresì chiesto l’estromissione dal giudizio della Presidenza della Repubblica, pure intimata, in quanto priva di legittimazione passiva. Confetra ha eccepito l’inammissibilità del quarto motivo di ricorso, in quanto non strumentale all’accoglimento della domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati, censurati con riferimento alla sola posizione di Confprofessioni. Confindustria e Confprofessioni eccepiscono l’inammissibilità del primo motivo, in quanto l’ammissione della candidatura di Confprofessioni sarebbe coperta da giudicato cautelare e comunque le censure sarebbero tardive, visto che l’organizzazione ricorrente era a conoscenza sin dal 15 novembre 2017 che Confprofessioni era stata riammessa e concorreva per la rappresentanza delle imprese. Confservizi e Confindustria hanno inoltre dedotto l’inammissibilità del gravame in ragione della insindacabilità nel merito degli atti di alta amministrazione.
5. Con memoria del 9 marzo 2020, la ricorrente ha fatto presente di avere dovuto procedere alla rinnovazione della notifica nei confronti di uno dei soggetti nominati in seno al CNEL, in ragione dell’erronea indicazione dell’indirizzo fornito dalla Presidenza del Consiglio.
6. Alla udienza del 20 maggio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
Diritto
1. Preliminarmente, va disposta l’estromissione dal giudizio della Presidenza della Repubblica: essendo impugnati atti adottati previo recepimento della proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, la legittimazione passiva spetta all’autorità proponente e non anche alla Presidenza della Repubblica (in termini, cfr. Tar Lazio, sez. I, 2 dicembre 2016, n. 12054).
2. Sempre in via preliminare, si osserva che il contraddittorio è integro, in quanto la notifica a uno dei soggetti partecipanti al CNEL risulta essere stata correttamente eseguita dalla parte ricorrente all’indirizzo di residenza effettivo di quest’ultimo, non appena comunicato dalla Presidenza del Consiglio, e si è perfezionata l’11 febbraio 2020, pertanto in tempo utile affinché lo stesso potesse partecipare al giudizio.
3. Nel merito, è possibile prescindere dalle eccezioni in rito variamente formulate dalle parti controinteressate, attesa l’infondatezza del gravame.
4. Giova rammentare che l’art. 99, comma 1, della Costituzione, nel rimettere alla legge il compito di definire la composizione del CNEL, impone di tenere conto della “importanza numerica e qualitativa” dei rappresentanti delle categorie produttive.
In attuazione del precetto costituzionale, la legge 30 dicembre 1986, n. 936 disciplina la composizione del CNEL e la modalità di nomina dei suoi rappresentanti. La legge è stata oggetto di modifica dall’art. 23 del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214), che ha, in particolare, ridotto il numero dei membri del CNEL da 119 a 64. A seguito della novella legislativa, il numero dei rappresentanti della categoria dei lavoratori autonomi è, quindi, diminuito da 18 a 9 unità.
Di interesse è anche l’art. 4 della legge n. 936/1986, che individua la procedura di nomina dei rappresentanti del Consiglio Nazionale. E’ ivi previsto che le organizzazioni sindacali di carattere nazionale effettuano la designazione dei quarantotto rappresentanti delle categorie produttive (art. 4, comma 2) e il Presidente del Consiglio dei Ministri definisce l’elenco dei rappresentanti delle organizzazioni “maggiormente rappresentative” (art. 4, comma 3). Il successivo comma 4 descrive la procedura attraverso la quale le organizzazioni possono ricorrere avverso il predetto elenco, stabilendo l’obbligo per le organizzazioni sindacali ricorrenti di “fornire tutti gli elementi necessari dai quali si possa desumere il grado di rappresentatività, con particolare riguardo all’ampiezza e alla diffusione delle loro strutture organizzative, alla consistenza numerica, alla loro partecipazione effettiva alla formazione e alla stipulazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro e alle composizioni delle controversie individuali e collettive di lavoro” (art. 4, comma 5). La decisione sul ricorso è assunta, entro i successivi 45 giorni, con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, su deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 4, comma 7).
5. Passando allo scrutinio delle censure formulate nel ricorso, è in primo luogo da escludersi l’inammissibilità o la tardività della designazione fatta da Confprofessioni, che non ha trasmesso una nuova designazione in sostituzione di quella già presentata in esecuzione della misura cautelare disposta dal Consiglio di Stato ma si è limitata a chiarire all’amministrazione che la designazione, già riferita ai “datori del settore commercio e dei servizi”, era da considerarsi relativa alla categoria delle “imprese”. Si è in presenza di un mero chiarimento e non di un mutamento della categoria, come si desume dalla circostanza che la precedente voce richiamata dal Confprofessioni costituiva una delle due sottocategorie in cui era suddivisa la rappresentanza delle imprese prima che l’art. 23, comma 8, del decreto legge n. 201/2011 – oltre a ridurre il numero dei rappresentanti – sopprimesse le sottocategorie all’interno delle quali veniva ripartita tale rappresentanza. Dunque, è indubitabile che la designazione di Confprofessioni, oltre che tempestiva, ha sempre riguardato la categoria delle “imprese”.
6. Neppure può dubitarsi della legittimità dell’inserimento in tale categoria produttiva di Confprofessioni. L’inserimento risponde all’esigenza di contemplare, secondo la nozione di “impresa” elaborata dal diritto europeo, la libera professione anche nella categoria degli imprenditori. Dunque, nessuna illogicità si manifesta nella presenza in seno al CNEL di un rappresentante di Confprofessioni nella categoria delle imprese, venendo in tale ultimo caso ad essere rappresentata la peculiare posizione datoriale assunta dal professionista nell’ambito della propria attività imprenditoriale. Anche tale scelta, pertanto, si sottrae alle critiche formulate dalla ricorrente, ivi compresa la presunta disparità di trattamento: la controinteressata ha ottenuto la designazione di un proprio membro in applicazione dei medesimi criteri di selezione normativamente previsti per tutte le organizzazioni sindacali che hanno proposto propri rappresentanti nella categoria delle imprese.
7. Non meritano accoglimento neppure le censure di cui al terzo e quarto motivo, riguardante rispettivamente la mancata valutazione delle controdeduzioni presentate dalla ricorrente e il difetto di istruttoria, tanto in relazione alla correttezza dei dati raccolti sulla rappresentatività delle sigle sindacali che alla loro valutazione.
Dalla lettura del provvedimento impugnato, si evince che la decisione di assegnare un seggio a Confprofessioni non è dipeso da una comparazione con il grado di rappresentatività di cui è in possesso la ricorrente bensì dalla esigenza di dare voce, a fronte di una ampia rappresentanza già garantita al settore della logistica e dei trasporti, anche a un differente settore produttivo quale è quello dei datori di lavoro delle libere professioni. Dunque, l’amministrazione nella scelta di sottrarre un seggio al settore dei “trasporti”, considerato già adeguatamente rappresentato, per assegnarlo alle “libere professioni”, ha fatto corretta applicazione del principio del pluralismo.
Infatti, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, nell’ipotesi in cui l’amministrazione debba procedere alla suddivisione tra più sigle sindacali di un numero limitato di posti di un collegio amministrativo, risulta necessario selezionare all’interno delle varie entità sindacali – attraverso un esame necessariamente comparativo – quelle che sono maggiormente rappresentative. In tale ambito, l’amministrazione è tenuta a scegliere le associazioni che, nel confronto con le altre, esprimono una preponderante presenza nella categoria di riferimento. Ne consegue che il principio pluralistico, che tende ad attribuire rilievo ad interessi categoriali nelle loro differenziate considerazioni in ambito sindacale, deve contemperarsi col principio proporzionale che, al fine del conferimento di situazioni di vantaggio previste in numero limitato dalla norma, richiede una selezione, tra le associazioni rappresentative, di quelle “più rappresentative” (in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2019, n. 537).
E’ stato costantemente ribadito che, in simili contesti, il principio pluralistico può costituire solo un correttivo al principio di proporzionalità ma “lo ‘staccò di rappresentatività non può essere colmato invocando il pluralismo, nel senso che l’esigenza di assicurare in seno all’organo collegiale la rappresentanza degli interessi delle varie categorie deve contemperarsi con il principio di proporzionalità, che postula la selezione delle associazioni più rappresentative in termini di consistenza della struttura organizzativa e dell’attività sindacale svolta” (cfr. Cons. Stato n. 537/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Deve, allora, osservarsi che l’istruttoria svolta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha accertato, all’esito del ricorso presentato da Confprofessioni, che essa superava il vaglio della maggiore rappresentatività nel proprio specifico segmento e che era meritevole, in applicazione del principio pluralistico, di un seggio, risulta scevra da vizi. Infatti, il correttivo determinato dall’applicazione del principio pluralistico presuppone la volontà di garantire una certa diversificazione, all’interno della medesima categoria, dei settori produttivi presenti; scelta correttiva che, tenuto conto della potenziale sussistenza di numerosi settori astrattamente degni di riconoscimento, non potrà che comportare l’esercizio di un ampio grado di discrezionalità da parte dell’amministrazione, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza della decisione assunta. Nel caso in esame, l’assegnazione di un seggio a una sigla espressiva di particolari settori di produzione, quale Confprofessioni, non può considerarsi illogica e, comunque, risponde alla richiamata esigenza pluralistica, che non può essere declinata per “corrente” all’interno della medesima categoria, bensì rapportata alla peculiarità del settore oggetto di cui si rileva l’esigenza di rappresentatività.
Parimenti, non risulta illegittima la successiva determinazione dell’amministrazione che, tenuto conto di dovere procedere alla riduzione di un seggio, da sottrarsi in relazione al settore dei trasporti, che risultava già adeguatamente rappresentato, ha proceduto a una comparazione tra Confetra e la ricorrente Conftrasporti, al fine di verificare quale delle due organizzazioni prevalesse in termini di maggiore rappresentatività. L’analisi si è correttamente basata sui dati trasmessi dalle organizzazioni sindacali ed elaborati dal Ministero del lavoro, dai quali si è rilevata, sulla base di una istruttoria che risulta priva di errori manifesti o travisamenti in fatto, una soccombenza in chiave numerica della ricorrente rispetto a Confetra, avuto riguardo a tutti gli indici di rappresentatività previsti normativamente.
8. In conclusione, alla luce della correttezza dei dati adoperati ai fini della verifica del grado di rappresentatività della parte ricorrente e alla non arbitraria applicazione del principio del pluralismo al fine della distribuzione di seggi all’interno della categoria di riferimento, il ricorso non merita accoglimento e deve essere respinto.
9. Le spese del giudizio, attesa la parziale novità e la particolarità delle questioni sollevate, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando: – dispone l’estromissione dal giudizio della Presidenza della Repubblica;
– respinge il ricorso.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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