Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Quarta Ter), depositata il 1° marzo 2024
condono edilizio – onere di provare la preesistenza delle opere
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2226 del 2021, proposto dalla società Five Up Group 07 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato G.C., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Dora, 2;
contro
il Comune di Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato U.G., con domicilio eletto presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
il Dip. Pau – Uff. Scopo Condono Edilizio di Roma Capitale, non costituito in giudizio;
il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la declaratoria di inefficacia ovvero, in subordine, per l’annullamento
– della Determinazione Dirigenziale rep. n. QI/1808/2020 (prot. n. QI/143620) del 02.12.2020, notificata a mezzo pec in data 21.12.2020, con cui il Dip. Programmazione e Attuazione Urbanistica – Ufficio di scopo Condono Edilizio – Responsabile attività di verifica in merito al contenzioso – Servizio Contenzioso – Ufficio Reiezioni, Attività Amministrativa, Antiabusivismo Edilizio, Rinunce di Roma Capitale ha disposto la reiezione dell’“istanza di condono prot. -OMISSIS- sot. -OMISSIS-, presentata dalla R.R. S.r.l., in qualità di richiedente, per l’avvenuta realizzazione di abusi edilizi in viale Parioli, 103 C, Roma 00197, Municipio II, consistenti nella realizzazione di un ampliamento mediante tamponatura di una tettoia a servizio di un’attività commerciale (ristorante) per mq. 218,68”;
– nonché di ogni altro atto ad essa presupposto, connesso e/o conseguente, ancorché non cognito, se ed in quanto illegittimo e lesivo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma Capitale, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2024 il dott. Valentino Battiloro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente è proprietaria (atto di compravendita stipulato in data 10 novembre 2011 a rogito -OMISSIS-, rep. n. 120081-racc. n. 48558) di un locale commerciale con annessa area scoperta sito nel Comune di Roma –Municipio II, viale Parioli n. 103/C, nel quale esercita da anni l’attività di ristorazione denominata “Chez Cocò”.
In relazione a tale immobile, per legittimare la tamponatura, con pannellature in materiale ligneo e finestre, di una preesistente legittima tettoia, la società R.R. a S.r.l., all’epoca proprietaria del locale, aveva presentato in data 25 febbraio 1995 l’istanza di condono prot. n. -OMISSIS- ex l. n. 724/94.
Con nota prot. n.-OMISSIS- del 27 dicembre 2016, la U.O. Condoni del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale preannunciava all’odierna ricorrente il rigetto dell’istanza di condono, avendone rilevato il contrasto con la disposizione di cui all’art. 39, co. 1, l. n. 724/94, nella parte in cui dispone che le previsioni condonistiche dettate dalla l. n. 47/85 trovano applicazione “alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993”.
A fondamento di tale assunto, l’Ufficio procedente precisava che “con sentenza n. -OMISSIS- il Tribunale Ordinario di Roma, V Sezione Penale, ha stabilito che…l’ultimazione di tale tamponatura non è temporalmente collocabile entro il 31-12-93…omissis l’esistenza della tamponatura, è collocabile in un periodo ampiamente successivo al 31-12-93”.
In seguito a istanza di accesso agli atti del procedimento di sanatoria, la ricorrente veniva a conoscenza dei seguenti documenti:
– le dichiarazioni rese da alcuni clienti abituali del ristorante, i quali avevano riferito che la veranda era già presente a partire dagli anni ’80;
– la fattura n. 6 emessa dalla società Ferrari S.a.s.in data 27 gennaio 1993, avente ad oggetto la “fornitura e posa in opera di infissi in legno di varie misure e tipologie presso il ristorante sito in Viale Parioli 117/103 c”.
– la presentazione della D.I.A. prot. n. -OMISSIS-, in forza della quale la società B&B S.r.l. (subentrata alla R.R. S.r.l. nella titolarità dell’immobile) aveva dato corso alla sostituzione delle tamponature in legno con nuovi elementi dello stesso materiale;
– il verbale di sopralluogo, seguito alla presentazione della D.I.A., eseguito in situ dal comando di Polizia Municipale, in forza del quale l’Amministrazione resistente aveva ritenuto che gli interventi realizzati dalla società subentrata non integrassero un mero risanamento conservativo della struttura preesistente – oggetto della pendente istanza di condono – ma che si fosse trattato della loro originaria installazione, con conseguente sequestro penale dell’opera (dal quale scaturiva il procedimento penale R.G.N.R. n. -OMISSIS- a carico della sig.ra -OMISSIS-, legale rappresentante della R.R. S.r.l., e del sig. -OMISSIS-, legale rappresentante della B&B S.r.l.);
– la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti della sig.ra -OMISSIS-, imputata per il delitto di cui all’art. 483 c.p. per aver presentato una falsa dichiarazione di completamento delle opere entro il 31 dicembre 1993;
– la sentenza del 5 febbraio 2002, n. 2547, emessa nei confronti del sig. -OMISSIS-, con la quale il Tribunale Ordinario di Roma –Sez. V Penale dichiarava non doversi procedere per prescrizione del reato (edilizio) sanzionato dall’art. 20, lett. b), l. n. 47/85, e assolveva l’imputato per il delitto di cui agli artt. 110, 483 e 81 cpv. c.p. (contestato in concorso con la sig.ra -OMISSIS-);
– la nota prot. n. -OMISSIS-, adottata dal Comune di Roma Capitale, con cui veniva rilasciato il “parere favorevole ai sensi dell’art. 32 della legge 47/85”, prodromico al rilascio della “concessione edilizia in sanatoria per l’abuso edilizio di proprietà del Sig.: “JEFF REASTAURANT S.R.L.” in VIALE PARIOLI Nr. 103/C di cui al prot.0-OMISSIS-/0”, comunicata contestualmente “ai competenti organi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali –Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Roma, Via San Michele, 17, ai sensi dell’art. 82, comma 9 del D.P.R. 616/77, come integrato dal D.L. 312/85 convertito con modificazioni dalla L. 431/85”, al fine di consentire all’Ente ministeriale l’esercizio delle prerogative di controllo e vigilanza previste dall’art. 159, comma 3, del D. Lgs. n. 42/2004 (applicabile ratione temporis al caso di specie).
– la nota prot. n. -OMISSIS-, con cui il VI Dipartimento del Comune di Roma – dando atto di aver concluso, in senso favorevole, l’istruttoria relativa all’istanza in oggetto – comunicava alla Jeff Restaurant S.r.l. che “presso l’Ufficio Condono edilizio in via di Decima 102 può essere ritirata la concessione/autorizzazione relativa all’istanza numero -OMISSIS-/0 del 25/02/1995”.
La ricorrente trasmetteva quindi all’Amministrazione le proprie osservazioni sostenendo che, sulla scorta di un’attenta disamina della documentazione su menzionata (in particolare le testimonianze rese nel processo penale) e di ulteriori circostanze rappresentate per la prima volta in sede di contraddittorio procedimentale (si fa riferimento all’ordinanza del T.A.R. Lazio n. 2801/96 che sospendeva l’ordine di demolizione delle opere emesso con determinazione dirigenziale n. 196/96 e alla fattura del 30 settembre 1993, prodotta nel processo penale, avente ad oggetto una fornitura di truciolato di pioppo), emergesse la prova che l’opera era stata realizzata entro il 31 dicembre 1993.
L’Amministrazione, tuttavia, precisato che la documentazione di cui si tratta “era già in atti al momento della redazione del preavviso di rigetto e che pertanto nessuna nuova documentazione probante risulta presentata”, adottava il provvedimento di rigetto dell’istanza di condono sulla base della mancata realizzazione dell’opera entro i termini di legge così come accertato dal giudice penale.
Avverso tale provvedimento la ricorrente, ritenuta in fatto provata l’avvenuta realizzazione delle opere entro i termini di legge, ha articolato i seguenti motivi di censura.
Con un primo motivo ha dedotto l’inefficacia e, comunque, l’illegittimità del provvedimento gravato in quanto sull’istanza di condono, decorsi 24 mesi dal consolidamento degli effetti del parere paesaggistico rilasciato dall’Amministrazione comunale in data 25 marzo 2008, si sarebbe formato il silenzio-assenso.
Con una seconda doglianza ha dedotto l’illegittimità del provvedimento di reiezione per violazione di legge ed eccesso di potere, in quanto l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto delle sue osservazioni che dimostrerebbero la realizzazione dell’opera entro il 31 dicembre 1993 e, in ogni caso, non avrebbe condotto un’autonoma istruttoria, limitandosi a recepire acriticamente le conclusioni raggiunte dal giudice penale in ordine al mancato completamento delle opere a quella data.
Il Comune di Roma Capitale, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto nel merito del ricorso, sostenendo l’inconfigurabilità del silenzio assenso, di cui difetterebbero i presupposti di legge, e la vincolatività del giudicato penale in ordine all’accertamento materiale dei fatti.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio si sono costituiti il giudizio senza articolare difese.
Con memoria tempestivamente depositata la ricorrente ha ribadito gli argomenti posti a sostegno del ricorso, evidenziando che la sentenza di improcedibilità per prescrizione del reato e la sentenza di patteggiamento, in base alla disciplina del codice di procedura penale, non hanno alcuna valenza extrapenale.
All’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2024 la causa è stata chiamata dal Collegio e trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il presente gravame ha ad oggetto il provvedimento di rigetto dell’istanza di condono adottato dal Comune di Roma Capitale e, come esposto in fatto, assume rilievo centrale, al fine di valutare la fondatezza delle censure proposte da parte ricorrente, la questione relativa alla sussistenza o meno del requisito di cui all’art. 39, l. n.724/94, in base al quale «Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993…».
Al riguardo è noto che l’onere della prova circa la preesistenza delle opere grava sul privato che presenta istanza di condono edilizio (cfr.: Cgars, 13 marzo 2023, n. 219; Cons. Stato, II, 4 gennaio 2021 n. 80, Cgars n. 8 marzo 2019, n. 225; Cons. Stato, VI, 17 maggio 2018, n. 2995).
Il Collegio, infatti, richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. II, 26 gennaio 2024, n. 853; sez. VII, 29 settembre 2023, n. 8594 e 24 marzo 2023 n. 3011; sez. VI, 12 ottobre 2020, n.6112; sez. VII, 7 agosto 2023 n. 7628; id. 30 marzo 2023, n. 3304; sez. VI, 18 maggio 2021, n. 3853).
Tale orientamento è basato sul principio di vicinanza della prova, essendo nella sfera del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto, relativamente ad un immobile realizzato in assenza di titoli edilizi, solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere di sanabilità di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime normativo dello ius aedificandi (Cons. Stato Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304).
La giurisprudenza ha altresì chiarito che la prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, «dovendosi, tra l’altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate» (Cons. Stato, Sez. VI, 20 aprile 2020, n. 2524; nello stesso senso, id., 4 marzo 2019, n. 1476; 9 luglio 2018, n. 4168; 30 marzo 2018, n. 2020). Essendo l’attività edificatoria suscettibile di puntuale documentazione, «i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, laddove la prova per testimoni è del tutto residuale; data la premessa, da essa discende che la prova dell’epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi, che resistono a quelli risultanti dagli estratti catastali ovvero alla prova testimoniale ed è onere del privato, che contesti il dato dell’amministrazione, fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell’immobile, superando quella fornita dalla parte pubblica. Ne deriva che nelle controversie in materia edilizia la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo» (Cons. Stato, sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 4).
Non può tuttavia sottacersi dei temperamenti a tale indirizzo introdotti in omaggio al principio di ragionevolezza, proporzionalità e logicità, allo scopo di scongiurare l’imposizione di un onere probatorio impossibile da adempiere avuto riguardo alla risalenza nel tempo dei manufatti (cfr. Cons. Stato, sez.VI, 18 luglio 2016, n. 3177; id., 13 novembre 2018 n. 6360 e 19 ottobre 2018 n. 5988): ciò laddove, da un lato, il privato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti e non equivoci (quali, ad esempio, aerofotogrammetrie o altre certificazioni attestanti fatti che costituiscono circostanze importanti) e, dall’altro, il Comune non valuti debitamente tali elementi e fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio (Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2020, n. 454).
In definitiva, come nel processo civile, anche il processo amministrativo si fonda sul generale principio desumibile dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e, al contempo, chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda, sicché la parte che contesta la legittimità di un provvedimento amministrativo deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Al lume di tale giurisprudenza occorre quindi analizzare i motivi di ricorso, entrambi fondati sull’assunto del completamento delle opere entro il 31 dicembre 1993 e finalizzati a dimostrare, l’inefficacia (per avvenuta formazione del silenzio-assenso) o, in via subordinata, l’illegittimità del provvedimento gravato.
In particolare, la ricorrente società ritiene raggiunta la prova del requisito di cui si discute sulla scorta di tali elementi:
– la fattura n. 6, emessa dalla società Ferrari S.a.s. in data 27 gennaio 1993, avente ad oggetto la “fornitura e posa in opera di infissi in legno di varie misure e tipologie presso il ristorante sito in Viale Parioli 117/103 c”, e la fattura n. 45, emessa dalla Falegnameria 2G S.r.l., avente ad oggetto la fornitura di 45 pannelli in truciolare di pioppo;
– la dichiarazione sostitutiva di atto notorio del sig. -OMISSIS-, rilasciata per conto della società Ferrari s.a.s., in cui si afferma che la fattura n. 6 si riferisce ad opere eseguite entro il 31 dicembre 1993;
– le dichiarazioni scritte dei clienti, depositate agli atti del procedimento di sanatoria in data 20 marzo 2006, tutte di analogo tenore, nelle quali si afferma di aver usufruito della “veranda” posta a destra dell’entrata del locale fin dagli anni 80;
– la relazione tecnica asseverata dell’Arch. -OMISSIS-del 13 aprile 1995 redatta per conto del sig. -OMISSIS-, legale rappresentante della società B&B S.r.l., relativa alle opere da realizzare con la D.I.A. (prot. n. -OMISSIS-), in cui si fa riferimento al “rifacimento della tompagnatura perimetrale con materiali analoghi a quelli sostituiti”;
– la testimonianza di -OMISSIS- (l’impiegato dell’Ufficio Tecnico della II Circoscrizione comunale che aveva eseguito alcuni accessi nell’area in data anteriore al sequestro), il quale all’udienza del -OMISSIS- del processo penale su menzionato aveva dichiarato che “sicuramente…c’erano dei pannelli: alcuni in struttura in legno altri in porta a soffietto. C’era una situazione abbastanza precaria che però rendeva diciamo utilizzabile quel locale anche nelle stagioni…nelle stagioni invernali”, e quella del teste -OMISSIS- (commercialista che aveva curato personalmente la fase di negoziazione relativa alla compravendita dell’immobile intervenuta fra la R.R. S.r.l. e la B&B S.r.l.), che all’udienza dell’-OMISSIS-aveva riferito che “sono le stesse, sono le stesse pannellature, tamponature che già esistevano precedentemente, che sò state sicuramente messe diciamo, tolte temporaneamente per essere ristrutturate e poi riposte…l’ho constatato personalmente”.
La società ricorrente sostiene dunque che tali elementi consentano di ritenere raggiunta la prova della realizzazione delle opere in data antecedente al 31 dicembre 1993 e che tale conclusione non possa essere smentita dalle statuizioni del giudice penale.
In tal senso deduce che le sentenze di patteggiamento e di assoluzione per prescrizione del reato non assumono alcuna efficacia vincolante per il giudice, civile o ammnistrativo, chiamato a pronunciarsi sui medesimi fatti e che, in ogni caso, le relative risultanze probatorie devono essere oggetto di autonoma valutazione.
L’Amministrazione, dal suo canto, al fine di dimostrare la mancata realizzazione delle opere entro il 31 dicembre 1993, nel provvedimento di rigetto assume il carattere vincolante dell’accertamento contenuto della sentenza n. -OMISSIS-, ove si asseriva il dato della mancata ultimazione delle opere entro tale data sulla base dell’esame del verbalizzante -OMISSIS-, della consulenza tecnica espletata e della documentazione fotografica acquisita.
Ciò posto, ritiene il Collegio che parte ricorrente abbia dimostrato con “alto grado di plausibilità” l’avvenuta realizzazione delle opere entro il 31 dicembre 1993.
È noto al riguardo che la prova dei fatti posti a fondamento della domanda può essere offerta anche mediante il ricorso alle presunzioni che siano dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza così come richiesto dall’art. 2729 c.c.
Secondo autorevole dottrina, il requisito della gravità implica la necessità di un elevato grado di attendibilità della presunzione in relazione al convincimento che essa è in grado di produrre in capo al giudice: ciò non significa comunque che l’affermazione dell’esistenza del fatto ignorato debba desumersi dal fatto noto con assoluta certezza, essendo sufficiente un grado di probabilità superiore a quello che spetta all’opposta tesi della sua inesistenza. Analoga conclusione viene accolta dalla prevalente giurisprudenza, la quale non richiede che, attraverso l’inferenza presuntiva, si raggiunga l’assoluta certezza in ordine all’esistenza del fatto da provare, ma ritiene sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra questo ed il fatto noto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità e con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (ex multis, Cass. civ. n. 20342/2020).
Il requisito della precisione evoca a sua volta un concetto di non equivocità, valendo ad escludere la validità del ragionamento presuntivo ove dallo stesso derivino conclusioni contraddittorie e non univocamente riferibili al fatto da provare. In linea con quanto detto circa il requisito della gravità, la conseguenza circa l’esistenza del factum probandum non deve necessariamente configurarsi come l’unica possibile, essendo sufficiente che essa sia la più probabile tra quelle che possono derivare dal fatto noto.
La concordanza, infine, si riferisce alla necessaria convergenza sulla medesima conclusione di una pluralità di presunzioni semplici.
Nella fattispecie in esame, parte ricorrente ha fornito una serie di elementi indiziari, quali fatture di acquisto dei materiali, relazione tecnica asseverata, dichiarazioni sostitutive di atto notorio e testimonianze rese in altro giudizio, che, unitariamente considerati, assumono i connotati della gravità, precisione e concordanza e consentono di inferire che le opere siano state realizzate entro il termine richiesto dalla disciplina condonistica.
Tale conclusione non è incisa dalle deduzioni di parte resistente, che invoca il giudicato penale per dimostrare, de plano, l’insussistenza del requisito di cui si discute.
Deve innanzitutto escludersi che, in base alla disciplina del codice di procedura penale, tali statuizioni assumano carattere vincolante per il giudice di altro plesso della giurisdizione.
Ai sensi dell’art. 654 c.p.p. (rubricato “Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi”), invero, «Nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa».
La vincolatività della sentenza penale, dunque, è prevista nei giudizi civili o amministrativi nei confronti dei partecipanti al dibattimento imputato, della parte civile e del responsabile civile qualora costituitisi o intervenuti nel processo.
Opera pertanto nel caso di specie tale limite soggettivo all’estensione del giudicato, non avendo l’Amministrazione partecipato al giudizio penale.
Va comunque evidenziato, per quanto concerne la declaratoria di estinzione del reato edilizio emessa nei confronti del sig. -OMISSIS-, che, per giurisprudenza costante, “le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente consegue, altresì, che, nel caso da ultimo indicato il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione” (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 26 gennaio 2011, n. 1768).
Alla luce di tale considerazione, sussiste anche un limite oggettivo all’estensione del giudicato nei giudizi extrapenali.
Per quanto concerne la sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti della sig.ra -OMISSIS- per il delitto di cui all’art. 483 c.p. (la contestazione aveva ad oggetto la falsa dichiarazione di realizzazione delle opere entro il 31 dicembre 1993), occorre soffermarsi brevemente sull’evoluzione giurisprudenziale e normativa concernente l’efficacia extrapenale di tale pronuncia.
In base all’art. 652, co. 2, c.p.p. la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a norma dell’art. 442 c.p.p. ha efficacia di giudicato, al pari della sentenza di condanna pronunciata all’esito del dibattimento, soltanto nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.
L’art. 445 c.p.p., prima della riforma avvenuta con il d.lgs., 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma Cartabia), stabiliva che la sentenza di patteggiamento, salvo quanto previsto dall’art. 653 c.p.p. (che attribuisce alla sentenza penale irrevocabile di condanna efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare), pur non avendo efficacia nei giudizi civili o amministrativi, «è equiparata a una pronuncia di condanna».
Tale previsione, considerato l’inciso finale, non aveva impedito a una parte della giurisprudenza di attribuire alla sentenza “patteggiata”, quale elemento di prova, una rilevante efficacia, sia pure agli specifici fini propri delle rispettive sedi e quanto meno in termini di fatto storico, anche nei procedimenti amministrativi e nei giudizi extrapenali (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 497/2021; Cass. civ., sez. I, sentenza n. 16505/2019; Cass. civ., sez. lav., sentenza n. 29769/2022; Cassazione civile, sez. lav., sentenza n.2876/2022)
È stato, in particolare, affermato che le sentenze di patteggiamento possono costituire oggetto di valutazione da parte del giudice, alla stregua di tutti gli altri possibili elementi probatori: l’applicazione della pena su richiesta delle parti, invero, pur non essendo assimilabile alla sentenza emessa a seguito di dibattimento, non è avulsa da una valutazione da parte del giudice di merito; qualora egli ritenga di escluderne il rilievo, ai fini della decisione, deve motivarne adeguatamente la mancata rilevanza in sede risarcitoria (Cfr. Cass. civ., S.U., 31.7.2006, n. 17289 e la giurisprudenza successiva).
Tale orientamento giurisprudenziale è tuttavia destinato ad essere rimeditato per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 25, comma 1, lett. b), d. lgs. n. 150/22, che ha modificato il testo del comma 1-bis dell’art. 445 c.p.p., riformando il regime dell’efficacia della sentenza di applicazione della pena su richiesta nei giudizi extrapenali.
Il testo attualmente vigente prevede, infatti: «La sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna».
La ratio della riforma è evidentemente quella di incentivare l’appetibilità – per l’imputato – del ricorso al rito alternativo del patteggiamento, in un’ottica deflattiva del processo penale, riducendo le conseguenze dell’accertamento della sua penale responsabilità (intesa ovviamente nel senso minimo della insussistenza di cause di proscioglimento).
La giurisprudenza ammnistrativa si è già confrontata con gli effetti immediati della riforma, affermando, in materia di interdittiva antimafia, che “la riduzione degli effetti extrapenali della sentenza ex art. 444 c.p.p. operata dalla citata riforma incide necessariamente anche sulle disposizioni contenute nel c.d. Codice antimafia che disciplinano la documentazione antimafia (art. 82 e seguenti del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159), costantemente considerate dalla giurisprudenza quali “norme diverse da quelle penali” perché disciplinano istituti di natura esclusivamente preventiva e non punitiva, dovendosi, pertanto, concludere che la sentenza di patteggiamento, relativa anche a uno dei reati ritenuti ostativi ai sensi dell’art. 67, comma 8, del c.d. Codice antimafia (come il 416 bis c.p.), non può (più) ritenersi equiparata alla sentenza di condanna” (così, Cgars, 28 giugno 2023, n. 209).
La riforma in commento, pertanto, innovando la disciplina processuale degli effetti extrapenali delle sentenze di patteggiamento, è destinata a trovare immediata applicazione nel giudizio amministrativo, anche nei casi in cui il giudicato penale e le determinazioni dell’Amministrazione, che ad esso fanno riferimento, siano antecedenti all’entrata in vigore della novella.
Nella fattispecie in esame, ciò che rileva è il nuovo inciso “a fini di prova”, che pone un limite oggettivo all’utilizzabilità, anche solo come argomento di prova, della sentenza di patteggiamento nei giudizi extrapenali e comporta il definitivo superamento dell’orientamento giurisprudenziale che ne sosteneva la possibile rilevanza al fine di decidere.
Posta dunque l’assenza di vincolatività delle sentenze di cui si discute, occorre comunque evidenziare che al Collegio non è impedita un’autonoma valutazione delle testimonianze rese nel processo penale depositate in atti dal ricorrente.
In particolare, il teste -OMISSIS-(impiegato dell’Ufficio Tecnico della II Circoscrizione comunale), più volte sollecitato sul punto, ha sostanzialmente chiarito che, anche in epoca antecedente al 31 dicembre 1993, all’esterno del ristorante aveva rilevato la presenza di una tettoia munita di pannelli in legno e porte a soffietto, pur non essendo in grado di ricordare ulteriori particolari sull’effettiva consistenza delle opere e dei materiali.
Il teste -OMISSIS-, sebbene nel contratto preliminare di compravendita dell’immobile intervenuta fra la R.R. S.r.l. e la B&B S.r.l. si facesse riferimento alla presenza di una pensilina, ha tuttavia chiarito che il termine veniva utilizzato in quanto ritenuto equivalente a quello di tettoia. Ha inoltre precisato, quale frequentatore del locale, che le pannellature rinvenute in occasione del sopralluogo del 1995 erano le medesime esistenti in epoca antecedente al 31 dicembre 1993.
Il teste-OMISSIS- (consulente tecnico della procura), infine, ha riferito di aver riscontrato, in sede di sopralluogo, la mancata apposizione delle pannellature (accatastate ma non interamente installate) e di aver preso visione dell’atto di cessione fra la R.R. S.r.l. e la B&B S.r.l. in cui si faceva riferimento a una pensilina e non ad una tettoia. Da tale “discordanza” ha quindi dedotto, in via inferenziale, la mancata realizzazione delle opere entro il 31 dicembre 1993.
Ritiene quindi il Collegio che dall’esame di tali dichiarazioni emergano elementi che confermano o, quantomeno, non incidono negativamente sul giudizio di gravità, precisione e concordanza degli indizi offerti dalla parte ricorrente.
L’unico dato, senza dubbio suggestivo, che potrebbe minare il ragionamento inferenziale svolto in ordine alla preesistenza della struttura, è il riferimento a una pensilina (e non una tettoia) contenuto nell’atto di cessione di cui si è detto.
Tale termine è infatti evocativo di una struttura non ancorata al suolo e di mera copertura dell’ingresso, come tale incompatibile con la consistenza di un’opera quale quella oggetto di condono.
Tuttavia, va evidenziato che il termine in questione è stato utilizzato da soggetti (le parti contrattuali ed i professionisti coinvolti nella redazione dell’atto) che non hanno le necessarie competenze tecniche per qualificare correttamente la struttura, come del resto chiarito dal teste -OMISSIS-.
La credibilità e l’attendibilità delle dichiarazioni di quest’ultimo sono del resto confermate dalla testimonianza del teste -OMISSIS-, che, a sua a volta, ha escluso che l’opera esterna al ristorante fosse una semplice pensilina.
Deve inoltre evidenziarsi che si tratta di un termine privo di riferimenti testuali nella legislazione urbanistica e, dunque, non è possibile affermare che esso, dal punto di vista letterale, abbia una specifica valenza sotto il profilo tecnico-giuridico.
Il Collegio ritiene, dunque, in punto di fatto, che le opere oggetto di condono erano state realizzate prima del 31 dicembre 1993 e, conseguentemente, che le tamponature della tettoia erano state solo provvisoriamente rimosse per eseguire le opere di manutenzione oggetto della D.I.A. prot. n. -OMISSIS-.
Da quanto sinora osservato, considerato e ritenuto emergono il difetto di istruttoria ed il travisamento dei fatti.
Da tanto deriva, altresì, la fondatezza del primo motivo di ricorso, formulato in via principale, come di seguito esplicitato.
Con tale doglianza parte ricorrente invoca la formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono con conseguente inefficacia del provvedimento di reiezione gravato.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, per la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio, è necessario che sia stato completato il pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri concessori e che la domanda sia completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell’amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell’oblazione da versare, con la conseguenza che l’assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo (cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2018, n. 6899; id. Sez. IV, 11 ottobre 2017, n. 4703; Sez. IV, 18 gennaio 2017, n. 187). La giurisprudenza ha altresì chiarito che il silenzio assenso su una domanda di sanatoria edilizia si può produrre solo se risulti che le opere in questione sono ultimate alla data prevista (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 luglio 2019, n. 5384) e che in ipotesi di “abuso edilizio realizzato in area soggetta a vincolo paesaggistico…il termine di 24 mesi per la formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono decorre, ex art. 35, comma 19 della Legge n. 47 del 1985, solo dal rilascio del parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso” (in tal senso, da ultimo, T.A.R. Lazio, Sez. II bis, 9 marzo 2020, n. 3057. In senso conforme, anche Cons. Stato, IV, n. 5366 del 2016).
Nel caso in esame, considerata l’infondatezza della tesi sostenuta da parte resistente secondo cui l’istanza sarebbe fondata su dichiarazioni mendaci in ordine all’epoca di realizzazione delle opere, sussistono i presupposti del silenzio assenso, formatosi decorsi 24 mesi dall’emissione favorevole del parere paesaggistico del 25 marzo 2008, con conseguente inefficacia del provvedimento di reiezione adottato.
In conclusione, per tutte le ragioni sinora esposte, il ricorso è fondato e va accolto.
Le spese di lite possono essere compensate in ragione della complessità della controversia e della novità della questione relativa alla valenza extrapenale delle sentenze del giudice penale, oggetto di recente riforma.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti del procedimento penale.